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Autore Discussione: Dershowitz "Difenderò Assange e la libertà di parola"  (Letto 2160 volte)
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« inserito:: Febbraio 17, 2011, 12:29:58 pm »

17/2/2011 - WIKILEAKS, SVOLTA NELLA DIFESA

Dershowitz "Difenderò Assange e la libertà di parola"

L'avvocato: gli Usa vogliono impedire il diritto di cronaca

CORRISPONDENTE DA NEW YORK

Ho accettato di difendere Julian Assange perché questa è la battaglia per la libertà di stampa nel XXI secolo». Il giurista liberal di Harvard Alan Dershowitz parla al telefono dal suo studio di Boston e non adopera mezzi termini per spiegare le ragioni che lo hanno portato a entrare nel collegio legale del fondatore di Wikileaks, considerato dalla Casa Bianca un nemico pubblico degli Stati Uniti a causa della recente divulgazione di centinaia di migliaia di documenti segreti del Pentagono e del Dipartimento di Stato.

Perché difende Assange?
«Quando all’inizio degli Anni 70 vi fu la battaglia legale sui Pentagon Papers pubblicati dal New York Times, che svelarono i retroscena della guerra in Vietnam, vi presi parte per tutelare il diritto al giornalismo investigativo. Allora vincemmo una sfida che ha consentito di tutelare la libertà di stampa su carta. Adesso la sfida si ripete, riguarda Internet e l’informazione digitale. Eravamo nel giusto allora come lo siamo adesso. Wikileaks ha diritto di pubblicare le informazioni di cui viene in possesso».

Veramente Hillary Clinton, nel discorso alla George Washington University, ha accusato Wikileaks di aver commesso «un furto di documenti simile a quelli che avvenivano in passato con le valigette a mano» che «nulla ha a che vedere con la libertà di stampa». Che cosa ne pensa?
«La mia amica Hillary si sbaglia. Non c’è stato nessun furto. Julian Assange e Wikileaks non hanno rubato nulla. Sono entrati in possesso di documenti riservati e li hanno pubblicati. La Costituzione americana garantisce tale diritto».

Ma il Segretario di Stato rivendica il diritto del governo alla riservatezza delle proprie comunicazioni per difendere, ad esempio, l’identità degli attivisti per i diritti umani che hanno contatti con le ambasciate americane in Paesi dittatoriali...
«La tutela delle fonti è garantita dai giornali che pubblicano i documenti trovati da Wikileaks. I nomi di informatori, agenti segreti e siti sensibili devono essere tutelati al momento della pubblicazione. Così è sempre stato negli Stati Uniti. Altra cosa è il diritto di Wikileaks di esercitare il giornalismo investigativo nell’era digitale».

Quale è la situazione legale in cui si trova adesso Assange?
«Sono in atto tre procedimenti legali. In Gran Bretagna sulla richiesta di estradizione verso la Svezia. In Svezia sull’accusa di reati sessuali. E negli Stati Uniti è in preparazione l’incriminazione da parte del ministero della Giustizia guidato da Eric Holder. La causa più pericolosa si svolge in America».

Perché?
«Per il semplice fatto che Eric Holder punta a impedire l’esercizio del diritto di cronaca, vuole mandare in prigione chi ha scelto di divulgare notizie non gradite al governo degli Stati Uniti. È stato questo il motivo che mi ha spinto ad accettare quando l’avvocato inglese di Assange mi ha contattato chiedendomi di entrare nel collegio legale».

Come spiega i ritardi di Holder nel firmare l’atto di incriminazione?
«C’è un contrasto dentro l’Amministrazione Obama».

Di che cosa si tratta?
«Sulla libertà di Internet la Casa Bianca ha due anime: è divisa fra chi vuole cavalcarla puntando a trasformare il web nella nuova frontiera della libertà di espressione in Paesi come l’Egitto, l’Iran e la Cina e chi invece vuole punire Wikileaks in maniera talmente severa da impedire su Internet il ripetersi delle garanzie di libertà di stampa. È un conflitto che l’Amministrazione Obama sta risolvendo e porterà all’incriminazione di Assange. Siamo pronti a batterci in aula».

Che cosa c’è in palio?
«La libertà di espressione in America nel XXI secolo. I media digitali devono essere equiparati a quelli tradizionali. Se Assange dovesse essere condannato, il governo Usa avrà la possibilità di controllare d’ora in avanti le informazioni diffuse su Internet violando il primo e il quarto emendamento della Costituzione. Sarà legittimato un doppio standard giuridico: libertà di espressione sui giornali ma non su Internet».

Ma se la causa legale contro Assange in America ancora non è formalmente iniziata, perché lei si è già messo a lavoro?
«Perché, sebbene Assange non abbia commesso alcun reato in America o contro l’America, l’atto di incriminazione è in stato molto avanzato e il governo è in procinto di compiere un passo assai grave. L’incriminazione minaccia di coinvolgere anche Twitter, a causa dell’accusa che sia stato il mezzo di trasmissione di alcune informazioni. Si paventa lo scenario di un governo che potrebbe chiedere di ottenere milioni di informazioni scambiate sul web da privati cittadini, americani e non».

Come si sente lei, giurista liberal, a sfidare l’amministrazione Obama?
«Sto tentando di evitare che l’America diventi come l’Italia».

Che cosa intende dire?
«Amo l’Italia, siete un Paese meraviglioso e con una grande Storia, anche giuridica, ma negli ultimi tempi la libertà di espressione da voi si è molto indebolita: il governo italiano influenza pesantemente i media e sono stati incriminati i genitori di Amanda Knox, colpevoli solo di aver fatto una pubblicazione esprimendo delle opinioni sul processo di Perugia, peraltro viziato da legittimi dubbi. Sul terreno della tutela della libertà di stampa l’Italia non sta dando un grande esempio e io non voglio che gli Stati Uniti si incamminino nella stessa direzione».

da - lastampa.it
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