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« inserito:: Febbraio 12, 2011, 10:16:28 am » |
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Frida Roy, 11 febbraio 2011, 15:21
Il palinsesto del premier
Dopo le modifiche ai palinsensti Rai e i comizi pro-premier del Tg1 ecco le novità sul "lodo Butti" in commissione Vigilanza: Doppio conduttore, par condicio della satira, impossibilità per 8 giorni di approfondire un argomento già trattato da un'altra trasmissione con una censura preventiva per tutti gli altri, così si avvera il sogno di Masi. Ci sarebbe da ridere se non fosse drammaticamente in pericolo la libertà di stampa perché, in Commissione, Pdl e Lega potrebbero spuntarla 21 a 19
Ieri (giovedì) l'intervista fatta dal Tg1, dell'inusuale durata di ben sei minuti, al direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara, tre gironi fa la sostituzione improvvisa su Rai2 del film Shall we dance con Le vite degli altri (per chi non l'avesse visto un bellissimo film che denuncia la pratica delle intercettazioni nell'ex Germania dell'Est da parte della Stasi. Impossibile non metterlo in relazione con le parole di Berlusconi sul "golpe da Germania comunista" e la sua ossessione per un provvedimento di legge sulle intercettazioni), dopo il rifiuto alla messa in onda di Rai3 di alcuni minuti del film Il caimano di Nanni Moretti, l'impressione è che i palinsesti RAI vengano decisi dalle parti di Arcore. Il dubbio è venuto anche a Roberto Zaccaria, deputato del Pd, che ha inviato una lettera al presidente della Rai, Paolo Garimberti per chiedere se esista "un luogo esterno all'azienda dove vengono disegnate le strategie di intervento sul sistema radiotelevisivo pubblico".
Il momento è delicato, non c'è alcun dubbio: ieri, per la prima volta, si è riunita alla luce del sole, la macchina da guerra di Berlusconi, quella che Goffredo De Marchis (La Repubblica) chiama "la struttura Delta", le "guardie armate" del presidente del Consiglio nella carta stampata e nella tv: Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, e Claudio Brachino, direttore di Videonews-Mediaset. Convocati direttamente da Silvio Berlusconi, non più nella magione privata di Arcore, a Villa San Martino. Ma nella sede governativa di Roma, a Palazzo Grazioli. Per mettere a fuoco lo "spin" comunicazionale, con il quale il Cavaliere cercherà di riscrivere ancora una volta a suo vantaggio il "palinsesto" politico-mediatico dell'intera nazione. E per mettere a punto la controffensiva violenta, con la quale cercherà di distruggere la magistratura, la libera stampa, l'opposizione parlamentare e sociale. E' la sua arma migliore: invece di risolvere il suo enorme conflitto di interessi, l'ha ingigantito e sfruttato fino in fondo per mettere in moto la più micidiale macchina di fabbricazione del consenso mai concepita in una normale democrazia europea. Capo del governo (percio' sovrano delle tre reti pubbliche Rai) e insieme padrone delle tre grandi reti private Mediaset, Berlusconi ha capito subito che ciò di cui aveva sommamente bisogno, per gestire il consenso, era servirsi del suo "inner circle" manageriale, pubblicitario e giornalistico, per dettare l'agenda al Paese. Creare una "squadra", nella quale la più grande agenzia newsmaker della nazione, cioè il governo stesso, potesse dettare "i titoli" della giornata all'intero network televisivo-informativo italiano. Per cancellare quelli dannosi. Politica e giornalismo piegati insieme, nello stesso tempo e nello stesso modo, per sovvertire codici normativi e aziendali. Per propiziare atti 'sediziosi' e inquinare fatti incontrovertibili.
Dunque, si occupano i Tg di riferimento con arringhe pro-premier che denigrano le opposizioni, si cambiano i palinsesti serali con film e talk show dal messaggio subliminale e si lavora alacremente, anche in Commisisone di Vigilanza per mettere la museruola all'informazione "non alineata".
"Se Bruno Vespa il lunedì sera - scrive Goffredo De Marchis su "la Repubblica" - tratta il caso Ruby-Berlusconi, per otto giorni nessun altro talk show potrà tornare sull'argomento. Per fare degli esempi: Ballarò, il martedì, dovrà occuparsi della crisi in Egitto e Annozero, il giovedì, della controversa festa del 17 marzo. E' il "principio della ridondanza". A Parla con me sarà necessario il contraddittorio dei comici. Alla parodia di Minzolini dovrà seguire l'imitazione di Gad Lerner o di Bianca Berlinguer, perché "trasmissioni apparentemente di satira o di varietà spacciano 'una' verità per 'la' verità". Stiamo parlando della bozza di "Atto di indirizzo sul pluralismo" scritta dal senatore Pdl della Vigilanza Rai Alessio Butti.
"La sinistra occupa la Rai", è la premessa di Butti, la tv di Stato "relega in posizioni assolutamente minoritarie le idee, i valori e le proposte della maggioranza degli italiani". Occorre riequilibrare la situazione. Ma se l'impresa fosse troppo lenta e gravosa, il centrodestra si prepara a un'operazione più semplice e immediata: ripetere l'esperienza delle elezioni regionali. Allora, un regolamento della Vigilanza bloccò tutti i talk show un mese prima del voto. Adesso che un altro voto si avvicina va bissata la censura. Cancellare le voci dell'informazione televisiva, sterilizzarle, ridurre i loro spazi e la loro libertà. L'atto indirizzo non è vincolante, ma può diventare uno strumento utilissimo per il direttore generale Mauro Masi. Il pretesto per mettere bocca sulle scelte editoriali dell'azienda.
La Rai, scrive Butti, deve "razionalizzare l'offerta delle trasmissioni di approfondimento giornalistico allo scopo di evitare ridondanze e sovrapposizioni che possono rendere confusa l'offerta Rai riducendo la libertà di scelta degli utenti". Come? "E' opportuno - continua il senatore della Pdl, molto vicino al ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani - che i temi prevalenti di attualità o di politica trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre reti, almeno nell'arco di otto giorni successivi alla loro messa in onda". Sul rispetto di questa regola vigila "la direzione generale" per scongiurare "ripetizioni artificiose o la compressione di temi socialmente e politicamente rilevanti". C'è anche un riferimento a Report (che non è un talk show) quando si legge nel testo di Butti che "il conduttore è sempre responsabile dell'attendibilità e della qualità delle fonti e delle notizie sollevando la Rai da responsabilità civili e/o penali". Così si "risolve" la querelle sulla tutela legale per Milena Gabanelli: semplicemente, la si cancella.
Torniamo al presupposto di partenza "faro" indispensabile per far luce su un testo che prefigura la censura più buia: la Rai nei suoi palinsesti "presenta un forte squilibrio" (sostiene Butti) . Il primo caso presenta immediatamente un identikit, quello di Marco Travaglio, opinionista di Annozero. Nel testo Pdl si legge che "laddove il format della trasmissione preveda l'intervento di un opinionista a sostegno di una tesi, è indispensabile garantire uno spazio adeguato anche ad altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo ma anche del contraddittorio, della completezza e dell'oggettività dell'informazione stessa" . Ovvero: se c'è Travaglio, ci dev'essere un anti Travaglio. Ma se il testo fosse approvato dovrebbero cambiare radicalmente anche trasmissioni come quelle di Lucia Annunziata o di Milena Gabanelli? C'è da valutare, si legge nel testo pdl, il pericolo che quell'opinione unica "diventi 'la' verità e non 'una' verità. Ciò è ancora più necessario per quelle trasmissioni che, apparentemente di satira o di varietà, diventano poi occasione per dibattere temi di attualità politica o sociale, senza quelle tutele previste per trasmissioni più propriamente giornalistiche" . E qui è impossibile non ravvisare l'identikit del programma di Serena Dandini "parla con me": satira ma anche attualità.
Un altro rinvio a Santoro si trova nel passaggio che recita: "Il conduttore deve svolgere un ruolo terzo rispetto alle posizioni in campo moderando il confronto con misura, eventualmente raffreddando i toni del dibattito, ma senza assumere il ruolo politico del protagonista del format" . Rimane il divieto per il pubblico di "manifestare consenso (applausi) o dissenso (comunque espresso) che potrebbero condizionare la percezione del contenuto del dibattito da parte del telespettatore".
Con il contributo della direzione generale, il documento del Pdl punta a costruire una tenaglia normativa che può stritolare conduttori e programmi. Arriva il divieto di ripetere un identico tema nella stessa settimana in diversi contenitori: "Per garantire l'originalità dei palinsesti è opportuno che i temi prevalenti di politica, attualità o cronaca trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi e di altre reti almeno nell'arco degli otto giorni successivi alla loro messa in onda. La ragionevole attuazione di questo principio è affidata alla direzione generale" . Tradotto: se del caso Ruby - Berlusconi o di qualsiasi altro caso di cronaca si occupano Vespa (che è in palinsesto proprio dal lunedì) non potranno farlo Floris, Paragone, Annunziata o Santoro. E a decidere sarebbe Mauro Masi. Si introduce inoltre il principio di una par condicio permanente: "Tutti i partiti devono trovare, in proporzione al proprio consenso, opportuni spazi nelle trasmissioni di approfondimento giornalistico. Il servizio pubblico deve rappresentare il Paese reale, non le élites culturali né i cosiddetti poteri forti" . Lo sbilanciamento a sinistra può essere superato studiando "format di approfondimento che prevedano la presenza in studio di due conduttori di diversa estrazione culturale". E chi "ha interrotto la professione giornalistica per assumere ruoli politici" non può avere la "conduzione di un programma o la direzione di rete o testata". Una norma che varrebbe per l'europarlamentare del Pd David Sassoli: se concludesse l'esperienza politica, non potrebbe più guidare una trasmissione. Se poi la norma fosse retroattiva allora varrebbe anche per Santoro e per Del Noce. Infine, un regalino a Minzolini (Tg1) con l'asserita libertà ai direttori di chiedere opinioni a commentatori da questi indicati "a patto che siano distinte dalle notizie". Ovviamente, l'attenzione è focalizzata su come vengono trattati i processi in tv. No a "intepretazioni a opera di attori, delle conversazioni telefoniche intercettate". Sì "al giusto rilievo delle conclusioni del processo, anche quando sia assolutorio".
Secondo l'opposizione ci sono gli estremi per giudicare irricevibile il "lodo" Butti. Il presidente Sergio Zavoli ricorda che l'indirizzo avrà forza "solo se unanime", intanto però si è impegnato per un documento sul pluralismo e vuole votare. Ma non a tutti i costi. In commissione Pdl e Lega possono vincere 21 a 19. "L'Atto di indirizzo nasce da tre Seminari pubblici il cui argomento cruciale è stato il pluralismo, divenuto un problema di fondo dalla cui soluzione far dipendere la funzione e la trasparenza del Servizio pubblico. Ecco perché l'Azienda è al centro di una disputa che va a toccare la stessa qualità democratica della questione", scrive in una nota il presidente della vigilanza. Che spiega come "l'ipotesi del senatore Butti, relatore di maggioranza, di votare l'Atto in parte all'unanimità e in parte per capitoli separati potrebbe indurre l'Azienda a scegliersi gli indirizzi più congeniali ai propri assetti; e allo stato dei fatti non è temerario immaginare in quale direzione inclinerebbe le sue scelte". "So bene che il voto è un esercizio democratico, e come tale deve rispondere a regole e principi democratici - prosegue Sergio Zavoli -. Quindi non ne ho l'ossessione - aggiunge -. Ma all'unanimismo preferisco di gran lunga la condivisione, se è possibile trovarla. Se è impossibile, va cercata una soluzione che non determini palesi privilegi, specie se i loro effetti fossero in contrasto con taluni principi ordinamentali". "Poiché non mi sento di avallare una soluzione men che limpida e responsabile ho richiesto un supplemento di dibattito".
Intanto, difronte al Lodo Pdl, il Pd con Fabrizio Morri (che ha presentato un testo diversissimo) protesta: "Ci troviamo in un quadro in cui, alle 20 di ogni giorno, tra Tg1 e Tg5, 14 milioni di italiani vedono un'informazione non pluralista e a tratti faziosa. E questo aspetto non è minimamente preso in considerazione" . Matteo Orfini, della segreteria Pd, responsabile Cultura e Informazione, in una nota afferma: "il cosiddetto atto di indirizzo sul pluralismo che il Pdl vorrebbe far passare in Vigilanza Rai è l'ennesimo atto assurdo di una maggioranza ormai alla frutta. L'unico obiettivo è limitare ulteriormente la possibilità di informare e discutere di un servizio pubblico già provato dalle quotidiane aggressioni del Premier. Per non parlare dell'umorismo involontario di chi chiede addirittura il contraddittorio per la satira. Siamo purtroppo abituati a questo zelo censorio, ma almeno i sostenitori del governo la smettano di definirsi liberali".
Per il senatore Pancho Pardi, capogruppo dell'Italia dei Valori in commissione di Vigilanza Rai "l'atto di indirizzo sul pluralismo che porta la firma del senatore Pdl Alessio Butti è la negazione stessa del pluralismo, lo si vede dall'insistenza con cui tratta gli argomenti problematici". "Doppio conduttore: evidentemente per le trasmissioni di approfondimento in cui la maggioranza considera il conduttore inaffidabile. Par condicio della satira: risate di sinistra e risate di destra, ma nessuno può ridere a comando. Impossibilità per 8 giorni di approfondire un argomento già trattato da una trasmissione: censura preventiva per tutti gli altri, così si avvera il sogno di Masi, ma crescono le difficoltà per i conduttori costretti a fare lo slalom tra le notizie. Ci sarebbe da ridere se non fosse drammaticamente in pericolo la libertà di stampa. Il rischio effettivo e' che questo insieme di misure censorie passi in commissione per un solo voto. Resta una speranza: che Ferrara possa fare l'apologia del 'padrone' solo una volta ogni 8 giorni". Il documento è definito "irricevibile" anche dagli esponenti dell'Udc La settimana prossima riprende il confronto ed è dunque opportuno che chiunque abbia a cuore la libera informazione si prepari alla mobilitazione.
da - paneacqua.eu/notizia
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