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Autore Discussione: Berlusconi vuole i pm in carcere e dichiara guerra alle istituzioni  (Letto 3120 volte)
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« inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:30:35 am »

Mattia Morandi,   09 febbraio 2011, 20:43

Berlusconi vuole i pm in carcere e dichiara guerra alle istituzioni     

I pubblici ministeri milanesi, Edmondo Bruti Liberati, Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano non hanno dubbi e chiedono il rito immediato per il capo dell'esecutivo, indagato per i reati di concussione e favoreggiamento alla prostituzione minorile. Pdl: " Procura di Milano è avanguardia rivoluzionaria".

Berlusconi si sente arroccato ed ecco allora spuntare la minaccia di un nuovo decreto intercettazioni che, a quanto si apprende, dovrebbe essere presentato già domani al Quirinale. Tant'è che il premier annuncia: "Domani incontro Napolitano". Pochi minuti dopo la risposta del Colle che lo smentisce: "Al Quirinale non risulta alcun incontro con il presidente del Consiglio domani"


"Uno schifo, farò causa allo Stato" dice il presidente del Consiglio nel giorno in cui la procura di Milano ha trasmesso al Gip gli atti dell'inchiesta sulla concussione e la prostituzione che lo riguardano direttamente. Un corto circuito informativo prima che uno scontro tra poteri istituzionali. Come fa un capo di governo a non sentirsi parte integrante dallo Stato? E poi, dov'è finita la leale collaborazione tra poteri e la serenità istituzionale? Dilemmi a parte, i pubblici ministeri milanesi, Edmondo Bruti Liberati, Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano non hanno dubbi e chiedono il rito immediato per il capo dell'esecutivo, indagato per i reati di concussione e favoreggiamento alla prostituzione minorile. Un accelerazione che va nella direzione del processo breve tanto annunciata dal premier. Della serie: volevi la bicicletta? Ora pedala!
Per i magistrati milanesi la ricostruzione fatta nell'aula della Camera dal deputato del Pdl, Mauro Paniz, è poco credibile.
Risibile dissero le opposizioni nei loro interventi in aula. Per i giudici, Berlusconi non fece pressioni sui funzionari della questura di Milano nella convinzione che Karima El Mahroug, ormai nota come Ruby, fosse davvero una parente del premier egiziano Hosmi Moubarak.
Lo fece, invece, per mettersi al riparo dal reato di prostituzione minorile, che sarebbe potuto emergere se la diciassettenne avesse parlato. Per i magistrati non sussiste dunque l'ipotesi del reato ministeriale perché a spingere il premier ad alzare il telefono quella notte del 27 maggio furono ragioni privatissime. Anche perché il reato di concussione aggravata servì ad occultare reati commessi da altre persone. Berlusconi, sostengono dalla procura meneghina, intervenne a soccorso dei tre ospiti illustri delle serate di Arcore: Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti. Inutile dire che il capo dell'esecutivo non accetta questa ricostruzione e, in serata, fa trapelare che non è esclusa una denuncia nei confronti dei magistrati milanesi che avrebbero violato l'articolo 289 del Codice penale che prevede il reato di attentato contro organi costituzionali e punisce con la reclusione fino a cinque anni chi commette atti violenti diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente al Presidente della Repubblica o al Governo l'esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge.

Intimidazioni tutte da confermare che fanno tuttavia filtrare il livore del cavaliere che questa volta arriva a minacciare addirittura il carcere per i magistrati che etichetta come ‘avanguardia politica rivoluzionaria'. Insulti e tintinnii di manette che serviranno anche a condizionare il verdetto del gip di Milano, Cristina Di Censo, sulla richiesta di giudizio immediato avanzata oggi.

Ma il dato politico è chiaro: Berlusocni si sente arroccato e la guerra alle istituzioni è a trecentosessanta gradi, ma gli italiani non devono accorgersene. Ed ecco allora spuntare la minaccia di nuovo decreto intercettazioni che Berlusconi, a quanto si apprende, dovrebbe presentare già domani al Quirinale. E non è un caso che le invettive contro la pubblicazione delle intercettazioni del Ruby-gate abbiano scandito le ore della giornata in cui sono emersi nuovi elementi circa le conversazioni di Sara Tommasi, la showgirl che sarebbe coinvolta in un giro di prostituzione e che sarebbe parte centrale nel cosiddetto filone napoletano dell'inchiesta. Al centro delle intercettazioni della Tommasi ci sarebbero anche i cosiddetti ‘giri squallidi' della figlia del premier, Marina Berlusconi. Sono bastate quelle due parole nei confronti della presidente di Fininvest e Mondadori perché, come nei migliori romanzi sulla malavita, partisse l'affondo. ‘Stracciassero pure la mia immagine, ma non si azzardassero a sfiorare quella dei miei familiari' era il refrain berlusconiano nel corso dell'ufficio di guerra con tutto lo stato maggiore del Pdl convocato d'urgenza a Palazzo Grazioli. Un decreto urgente che servirebbe a ridurre l'uso delle future intercettazioni ma che, a rigor di logica, servirà prevalentemente a limitare la pubblicazione di quelle passate. Basta scorrere il testo del provvedimento del ministro Alfano, affossato alla Camera, per comprendere chiaramente che il decreto oltre a limitare le future indagini darà un colpo mortale all'informazione nazionale. Rispunta il rischio del bavaglio informativo tanto caro al premier per mettere la sordina a tutti gli scandali che lo coinvolgono.

La partita dunque, dalle aule giudiziarie, è ormai straripata nelle sedi istituzionali e politiche più alte. E il clima è quello di uno scontro finale con la Lega che accetta di combattere a fianco del cavaliere. Sembra un secolo fa, ma non è passata neanche una settimana da quando Berlusconi diramò un comunicato per dire che il Governo condivide pienamente l'appello del Capo dello Stato a interrompere 'una spirale insostenibile di contrapposizioni, arroccamenti e prove di forza'. Domani Berlusconi e Napolitano si vedranno al Quirinale.
Al centro dell'incontro la situazione politica alla luce delle inchieste milanesi. Vedremo se ci sarà il colpo di scena o se, proprio nelle mani del presidente del Csm, verrà consegnata ufficialmente la dichiarazione di guerra. Il documento varato dall'ufficio di presidenza del Pdl che etichetta i magistrati come avanguardia rivoluzionaria che agisce come un partito, fa propendere per la seconda ipotesi.

da - paneacqua.eu/notizia.
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 10, 2011, 03:21:20 pm »

Lo sfascista Berlusconi: «Faccio causa allo Stato»

Premier: vado al Quirinale. Il Colle smentisce

di Ninni Andriolo


Il cittadino Silvio contro il premier Berlusconi. Contro la presidenza del Consiglio – cioè – espressione di uno Stato che dovrebbe risarcire il danno procurato al Cavaliere dai pm di Milano. Un nuovo conflitto d’interessi si muove tra Arcore e Palazzo Grazioli-Chigi: la causa di risarcimento minacciata da Berlusconi contro «la vergogna» e lo «schifo con finalità eversive» del processo immediato chiesto al gip dalla procura che vanta “prove evidenti” per sfruttamento della prostituzione minorile e concussione. Un annuncio a effetto mediatico quello del Cavaliere.

Servirebbe l'ennesima legge ad personam – dopo il processo breve, il risarcimento brevissimo? - per modificare le regole. L’errore giudiziario potrebbe insorgere dopo il terzo grado di giudizio. E solo il dolo, tutto da dimostrare, potrebbe comportare la querela nei confronti del singolo magistrato. La «responsabilità civile», che il premier agita per punire i pm «eversori» che lo indagano, come azione diretta – e ammette lui stesso - «non esiste». Ma il preoccupatissimo Cavaliere ostenta «pelle dura» e tuona vendetta contro le toghe che avrebbero confezionato «accuse infondatissime» per «processi farsa» e che «non hanno competenza territoriale né funzionale» per indagare sulle notti allegre di Arcore e sulle iniziative meritorie per mettere al riparo l'Italia «dall'incidente diplomatico» che avrebbe scatenato l'arresto di Ruby-rubacuori nipote di Mubarak.

E chiama alla «mobilitazione» armando il Pdl per quella che Bossi definisce la «guerra totale» dei magistrati contro il Parlamento. Indicando «la controffensiva», però, il Cavaliere va a tentoni. Teme il boomerang, se la prende con il Capo dello Stato che «non mi tutela» e che «deve uscire allo scoperto». Nel tardo pomeriggio di ieri, così, Palazzo Grazioli dà per certo un incontro a tambur battente con il Presidente della Repubblica che «al momento», però, al Colle non risultava. Oggi, però, in occasione della Giornata del ricordo, in programma al Quirinale, Silvio tenterebbe il blitz per costringere Napolitano a discutere con lui la «situazione politica».

Per Berlusconi, in sostanza, la situazione è identica a quella del '94 quando «si ribaltò il risultato elettorale con l'avviso di garanzia che mi fu recapitato». Non mi faccio «processare da giornali e tv», tuona il Cavaliere. Silvio, dopo il Consiglio dei ministri di ieri, convoca lo stato maggiore di Pdl e governo per una riunione fiume conclusa a tarda sera. C'è chi ripropone il ricorso alla piazza, mentre si fa strada l'idea di denunciare la procura di Milano per attentato alla Costituzione. Il Cavaliere stesso propone un decreto legge contro «l'abuso nell'uso delle intercettazioni». Nuove regole che dovrebbero fare piazza pulita del lavoro del Parlamento. E che potrebbero azzerare gli atti dell'inchiesta Ruby e depotenziare il processo a suo carico. Lo scoglio, però, riguarderebbe – appunto - il Quirinale che «non sottoscriverebbe mai un provvedimento del genere».

Berlusconi, però, vorrebbe chiedere a Napolitano «gli ambiti entro i quali si potrebbe muovere un provvedimento d'urgenza del Consiglio dei ministri». Una iniziativa estemporanea che testimonia il caos che regna a Palazzo Grazioli. Il consiglio di guerra del Cavaliere, alla fine, approva un documento con il quale accusa la Procura di Milano di «disperezzare il Parlamento», di costituire «un’avanguardia politica rivoluzionaria», di agire «come partito politico», di sottoporre «a illegittimo controllo l'abitazione del Capo del governo», di voler privare i cittadini «di tutele rispetto a possibili azioni spregiudicate dal carattere eversivo».

Il Cavaliere. Secondo i suoi, potrebbe prendere la palla al balzo e «azzardare le elezioni anticipate» e scendere in campo come «vittima della persecuzione giudiziaria che gli impedisce di governare». Il Cavaliere cerca disperatamente «la mossa risolutiva» della difficile controffensiva. «La concussione non c’è, è risibile, non esiste – giurava ieri mattina alla fine della riunione del governo - Sono cose pretestuose che hanno portato fango all’Italia». Era appena iniziata la Conferenza stampa convocata per illustrare «la nuova fase di lavoro del governo» per il rilancio dell’economia, quando rimbalzava a Palazzo Chigi la richiesta della procura di Milano. Berlusconi aveva preparato con cura il rilancio mediatico dell'esecutivo del fare per sviare l'attenzione dai bunga bunga di Stato. A guastare la festa, però, ci pensavano i pm milanesi. Dimissioni, come chiede a gran voce Bersani? Il premier non ci pensa nemmeno. Non per amor suo, naturalmente, ma per amor di Patria. «Ho raggiunto tutti i traguardi – spiega - Sono un ricco signore che può passare la vita a fare ospedali per i bambini nel mondo, ma sto facendo un servizio al Paese e con tanti sacrifici”. E spalancando a sorpresa la bocca davanti alle telecamere rivela, poi, che non riesce «a mettere l'altro dente perché ho il nervo sotto che non guarisce». Se fosse rimasto «privato» cittadino, invece, non avrebbe «corso questo rischio». Cavaliere vittima: di chi vuole farlo fuori con le statuette del Duomo e di chi vuole farlo fuori organizzando “il golpe”. Come i pm di Milano.

da - unita.it/italia/lo-sfascista-berlusconi
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 10, 2011, 03:23:22 pm »

l'intervento del presidente della corte costituzionale «Giudici non imparziali? Offensivo»

De Siervo: eccessiva diffusione di interventi legislativi parziali, l'asse è passato dal Parlamento al governo

   
MILANO - «È denigratorio e gravemente offensivo sostenere che i 15 giudici della Consulta giudicherebbero sulla base di loro asserite appartenenze politiche». Così il presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo nel corso dell'annuale conferenza stampa a Palazzo della Consulta. «La più larga libertà di confronto fra tutti i giudici e l'integrale collegialità delle determinazioni - sottolinea - fanno sì che le decisioni che vengono infine adottate rappresentano il punto di arrivo di un organo sicuramente imparziale». La Consulta è stata più volte accusata, negli ultimi due anni, dal premier Silvio Berlusconi, di essere schierata, in particolare dopo la bocciatura parziale del "Lodo Alfano" sull'immunità delle alte cariche dello Stato e della legge sul legittimo impedimento.

INDIPENDENZA - De Siervo ha ricordato che i «giudici costituzionali sono appositamente scelti da organi diversi, presidente della Repubblica, Parlamento, supreme magistrature, ed entro categorie professionali particolarmente qualificate, in modo da garantire la loro più larga indipendenza di giudizio». Inoltre - aggiunge - i giudici «entrano in carica dopo aver giurato di osservare la Costituzione e le leggi». Gli ampi poteri della Consulta sono inoltre in linea con la realtà del resto d'Europa: «Dovrebbe essere ormai ben noto che nelle Costituzioni democratiche contemporanee viene pressoché costantemente previsto un organo del genere, al fine di tutelare il primato effettivo della Costituzione, attraverso quanto meno la possibilità di giudicare sulla conformità delle leggi al contenuto delle Costituzioni e sul rispetto da parte degli organi di vertice degli Stati delle norme costituzionali che ne delimitano le rispettive attribuzioni».

LEGGI PROVVISORIE - De Siervo ha poi parlato di quello che ritiene essere un limite dell'attività dell'attuale legislatura: «una notevole diffusione di interventi legislativi parziali, se non provvisori, l'accentuata difficoltà che si verifica ormai da molti anni nel sistema di produzione delle fonti normative». Fa poi notare che «si sono verificate moltissime trasformazioni in via di prassi dei classici sistemi di produzione normativa, in assenza di adeguati processi di riforma e razionalizzazione a livello costituzionale o almeno dei regolamenti parlamentari; al tempo stesso si è radicalmente spostato l'asse della produzione legislativa dal Parlamento al governo». A tale proposito rileva che «nel 2010 sono stati più i decreti legislativi che le leggi e che più di due terzi delle leggi approvate sono leggi di conversione dei decreti legge o di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Tutto ciò evidentemente pesa non poco su chi deve giudicare della legittimità costituzionale delle leggi». Nel 2010 - ha concluso - non poche sentenze della Corte si sono dovute riferire all'applicazione più o meno corretta dell'art. 76 della Costituzione, che disciplina appunto la delega legislativa, oppure «hanno dovuto faticosamente ricostruire determinate situazioni normative in quasi continua trasformazione nel tempo».

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10 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_10
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