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Autore Discussione: Daniela Monti Donne in una società bloccata Dobbiamo ripartire dal via?  (Letto 2841 volte)
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« inserito:: Febbraio 07, 2011, 05:30:49 pm »

La prima dice: «Da grande farò la escort». L'altra risponde: «La politica non mi interessa»

«Donne in una società bloccata Dobbiamo ripartire dal via?»

Ballestra: va reclamata la parità. Bossi Fedrigotti: bisogna educare i figli maschi


C'è una vignetta di Pat Carra, due amiche, una di fronte all'altra. La prima dice: «Da grande farò la escort». L'altra risponde: «A me la politica non interessa». La battuta è divertente ed è un concentrato di cose: c'è la cronaca di questi giorni, l'ironia sotto la quale nascondere l'amarezza, c'è il mettersi una di fronte all'altra e da lì partire per provare a ragionarci su quello che sta accadendo. Su chi siamo noi donne italiane, cosa vogliamo, domanda per nulla scontata perché oggi sembra complicato persino comprendere chi si desidera essere e diventare. Come nella vignetta di Pat Carra, abbiamo messo due donne una di fronte all'altra, diverse per generazione, per esperienze, per sentire. Abbiamo fatto ad entrambe le stesse domande consapevoli che non c'è, è ovvio, un solo tipo di donna, ma che la femminilità si declina in mille modi diversi. Silvia Ballestra, 41 anni. Isabella Bossi Fedrigotti, venti di più. Entrambe scrittrici.

«Molte fra noi si chiedono: ma allora siamo davvero tornate al via? Tutte le parole dette, i discorsi fatti sono state soltanto inutile retorica, aria fritta?», chiede Isabella Bossi Fedrigotti. «Se c'è la sensazione di un ritorno al passato è perché la società pare bloccata. Uscire di casa, fare figli, costruire una famiglia e quindi un rapporto maturo e paritario è quasi un'impresa. Questo comporta frustrazione, superficialità», risponde Silvia Ballestra. «Di femminismo forse è meglio non parlare. Quando qualcuno vuole insultare una donna oggi le dà della "femminista"! Alle donne non resta che l'azione, la faticosa e silenziosa azione. Studiare, prepararsi, coltivarsi, lavorare con gli uomini e anche più degli uomini: strada che, tra l'altro, le ragazze, molte ragazze, altre ragazze, hanno già imboccato da un po'», riprende la prima. «Il maschilismo da sala da biliardo e la volgarità televisiva, pubblicitaria che vediamo oggi sono un modello al tramonto. Prendetevelo, ragazze, il vostro futuro; lottate, reclamate, battagliate. Insomma, fate prendere un po' di paura a chi vi discrimina. In passato ha funzionato producendo una grande rivoluzione, perché non dovrebbe funzionare ancora?», contrattacca la seconda.

Chi siamo? Io, tu, le nostre figlie, le cugine, le sorelle, le amiche, le donne che ci stanno accanto.
Ballestra: «Siamo poco più del cinquanta per cento della popolazione italiana, in maggioranza tra i laureati, con una media migliore dei voti, con maggiori tassi di produttività. Ma in questo momento di crisi perdiamo il lavoro per prime, vediamo sparire il tempo pieno dei figli alle elementari, facciamo da ammortizzatore sociale alla famiglia».
Bossi Fedrigotti: «Vedo le mie amiche, le mie colleghe, mia sorella, le mie cognate - tanto per stare nella mia fascia d'età - parlo con loro e mi pare che ragionino tutte più o meno come me. Chi sono le donne del mio catalogo? Donne che in maggioranza ancora lavorano, che leggono, vanno al cinema, viaggiano se e quando possono, hanno mariti, figli e qualche volta nipoti, sono molto meno vecchie delle loro madri alla stessa loro età, nell'aspetto, sì, ma ancora di più, mi pare, nella testa».

Consapevoli di ciò che sta accadendo in questi giorni, del perimetro in cui l'attualità ci ha confinato: quanto ci sta stretta l'immagine della donna che ne esce?
Ballestra: «Se il riferimento è agli scandali sessuali, all'immaginario "malato" (parole della moglie) del premier, alle ragazze che lo compiacciono per soldi e favori, il perimetro è stretto, strettissimo. Eppure questo disagio che ci strangola era prevedibile: era latente e a volte pienamente conclamato da anni nel modello culturale dominante, che usa donne nude per vendere macchine e gelati. Il "bunga bunga" italiano dura da anni».
Bossi Fedrigotti: «Siamo consapevoli eccome, a prescindere dalle idee politiche, direi. Perché in questo "catalogo" ci sono donne, ovviamente, di una parte e dell'altra, anche se, quando le discussioni in proposito rischiano di infuocarsi, tendo a lasciar perdere - e non soltanto io -; in primo luogo perché nessuno convince nessuno, e poi perché l'amicizia come anche la parentela e i buoni rapporti passano prima. Cionondimeno molte tra noi si chiedono: ma allora siamo davvero tornate al via?».

A uscirne a pezzi non è la sola figura femminile, ma anche il rapporto uomo-donna: chi quel rapporto ha provato a cambiarlo (le donne della generazione di Isabella Bossi Fedrigotti) come vive quello che appare un ritorno al passato? E chi quel rapporto lo ha già trovato cambiato (la generazione di Silvia Ballestra) ha sbagliato a darlo per scontato?
Ballestra: «Il rapporto uomo-donna è in effetti cambiato: gli uomini di oggi di fronte alla paternità sono, per esempio, più consapevoli. Se c'è la sensazione di un ritorno al passato è perché la società pare bloccata. Se poi ogni giorno ci vengono mostrate caricature di uomini e caricature di donne...».

Bossi Fedrigotti: «Degli uomini, dei nostri uomini, di quelli che hanno vissuto con noi, che hanno parlato con noi, che ci sono stati vicini, che ci hanno amate e in molti casi ancora ci amano, dei nostri amici, dei nostri fratelli e colleghi, ci sentiamo oggi un po' meno sicure. Anche se c'intendevamo perfettamente, se condividevamo passioni e ragionamenti, se pensavamo di conoscerli come le nostre tasche, si è fatto strada tra noi il timore di scoprire, magari sentendoli per caso parlare tra amici, che in fin dei conti anche per loro le donne valgono un tanto al chilo. E che intelligenza, cultura, studio, impegno professionale contano assai poco al confronto della "fortuna sulla quale sono sedute"».

La questione è la libertà: come tenerla e usarla (meglio)?
Ballestra: «La libertà non è un concetto astratto. È lavoro, autonomia, e quindi libertà culturale, il che migliora i rapporti umani, anche quelli affettivi. Non credo che si possa separare la questione economica da quella della libertà, e intendo anche servizi, welfare, asili, strutture per gli anziani. Il modo migliore di usare la libertà è difenderla sempre. Per questo lo spettacolo indecoroso sul corpo della donna che vediamo in Italia ci offende: limita la nostra libertà».
Bossi Fedrigotti: «Di libertà, sessuale e non, dei suoi limiti e delle sue potenzialità sarebbe comunque bello che parlassero anche i padri. Ma servono padri che amino profondamente le loro figlie e non vedano in loro "merce" da mettere a frutto sul mercato migliore, così come un tempo si tentava di piazzarle con il partito più ricco o più potente».

Tutto sembra avere il fiato corto. Come «allungare il fiato» e dare alle giovani donne di oggi una prospettiva più larga all'interno della quale crescere?
Ballestra: «Credo che la cosa più sensata sulle prospettive delle donne di domani sia dire alle ragazze: prendetevele, lottate per allargarle, reclamate, battagliate».
Bossi Fedrigotti: «Ah, saperlo! Come se noi non lo avessimo, il fiato corto, tra lavoro e impegni familiari, tra anziani genitori da accudire da una parte e figli o anche nipoti dall'altra. Per lo meno le ragazze dovrebbero trovare i loro ragazzi già educati a condividere le corvée casalinghe, ad accudire il bebè, a parlare con il pediatra e con gli insegnanti dei figli. E se poi sono fortunatissime, hanno noi, mamme disponibili e instancabili».

Daniela Monti

01 febbraio 2011(ultima modifica: 02 febbraio 2011)© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - www.corriere.it/cronache/11_febbraio_01
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 07, 2011, 05:33:06 pm »

Le due scrittrici e le differenti visioni sul modo di manifestare il dissenso

Gamberale: no al moralismo

Maraini: c'è paura di indignarsi

Dibattito «rosa» in vista della manifestazione del 13 febbraio


Perché è stato necessario un caso Ruby per ridare la parola alle donne?
«Mai state zitte», è la risposta che rimbalza dai siti del pensiero femminile. Però la discussione, rimasta sottotraccia, ha avuto bisogno del detonatore di Arcore per diventare pubblica, di piazza. E per articolarsi ora, più passano i giorni, in un ventaglio di posizioni anche molto critiche: il no della filosofa Luisa Muraro alla manifestazione di domenica prossima, il suo invito «a non far scadere la politica nel moralismo», amplificato dalle migliaia di contatti su Facebook, ha aperto il fronte del dissenso. «A livello personale - riflette Chiara Gamberale, 33 anni, scrittrice - l'urgenza di un dibattito sull'identità (e la dignità) delle donne, in tv e non solo, l'abbiamo sentita in molte. Insomma, io l'ho sentita: ma l'ho vissuta come sono abituata a vivere tutto, fra me e me, curiosa ancora prima che scandalizzata, senza cioè utilizzare lo strumento del moralismo per comprendere quello che stava succedendo». «Ecco, molte giovani donne hanno il terrore di essere considerate moraliste - incalza Dacia Maraini, 74 anni -. Ma perché l'indignazione morale si trasforma così automaticamente in moralismo? Chi lo stabilisce? Perché tanta paura di mostrarsi indignati di fronte alla quotidiana offesa alla dignità femminile? Si tratta di una timidezza verso il giudizio comune da parte di chi come donna non ha mai avuto certezze storiche? Si tratta di paura? Difficile dirlo. A volte questo terrore paralizza».

Un confronto fra generazioni e sensibilità diverse che porta ad una prima divisione: alla manifestazione che domenica prossima toccherà molte piazze italiane, Maraini ci sarà, Gamberale no (mentre a Milano, ieri, avrebbe voluto esserci).
«La società ha purtroppo diseducato la mia generazione ai riti collettivi - risponde Gamberale -. Mi domando se l'individualismo che ho sempre ritenuto un'inclinazione del mio carattere non sia invece il frutto, se non velenoso comunque un po' marcio, di questa diseducazione».
Maraini: «C'è sempre la goccia che fa traboccare il vaso. Ma questo ha a che fare con le reazioni di massa. Per quanto riguarda me, sono anni che scrivo di questo degrado, ma è come parlare al muro. Per fare un esempio, praticamente ogni anno ho scritto uno o due articoli contro lo spazio che la televisione dà al concorso di Miss Italia che per me è una delle forme della reificazione del corpo femminile. Ma non è servito a niente. Solo quando la voce individuale si unisce a quella collettiva, diventa udibile. Le donne come Paese, come collettività, è vero sono state ferme e zitte in questi anni. Un poco perché non vogliono sentirsi moraliste, lo abbiamo detto. Un poco perché gli uomini che frequentano, che amano o da cui dipendono economicamente non vogliono sentire parlare di rivendicazioni: una cosa da "femministe isteriche". C'è stato un lavoro culturale di addormentamento delle coscienze che ha agito sia sugli uomini che sulle donne. Ma è una cultura molto fragile, basta poco per mandarla in frantumi».

Sta nascendo un nuovo movimento delle donne? Con quali riferimenti, se la politica, soprattutto per i giovani, è sempre più un'astrazione?
Gamberale: «Un movimento non può nascere contro qualcosa come il comportamento delle ragazze di Arcore. Quando la bufera sulle escort sarà passata, finirà anche il movimento? Come cittadina sono indignata dalla Minetti, con relativi stipendi e cariche, ma come donna non mi sono mai sentita messa in discussione da chi usa la propria testa, il proprio corpo e il proprio cuore in modo diverso da come ho scelto di fare io. Chiedo basi più solide, più condivise: il maschilismo imperante, il lavoro femminile che non c'è, la discriminazione, queste sono le cose per cui lottare. La mia generazione (ma forse dovrei dire non-generazione) è fatta di persone che vivono ciascuna nel proprio mondo, il moralismo non ci appartiene. E questa è una delle poche cose che ci accomunano».
Maraini: «Io alla manifestazione ci sarò, non occorre essere d'accordo al cento per cento per andarci. L'ho provato sulla mia pelle: le voci femminili, se sono isolate, non contano. La voce delle donne ha peso solo se ha dietro un sentire comune. Non stiamo facendo alta filosofia, stiamo parlando di un movimento di opinione che in questo momento va sostenuto perché è il solo modo che abbiamo per dire basta. La politica c'entra poco, questa è solo indignazione contro il degrado del Paese. Non è una manifestazione contro le donne di Arcore, al contrario: loro sono le prime vittime di questa cultura che vogliamo cambiare».

Rappresentate due generazioni diverse. C'è stato un passaggio di testimone da una all'altra oppure qualcosa nel racconto femminile si è interrotto?
Gamberale: «Devo moltissimo alle donne della generazione di Dacia, anche se forse non me ne rendo conto. È lì che il testimone rischia di scivolare di mano alla mia generazione: nel pensare, a livello inconscio, che il grosso sia già stato fatto».
Maraini: «Io ho continuato, con una fedeltà quasi grottesca alle mie idee, le battaglie per difendere la dignità delle donne. Coi miei libri, con il giornalismo, con le tantissime conferenze, dibattiti, incontri con le scuole, convegni. Quindi credo che qualcosa passi da una generazione all'altra. Ma forse non abbastanza. Dall'altra parte c'è la forza massacrante della tv, ci sono i modelli delle donne bellissime, ricche, ammirate, desiderate, che fanno uso di un linguaggio della seduzione proposto dalla cultura di mercato che si propone come l'unica vincente. E le giovani più sprovvedute, meno preparate a difendere la propria autonomia, credono sinceramente che quella sia la sola possibile espressione della femminilità su questa terra».

Daniela Monti

06 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_06
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