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Autore Discussione: RACHIDA DATI Sicurezza e fratellanza  (Letto 2587 volte)
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« inserito:: Agosto 24, 2010, 11:12:32 am »

24/8/2010

Sicurezza e fratellanza
   
RACHIDA DATI*

Il dibattito sulla sicurezza che agita il nostro Paese non può che inquietare quanti hanno un profondo attaccamento alla Francia.
Oggi più che mai dobbiamo proteggere i valori di libertà, uguaglianza, fratellanza, che sono il fondamento della nostra Repubblica e il cemento del nostro Paese.

Il primo valore di cui dobbiamo recuperare il senso è la libertà. Nel dibattito, certamente necessario, nato nel corso dell’estate, non bisogna perdere di vista il fatto che la sicurezza deve costituire, per tutti, la prima delle libertà. Non possiamo fare economia di nuove soluzioni per fronteggiare l’insicurezza crescente in Francia. Il nostro primo obiettivo dev’essere quello di ristabilire, su tutto il territorio, la sicurezza cui ciascuno ha diritto.

Su queste questioni, che pure sono una delle prime preoccupazioni dei francesi, l’opposizione socialista, intrappolata nel conservatorismo e nei tabù ideologici di un’altra epoca, si esprime poco e non propone nulla... e mi dispiace! E’ inevitabile constatare che Daniel Cohn-Bendit, spiegando che l’Europa deve saper aprire o chiudere le sue porte, ha più coscienza dei problemi posti dalla sicurezza e dall’immigrazione che i suoi amici socialisti. Questi ultimi farebbero bene a guardarsi intorno: vedrebbero in che modo la Spagna controlli l’immigrazione e come Germania e Inghilterra abbiano preso misure drastiche in materia di sicurezza e di responsabilizzazione delle famiglie. Il secondo valore su cui dobbiamo interrogarci alla luce della nostra attualità è l’uguaglianza. La Francia è un Paese che offre opportunità a tutti, per tutta la vita, che accoglie tutti a scuola, che non segrega, non fa compartimenti stagni, non attizza l’odio né le gelosie.
Io lo posso testimoniare: per i figli dell’immigrazione, l’uguaglianza è il vettore e la finalità di un’integrazione riuscita.

Smettiamo di stigmatizzare questi «francesi della diversità» come «figli dell’immigrazione» e di relegarli a funzioni o a quote che li rimandano sistematicamente a origini e Paesi che essi non conoscono. E’ questa l’uguaglianza che ognuno di noi deve pretendere.
Noi condividiamo gli stessi valori e lo stesso amore per la Francia. Ed è questo che ci unisce, è questa la traduzione concreta della fratellanza repubblicana. Fratellanza è rifiutare con la stessa forza tutti i comportamenti che tendono a isolare una categoria di persone. La Francia non è mai tanto grande e forte come quando si mostra unita. E questa unità è un bene prezioso che dobbiamo conservare.

La piega che ha preso il dibattito acceso dalla proposta del presidente di ampliare i casi di revoca della nazionalità francese è incresciosa. Questa proposta prevede di estendere una situazione già prevista dal nostro diritto, nell’ambito del rispetto delle convenzioni internazionali. Questa proposta ha però il pregio di ricordarci che diventare francesi non è un atto anodino e di restituire tutto il loro significato ai valori repubblicani. Insana non è dunque la proposta, ma il dibattito che ne è seguito. In particolare, mi spiace che alcuni abbiano potuto lasciarsi andare a una confusione tra immigrazione e delinquenza. Immigrati e figli di immigrati non sono delinquenti potenziali. La nostra sfida oggi, in quanto responsabili politici, è quella di contribuire a creare un nuovo clima di pacificazione, affinché tutti i francesi siano nuovamente in sintonia con i valori fondamentali della nostra Repubblica. Che non è angelismo né immobilismo, e ancor meno il rifiuto dell’altro.

Copyright Le Monde
* Eurodeputata e sindaco del VIIarrondissement di Parigi
http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7743&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 03, 2011, 06:25:37 pm »

3/1/2011

Non lasciamo che la crisi ci imbarbarisca


RACHIDA DATI

La marea populista che sale in Europa ci deve preoccupare. Crisi economica, immigrazione clandestina e ritorno del terrorismo hanno attizzato la paura: estremisti di ogni genere guadagnano terreno inmolti Paesi europeinostri vicini.

L’Europa dovrebbe essere realistica sul tema immigrazione, ne ha bisogno e continuerà ad averne bisogno. La Francia è sempre stata terra di accoglienza, in particolare per chi si èbattutoinguerraal fianco dei nostri soldati e per coloro che hanno contribuito alla ricostruzione della Francia e alla prosperità delle sue industrie.

Oggi si dovrebbe ripensare l’immigrazione in maniera pacata, e dovremmo mettere in opera una politica efficace di integrazione.

La politica dell’integrazione riguarda tutti. Di fronte alla paure e alla sensazione d’ingiustizia generate - legittimamente - dalla crisi, dobbiamo più che mai resistere alla tentazione di ripiegarci su noi stesi e rigettare l’altro. Anche perché, troppo spesso, sbagliamo avversario.

Per esempio, quando vengono presi a bersaglio i nostri compatrioti di cultura e confessione islamiche, bisogna chiaramente distinguere l’infima minoranza di persone che utilizzano l’islam per giustificare pratiche contrarie alle credenze pacifiche della grande maggioranza dei musulmani e per sfidare i valori della Repubblica. Non si può ignorare che la maggioranza silenziosa dei musulmani è la prima vittima delle azioni della minoranza integralista.

Come non inquietarsi per una situazione come quella di Malmoe in Svezia, dove da un anno un assassino sconosciuto prende di mira gli immigrati? E che dire di un recente sondaggio della fondazione tedesca FriedrichEbert da cui il 58% delle persone ascoltate risulta favorevole alla limitazione delle «pratiche religiose musulmane»?

Sì, l’integrazione riguarda tutti, e noi abbiamo la responsabilità morale di agire per smorzare i risentimenti ed evitare sia gli eccessi dei partigiani dell’immigrazione zero sia di quelli della regolarizzazione di massa. In Francia si parla continuamente di immigrazione, si ama dibatterne, spesso per sottolineare soltanto i fallimenti. Per troppo tempo in materia di integrazione ci siamo appiattiti su meccanismi di integrazione stereotipati, quali che siano le origini degli immigrati che sono qui da molti anni; e quanto ai loro figli, recenti ricerche mostrano che il sistema educativo è diventato via via meno capace di integrazione.

L’abbassamento dei requisiti scolastici avrebbe dovuto ridurre le ineguaglianze sociali; così non è stato, ridurre gli standard non ha favorito la mobilità sociale auspicata. Nel 2009 un rapporto della Corte dei conti di Parigi ha dimostrato l’inefficacia di questo sistema nel ridurre le diseguaglianze, anzi il rischio della ghettizzazione etnica e sociale è risultato accentuato. Così ha constatato anche l’Alto consiglio per l’integrazione (Hci). Citerò un solo esempio, la messa in opera dei programmi di conoscenza delle culture d’origine. Questi programmi sono stati sviluppati negli Anni 80 per facilitare i legami con i «Paesi d’origine». Ma ha ancora senso, per i bambini di terza o quarta generazione, che in genere sono di nazionalità francese, trovarsi davanti degli insegnanti «della cultura d’origine» che, da parte loro, conoscono poco il nostro Paese? È dal 1991 che l’Alto consiglio per l’integrazione chiede di sopprimere questi corsi, e invece sempre più allievi li frequentano, e così non sanno più se sono francesi. Ci vuole il coraggio politico di finirla.

A scuola un altro freno all’integrazione è la concentrazione di una stessa popolazione, con le medesime difficoltà, negli stessi quartieri e quindi negli stessi istituti scolastici. Nelle nostre città bisogna imporre una politica volontarista di mescolanza sociale, fatta in maniera intelligente e non puramente aritmetica.

Perché non incoraggiare le famiglie a cambiare luogo di abitazione attraverso un dispositivo di incentivazione? Perché non lavorare con le municipalità per la messa in opera di una politica di abitazione sociale capillare, fatta immobile per immobile, e non più solamente quartiere per quartiere? È una politica da inventare, che non si può ridurre all’attuale legge Dalo - «Droit au logement opposable» - criticata oggi persino da chi l’aveva proposta, perché ha intensificato l’effetto-ghetto.

Allora, smettiamo di sognare l’«integrazione», è più che mai tempo di mettersi all’opera concretamente perché non passa solo attraverso la scuola ma anche attraverso l’inserimento sociale e professionale. Accogliere dei giovani nella sfera professionale significa integrarli.

Aiutiamo quelli che possono a fare degli studi superiori in un ambiente sereno, ma soprattutto non abbandoniamo mai ai bordi della strada i giovani che sono in difficoltà o che non se la sentono più di proseguire lunghi studi. A questo scopo bisogna assolutamente valorizzare la filiera professionale. Perché si sa, l’apprendimento di un mestiere è la maniera per integrare generazioni di donne e di uomini. Appartenere alla classe operaia dava fierezza, conferiva status! Non confondiamo eccellenza ed elitarismo!

Per questo dovremmo forse avviare misure di discriminazione positiva, cioè azioni provvisorie che conducano all’eguaglianza reale? Non deve essere più un tabù. Se tali misure favoriscono l’integrazione, perché escluderle in maniera dogmatica? Ma attenzione, non bisogna spingere la discriminazione positiva all’eccesso. Detto altrimenti, una spintarella sì, un assistenzialismo controproducente no.

Quando Nicolas Sarkozy in campagna elettorale diceva «tutto diventa possibile» molti giovani francesi, venuti dagli orizzonti più diversi, hanno creduto al suo messaggio. Questi giovani dovrebbero ancora poter credere che in Francia nulla è mai perduto. A noi dimostrarlo!

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