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Autore Discussione: ALESSANDRA COMAZZI  (Letto 4088 volte)
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« inserito:: Marzo 18, 2010, 10:13:18 am »

18/3/2010

Noi galline, capaci di grandi cose
   
ALESSANDRA COMAZZI

Succede che le donne in tv sono: o giovanissime e seduttive con gambe, sederi e tette di fuori. Perché il vecchio slogan «Il corpo è mio e lo gestisco io» si è trasformato in «Il corpo è mio e lo spoglio in tivù». Oppure svolgono in ordine sparso queste attività: portano la dentiera, e cercano di non farla ballare; vanno troppo al gabinetto e quindi serve qualcosa che freni; ci vanno troppo poco e devono ritrovare la naturale regolarità. Decidono di fare tanta pipì per depurarsi, ma, siccome cominciano ad avere un’età, la pipì se la fanno addosso e va combattuto l’odore in ascensore. L’odore perseguita: se le signore vogliono piacere devono trovare un prodotto che non faccia sudare e non le pianti in asso. Né deve piantare in asso quell’unguentino rosa che elimina il fastidioso prurito «lì». Questi sono i modelli: oggetti del desiderio o impiastri.

Eppure: il 60 % del pubblico tv è femminile, e le donne sono le maggiori responsabili di acquisto. Quindi, inevitabilmente, qualcosa deve cambiare. Ben vengano le reti dedicate: non sono ghetti, a questo punto sono emancipazione. C’è Hallmark, canale 127 di Sky, «per le donne di oggi con il buon gusto di ieri». In programma film, biografie, approfondimenti, la settimana scorsa Il secolo delle donne, gran documentario e documento. C’è Lei, rete lanciata, nel gennaio 2009, da galline di varie specie e fogge: altere, fotografate benissimo, ingioiellate, chiamate per nome. Se ci danno la larga (anzi, meglio prendercela da sole), possiamo fare grandi cose, noi galline.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Aprile 04, 2010, 11:26:44 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 04, 2010, 11:25:25 am »

4/4/2010

L'artista dello sberleffo
   
ALESSANDRA COMAZZI

Maurizio Mosca approdò in video alla fine degli Anni 70 e non solo non si mosse più, ma testimoniò compiutamente il passaggio dalla tv educativa del sussiego a quella impositiva dell’urlo e dello sberleffo. Mosca è uno spartiacque. Prima di lui, anche il calcio era educativo, uno dei mondi ingessati, e ovviamente falsi, che la tv metteva in scena. Dopo di lui, il gioco del pallone, e la sua rappresentazione iconografica da piccolo schermo, non fu più come prima. Mosca riteneva di dover trattare il calcio commettendo il «sacrilegio dell’ironia», e non come se fosse un «totem da adorare». Così faceva, così lo ricordiamo.

Lui era serissimo, professionalmente e umanamente, solo che della tv si innamorò e per restarci ebbe l’ispirazione del grande balzo in avanti: passare da persona a personaggio, trasformandosi in una maschera da commedia dell’arte. Quando lo decise, o lo intuì, i tempi erano maturi: per il calcio-spettacolo, per la politica-spettacolo, per la tv della lacrima, del dolore e delle grida e dei travestimenti. Finito il sussiego, libero sfogo alla creatività, spesso confinante con il trash, la spazzatura contaminata degli uomini di cultura. Toccava spararle grosse. Sempre più grosse. E se in principio lui stava al calcio come Sgarbi stava alla storia dell’arte, con l’andar del tempo e l’ondeggiar del pendolino, venne a ricordare il mago Otelma dalle dubbie divinazioni. Comunque, un «carattere». Televisivamente indimenticabile.

da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 01, 2010, 03:47:13 pm »

1/10/2010

Il futuro è abitare nello schermo
   
ALESSANDRA COMAZZI

Dopo l’HD, l’alta definizione, è in arrivo il 3D, la tv a tre dimensioni, nuova tecnologia che ti porta dritto in mezzo alla scena. Al Centro di produzione Rai di Torino, per esempio, hanno realizzato un Fantabosco speciale, elfi fate e gnomi tridimensionali. Con la farfalla che, guardala, si posa sulla spalla. Per non parlare del celentanesco «Ragazzo della via Gluck» in 3D pure lui, e di tante altre sperimentazioni sempre più consolidate. L’evoluzione tecnica è simile per cinema, tv e computer, mentre si studiano schermi che consentano di non mettere nemmeno gli occhialini sul naso.

Che cosa farne di questa terza dimensione, di questa profondità? Peter Greenaway, il visionario regista inglese che gioca con la realtà e la sua simulazione, dice che la tv è morta, se per l’appunto non trova la sua terza dimensione (lui, per la verità, sostiene che è morto anche il cinema). Ma per trovarla, il problema non è tecnico: è di contenuto. In tanta tridimensionalità bisogna navigare, altrimenti siamo solo di fronte a un trucco tecnologico. Finora, l’unica profondità consentita allo spettatore era il telecomando, che ti spostava dal mondo al quartiere. Adesso dobbiamo interpretare una profondità che consenta, come nei videogiochi, di passare a livelli successivi. Si chiama Inhabited tv, «tv abitata». Quando il piccolo schermo incontra Internet, lo spettatore entra nei programmi, li vive e li modifica. Fantascienza? No, futuro prossimo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7903&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 09, 2010, 06:07:23 pm »

9/11/2010

Così la tv riscopre il teatro
   
ALESSANDRA COMAZZI

Benigni esausto che canta «E’ tutto mio» è stato un gran pezzo di televisione. E «Vieni via con me» è stato soprattutto teatro in televisione. Quelle tre ore di elenchi, monologhi, canzoni, sembravano ciò che di più antitelevisivo si possa dare, in questi video-tempi veloci e affrettati, fatti di slogan e non di ragionamenti. Il programma di Fabio Fazio ha invece riscoperto il valore della parola. Non a caso, di sfondo, stavano le pietre millenarie di un teatro greco. Con orgoglio intellettuale, il riferimento non detto era al Verbo, «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Orgoglio ma non presunzione, perché la presunzione è fatta di improvvisazione e di superficialità e di scarsa conoscenza dei mezzi propri e altrui. Fazio invece è così: si prepara, e cerca il meglio su piazza, inseguendo il pensiero trasversale. In fondo fu lui a portare Gorbaciov e il Nobel Dulbecco sul palcoscenico di Sanremo. Ebbe un successo ancora ineguagliato, pure quantitativo, e in fondo quel Festival segnò la via.

Canta Daniele Silvestri il fondamentale brano di Gaber «Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono», e a poco a poco la parola «italiano» trascolora e diventa «Saviano». Fazio aveva cominciato questo spettacolo che è una citazione di Paolo Conte, con una serie di elenchi alla Hornby, i buoni motivi per costruire una moschea a Torino, i mestieri di una giovane neolaureata. Poi è arrivato Nichi Vendola a dire i modi in cui si può definire l’omosessuale. E Abbado ha elencato i motivi per cui è sbagliato tagliare i fondi alla cultura.

All’Italia e alla mafia era dedicato il monologo di Saviano, lungo una buona mezzora. Mezzora è molto lunga in tv. Lui l’ha saputa gestire con foga oratoria, richiami a Falcone e Borsellino, la lucida indignazione sulla macchina del fango, che ricopre chi si schiera «contro questo governo. Viene attaccata la vita privata, e chi deve scrivere ha paura. Così si attacca la libertà di stampa, di informazione». Luci splendide, primi piani gloriosi. Poi è arrivato Benigni: «Poiché io non prendo il mio cachet, spero che Masi rinunci allo stipendio». Battute battute battute, e una narrazione di una lucida analisi comico politica, culminata nella canzone «E’ tutto mio». Battuta migliore. «Dice Bersani di Berlusconi: bisogna abbatterlo politicamente: la prossima voglia bisogna beccarlo con una minorenne del pd».

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8061&ID_sezione=&sezione=
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