Palestinesi fatevi furbi
di Charles A. Kupchan
Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 06:39.
Da oltre sessant'anni israeliani e palestinesi sono impantanati in ciclici corsi e ricorsi di violenza intramezzata da inutili tentativi di arrivare a delineare un accordo di pace. Gli ultimi negoziati sono già a rischio per la reazione di rifiuto opposta dall'Autorità Palestinese al proposito d'Israele di procedere alla realizzazione di altre colonie in Cisgiordania. Tenuto conto del deludente iter seguito sinora, una svolta radicale imporrebbe di effettuare qualcosa di audace, e non di procedere a un ulteriore round di cavillosità di ogni genere.
Invece di abbandonare il tavolo delle trattative, i palestinesi dovrebbero compiere tale mossa audace e prendere tutto ciò che potranno, non ciò che vorrebbero. Poiché in teoria è Israele ad avere in mano tutte le carte, l'Autorità Palestinese dovrebbe fare a Israele un'offerta tale da non poter essere rifiutata, saltando a piè pari l'ostacolo, e dichiarando ufficialmente di essere pronta ad accettare a grandi linee i punti dell'accordo che i governi israeliani che si sono succeduti negli anni hanno già messo sul tavolo.
Per garantirsi quello che è il suo obiettivo primario - avere uno stato - l'Autorità Palestinese dovrebbe accettare le principali colonie d'Israele in Cisgiordania in uno scambio di terre per Israele; dovrebbe rinunciare al diritto al ritorno della maggior parte dei profughi palestinesi e preferibilmente assicurarsi un risarcimento pecuniario; dovrebbe accettare un'effettiva smilitarizzazione dello stato palestinese per rispettare le esigenze di sicurezza d'Israele; e infine i palestinesi dovrebbero puntare a creare la propria capitale nella parte araba di Gerusalemme Est.
Quantunque possa sembrare un gesto di follia da parte dell'Autorità Palestinese accettare le condizioni d'Israele come mossa iniziale, ai leader palestinesi di fatto resta ben poca scelta: possono dunque optare per uno stato a questi termini, oppure per nessuno stato. I palestinesi, in sostanza, dovrebbero smettere di negarsi questa unica chance di avere uno stato tutto loro aggrappandosi a richieste che tutti sanno che non saranno mai soddisfatte fino in fondo.
Certo, il presidente Mahmoud Abbas e il primo ministro Salaam Fayyad già ora mancano di un adeguato supporto popolare, e concessioni a Israele così significative potrebbero sicuramente tradursi per loro in un contraccolpo sul piano pubblico. Ma la debolezza politica può essere un punto di forza. La loro legittimità è in funzione di ciò che essi possono assicurare, non ciò che essi sono. La crescita economica che l'anno scorso ha raggiunto il 7%, la costruzione di nuovi centri commerciali, la realizzazione di cinema nelle città palestinesi, le forze di sicurezza rispettate, finalmente, più che temute conferiscono ad Abbas e Fayyad la credibilità necessaria per poter stringere un accordo, specialmente nel caso in cui la ricompensa finale dovesse essere un vero stato.
Un'offerta così audace da parte dell'Autorità Palestinese renderebbe oltretutto vulnerabile il governo israeliano, il cui impegno nei confronti dei nuovi insediamenti rimane molto vago. In realtà, il governo di coalizione del primo ministro Benjamin Netanyahu potrebbe essere fin troppo a destra per approvare qualsiasi esito che comporti un ritiro d'Israele da buona parte della Cisgiordania.
Il fatto è che con circa i due terzi dell'elettorato israeliano favorevoli alla soluzione dei due stati, Netanyahu potrebbe dover affrontare una notevole pressione popolare a prendere provvedimenti in questo senso, qualora i palestinesi mettessero sul tavolo una loro proposta interessante. Ne conseguirebbe verosimilmente una crisi per l'attuale governo di Netanyahu, e questo lo costringerebbe a mettere insieme una coalizione più moderata - che probabilmente comprenderebbe anche il partito di centro Kadima - che si rivelerebbe più aperta e disponibile a trattare su un accordo terra-in-cambio-di-pace.
Dando maggior forza ai moderati d'Israele, l'Autorità Palestinese oltretutto quasi certamente migliorerebbe i termini di un accordo conclusivo. Mentre Netanyahu parla ancora adesso di una Gerusalemme unica e indivisa, occorrerebbe un centro israeliano più forte per garantire un valido supporto utile a far sì che Gerusalemme Est diventi la capitale dello stato palestinese. E sebbene i grandi insediamenti ebraici vicini a Gerusalemme - per esempio Ma'ale Adumim - di sicuro rimarrebbero parte di Israele, altre colonie più isolate come Ariel potrebbero essere rimesse in gioco.
Se i palestinesi accettassero i termini d'Israele, riuscirebbero inoltre ad assicurarsi un altro tassello conclusivo del puzzle: continue pressioni americane su Israele per arrivare a un accordo finale. Quanto più abile si dimostrerà l'Autorità Palestinese nel dimostrare di essere un partner attendibile e bendisposto nei negoziati, tanto più facile sarà per il presidente Barack Obama respingere le critiche interne mosse alla facilità e alla prontezza con le quali si è indirizzato maggiormente verso Netanyahu. E benché Obama non sia poi così popolare in Israele, gli israeliani dipendono in tutto e per tutto dalle mosse di Washington, e capiscono che il loro paese sta diventando sempre più isolato sul palcoscenico mondiale, e che per loro l'appoggio morale e materiale degli Stati Uniti è e continua a essere di vitale importanza.
Le pressioni da parte di Washington sono necessarie per negare a Israele quella compiacenza che attualmente si associa al suo benessere: per gli israeliani è una tentazione troppo forte rimandare le scelte dure e difficili al futuro. Inoltre, quando le autorità israeliane effettueranno davvero quelle scelte così ardue, troveranno vantaggioso giustificare le concessioni tanto necessarie come tutelare l'alleanza cruciale d'Israele con gli Stati Uniti. Sradicare decine di migliaia di ebrei dalle loro case in Cisgiordania sarà doloroso e darà inevitabilmente adito a forti controversie. Ma scongiurare una drastica rottura con gli Stati Uniti offrirà ai leader israeliani un alibi politico fondamentale.
Questa rapida manovra verso un accordo conclusivo tra l'Autorità Palestinese e Israele naturalmente lascia fuori dal quadro Gaza, controllata da Hamas. Ma anche su questo versante una tempestiva e audace mossa da parte dell'Autorità Palestinese si rivelerebbe proficua. Una prospettiva realistica di pace e di uno stato per la Cisgiordania potrebbe convincere Hamas a cercare di ottenere la medesima cosa per Gaza. In caso contrario, gli abitanti di Gaza verosimilmente liquiderebbero senza indugio Hamas a favore di una leadership disposta a unirsi alla Cisgiordania in un unico stato palestinese.
Per scongiurare dunque l'ennesimo round di negoziati senza capo né coda, destinati a restare infruttuosi, l'Autorità Palestinese dovrebbe accettare subito la maggior parte delle condizioni poste da Israele per un accordo di pace, e Israele dovrebbe accogliere immediatamente una simile offerta. In futuro si andrà inevitabilmente incontro a difficoltà, quando tali accordi dovranno concretizzarsi in realtà, e tuttavia questa strategia del "rischiamo pure il tutto per tutto", in definitiva potrebbe fornire la chance migliore - forse l'unica - per una pace duratura.
(Traduzione di Anna Bissanti)
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