Obama, il presidente che ha insegnato agli uomini come piangere
Tra le eredità del presidente ce n’è una di tipo sentimentale: la capacità maschile di mostrare i sentimenti in pubblico
Pubblicato il 16/01/2017
Ultima modifica il 16/01/2017 alle ore 12:23
Laura Aguzzi
Di Barack Obama è stato detto e scritto di tutto. Alla scadenza del suo secondo mandato, si parla della sua eredità politica, economica, internazionale. Si è detto che è stato il presidente della “coolness”, un presidente figo insomma. E il lungo elenco di Gif a lui dedicate da Ghiphy ci ricorda che ce ne vorrà di tempo per vederne un altro così. Eppure di una delle sue eredità, minore forse, ma importante, non si parla molto: il coraggio di aver mostrato i sentimenti maschili in pubblico. Le sue lacrime, ad esempio: si sono viste molto e se n’è parlato poco. Eppure sono state un bellissimo regalo per molte donne e uomini. Prima di lui nessun presidente aveva osato tanto.
«Michelle LaVaughn Robinson negli ultimi 25 anni non sei stata solo mia moglie e la madre delle mie figlie, sei stata il mio migliore amico»: il 10 gennaio le bacheche Facebook di tutto il mondo sembravano essersi incantate dopo il tributo alla First Lady fatto da Obama durante il suo ultimo discorso da Presidente. Non una semplice dichiarazione d’amore, quanto di totale parità e complicità. In questi anni Michelle Obama ha pianto in pubblico meno di quanto lo abbia fatto Obama: è successo mentre cercava di aiutare Hillary in difficoltà nella campagna elettorale, quando disse: «Mi alzo ogni mattina in una casa costruita da schiavi e guardo le mie figlie, due giovani donne nere, giocare con il loro cane nel prato della Casa Bianca». E poi di nuovo nel suo ultimo discorso da First Lady: lacrime composte, trattenute.
Obama invece si è commosso più volte senza mai far nulla per nascondersi. Tutti ricordiamo il suo volto rigato di lacrime dopo la strage di bambini alla Sandy Hook Elementary School: «Ogni volta che ripenso a quei bambini, divento matto». Era il 5 gennaio del 2016. Non era mai successo che un presidente piangesse durante un discorso per la percezione di un’ingiustizia. Lacrime di impotenza di fronte a un massacro: lui, il Presidente degli Stati Uniti, che ci dice che non è onnipotente, che è pur sempre un uomo con i suoi limiti. E non se ne vergogna. Pochi giorni prima Obama si era commosso per l’esibizione (stratosferica) di Aretha Franklin alla cerimonia per i Kennedy Center Honors. Chissà cos’avrà pensato il presidente in quel momento: forse che Aretha ha passato parte della sua vita sotto la segregazione razziale e che il suo talento straordinario è stato più forte dei pregiudizi. O forse che la sua età avanza e lei riesce ancora a incantare il pubblico.
Tutto era iniziato con il ballo di inaugurazione di fronte a Beyoncé, l’intensità di quel ballo. Ma basta guardare alcune delle foto di Barack Obama con le figlie per capire quanto l’emotività sia stata centrale nel mondo comunicativo di Obama. Non ostentata, né nascosta. Semplicemente parte dell’uomo e del Presidente. Ugualmente si potrebbe dire dell’espressioni di sentimenti di affetto profondo verso altri uomini, come accaduto con Joe Biden (anche lui si è commosso quando da Obama ha ricevuto la Presidential Medal of Freedom, una delle massime onorificenze Usa).
Ma non è vero che Barack Obama sia stato l’unico presidente degli Stati Uniti a piangere in pubblico. Sembra che Dwight Eisenhower pianse passando in rassegna le truppe che si apprestavano allo Sbarco in Normandia (condannate a gravissime perdite) durante la seconda Guerra mondiale. Di certo lo fece pochi anni dopo, nel ’52, durante un discorso al pranzo con l’82° Airborne Division (82ema Divisione aviotrasportata), che al D-Day e alle operazioni successive aveva pagato un durissimo tributo di sangue. Nixon ebbe un accenno di commozione durante il suo discorso d’addio dopo lo scandalo Watergate, parlando di sua madre (ma si trattenne). George W. Bush aveva il volto rigato di lacrime durante la cerimonia per la consegna postuma della Medaglia d’Onore al caporale eroe della Marina Jason Dunham, alla Casa Bianca nel gennaio del 2007.
Ma le lacrime dell’uomo che piange per le incombenze e il sacrificio che il suo ruolo gli impone rientrano in una visione tipicamente maschile del mondo. Le lacrime degli uomini non sono ammesse in società se non per sancire un patto tra gli uomini. Solo per motivi alti quali, appunto, il sacrificio per il bene supremo della patria, le vite dei soldati caduti in difesa della nazione. Barack Obama ha mostrato un aspetto più sentimentale: un uomo può commuoversi anche per i propri sentimenti, per l’amore, per l’amicizia, per l’indignazione o il dolore. Può mostrare che la cosa più importante della sua vita sono le sue figlie e il rispetto della compagna di una vita. Può piangere per le ingiustizie.
Le donne continuano a essere condannate per voler assumere “atteggiamenti da uomo” quando cercano di inserirsi in ambienti a forte predominanza maschile (come la politica o il giornalismo). Salvo poi essere rimproverate o apertamente prese in giro se lasciano emergere un lato più vulnerabile. Le lacrime maschili in società aiutano a scalfire il mito del cowboy machissimo che piuttosto fa a cazzotti (cosa socialmente tollerabile) ma no, le lacrime no. Obama ha mostrato che un uomo può essere abbastanza forte e solido da non aver paura di mostrare le propria fragilità. D’altronde tutte le donne del mondo sanno che gli uomini piangono. Anche se loro continuano a nasconderlo in pubblico.
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