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Autore Discussione: Carlo LUCARELLI. -  (Letto 5287 volte)
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« inserito:: Gennaio 30, 2009, 10:50:40 pm »

Quel treno per Auschwitz

di Carlo Lucarelli


Questo è il quarto anno che viaggio fino ad Auschwitz con il Treno della Memoria organizzato dalla Fondazione che coordina una serie di attività sulla memoria che partono dall'ex Campo di Concentramento di Fossoli, vicino a Carpi.

È un treno stranissimo e meraviglioso, dove ci sono musicisti che suonano, scrittori che parlano, storici che raccontano e soprattutto settecento ragazzi, la maggior parte della provincia di Modena, che vanno fino a quel luogo così importante per la nostra storia e per la nostra vita, a guardare, capire, rendersi conto, lasciarsi suggestionare dalle emozioni più diverse e portarsi tutto a casa. So già che quando ci sarà il viaggio dell'anno prossimo ci tornerò di nuovo a scoprire anch'io altri dettagli, altre storie e soprattutto alte emozioni.

Perché non è un viaggio triste, nonostante l'argomento e la destinazione.

Perché ho visto morte e orrore, va bene, ma ho visto anche ragazzi giovanissimi decidere di fare di questo viaggio la loro gita, preferendola a mete sicuramente meno impegnative. Ho sentito quanto sapevano di questi argomenti e ho capito che era molto di più di quello che mi sarei aspetto. Ho visto le loro espressioni, le loro emozioni, quello che si sono inventati per esprimerle e per commemorare a modo loro quei morti. Li ho sentiti dire che la memoria è importante, ma non basta. Bisogna anche cambiare le cose.

Per questo, ogni anno, torno felice da questo viaggio.

Perché penso che ci sono tanti insegnanti che nonostante le bastonate prese dalla categoria sanno fare davvero bene il loro mestiere. E che ci sono ragazzi veramente in gamba, che le cose, loro, le cambieranno davvero.

30 gennaio 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Marzo 26, 2009, 10:59:07 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 20, 2009, 11:51:58 pm »

L' arte di far paura

di Carlo Lucarelli


Dalle agenzie di stampa del 19 marzo 2009.

Renato Brunetta, ministro della Repubblica: «Sono un democratico e credo molto di più al voto che alle azioni di guerriglia. Nelle recenti elezioni degli studenti l'Onda non l'ho vista, quindi sono dei guerriglieri e verranno trattati come guerriglieri».
Fare ridere, mi è capitato di dirlo già una volta, è una cosa molto seria. Ecco, bene, lo è anche fare paura. Bisogna farlo bene, a ragione veduta e nel modo giusto, se no non funziona e ottiene un pessimo effetto, che può essere ridicolo o peggio, pericoloso.

È quello che si dice sempre per la cronaca nera, per esempio: che a forza di spettacolarizzare i delitti non fa più paura come un fatto di vita ma appassiona come una scena da film dell'orrore, che suscita forti emozioni codificate e previste ma non certo reali.

Bene, vale anche per le minacce, nei film e nei romanzi gialli o dell'orrore, come nella realtà.
Per questo non ho capito l'affermazione del ministro Brunetta che dice che i contestatori dell'Onda vanno trattati come guerriglieri.
Lo dico senza nessuno spirito di polemica o faziosità politica: che significa?

Che bisogna bombardarli col napalm come in Vietnam?

Impiccarli con un cartello appeso al collo come con i partigiani?

Abbattergli le case con le ruspe come in Palestina?

Ghigliottinarli, come in Vandea?

Lo chiedo da giallista, sapendo che certe dinamiche devono essere motivate, proporzionate e credibili, se no sono soltanto sparate da film splatter.

A meno che il ministro non sia più bravo di noi giallisti a fare paura.

20 marzo 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Marzo 25, 2009, 04:59:20 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 21, 2009, 10:00:43 pm »

Contro i misteri

di Carlo Lucarelli


La transessuale Brenda, testimone del più recente dei nostri scandali nazionali, assassinata - è l’omicidio l’ipotesi dei magistrati - nella notte: due valigie pronte accanto alla porta d’ingresso, il computer nel lavandino. Ecco, un nuovo «mistero italiano». Che comincia proprio quando - è ancora notizia di ieri - un altro dei nostri misteri, la scomparsa di Emanuela Orlandi, sembra giunto, ventisei anni dopo, a una svolta. Un mistero che comincia, un mistero che forse finirà. Non voglio fare ipotesi sulla morte di Brenda, né mi azzardo a farne su quanto, nel caso Orlandi, questa «svolta», l’ennesima, sia reale. Credo, però, che esistano delle regole che, se applicate, possono consentire a tutti noi di non vivere più nel «paese dei misteri. Perché i nostri misteri sono speciali. Sono, appunto, «misteri italiani». Nei normali misteri esiste un assassino, per esempio, che non vuole essere scoperto e fa di tutto per nascondere la verità. In questi casi, nei normali misteri, il controinteresse alla verità è l’interesse dell’assassino.

Nei misteri italiani c’è dell’altro. C’è un altro controinteresse. Quello di qualche potere forte che, per motivi suoi, non vuole la verità. La prima regola la chiamerei «coerenza d’indagine». Vuol dire che si deve indagare subito, e su tutti i fronti, indagare cioè a 360 gradi, come si dice sempre e raramente si fa, e in modo corretto.

Preservando la scena del delitto, utilizzando tutti gli strumenti scientifici idonei ad analizzarla, raccogliendo con tempestività le testimonianze, seguendo subito le piste che si aprono, anche quelle meno facili. E bisogna farlo con coerenza, cioè attraverso la stessa «mano investigativa». Perché all’origine di molti dei nostri misteri ci sono conflitti di competenze, legittime suspicioni, avocazioni, oltre che rivalità tra investigatori. La seconda regola è la «corretta controinformazione». Perché siccome il mistero è «italiano», e il controinteresse non è quello di un normale assassino ma di un potere forte, è necessario che l’informazione diventi contropotere e, cioè, controinformazione.

Ma deve essere corretta, deve formulare ipotesi alternative controllate e fondate. Le semplici suggestioni e le dietrologie fanno perdere di credibilità alle ipotesi e, alla fine, contribuiscono a perpetuare il mistero. La terza regola ci riguarda tutti: l’interesse forte e costante, il controllo, da parte dell’opinione pubblica. Proprio perché siamo «il paese dei misteri» siamo anche il paese del mondo che ha il maggior numero di associazioni di familiari delle vittime. Vittime delle stragi della strategia della tensione, vittime del terrorismo, vittime della mafia. Combattono contro i misteri quando, però, essi già si sono consolidati. Possono, purtroppo, agire solo dopo .

Un paese con un’opinione pubblica attenta, invece, può intervenire prima . Dobbiamo sentirci tutti «familiari delle vittime» per poter sperare che in futuro non ci siano più vittime dei misteri italiani.

21 novembre 2009
da unita.it
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 14, 2010, 04:11:55 pm »

Il paese dei dossier


di Carlo Lucarelli

Se si guarda nel vocabolario alla parola “dossier” si trova come definizione quella di un fascicolo di carte o documenti relativi ad uno stesso fatto, ad uno stesso argomento o ad una stessa persona. In alcuni dizionari etimologici, però, la parola dossier non si trova neppure, quasi non fosse propriamente una parola italiana.
Curiosamente, invece, “dossier” è in questi giorni una delle parole più usate in italiano, ed è una parola che mette paura. Basta la voce, “c’è un dossier su di te”, per far perdere il sonno. Mette insieme, quella parola, un senso di segreto inconfessabile, di minaccia letale, di infamia. E ancora più curiosamente è diventata in questi giorni sinonimo di politica, di prassi politica, di vita parlamentare e istituzionale.
No, il secondo “curiosamente” me lo rimangio subito, e anche quel “in questi giorni”. L’uso del dossier, della raccolta di informazioni sensibili, di fatti e fattacci da mettere dentro un fascicolo per farlo sventolare al momento giusto, senza neppure doverlo aprire, è qualcosa che appartiene alla politica - e soprattutto a quella italiana - da sempre. È da quando esiste questa Repubblica - e ancora prima, dai tempi di Cavour - che si scoprono archivi segreti gestiti da servizi segreti più o meno deviati e si scoprono ricatti alla base di scelte politiche, soprattutto di improvvisi cambiamenti di linea. Insomma, è da tanto tempo che in Italia si fa politica con i dossier.
Non è un vizio soltanto nostro - il Watergate che costò la presidenza a Nixon era più o meno questo, una raccolta di informazioni da mettere in un dossier - e non l’abbiamo neppure inventato noi italiani. Ma siamo riusciti a prfezionarlo così bene e oggi a renderlo così comune che prima o poi, nei dizionari, meriterà una voce a parte.

13 agosto 2010
http://www.unita.it/news/carlo_lucarelli/102325/il_paese_dei_dossier
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