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Autore Discussione: Mario Vargas Llosa. Le case d’angolo di Fëdor Dostoevskij  (Letto 2393 volte)
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« inserito:: Agosto 19, 2010, 12:08:34 am »

Il racconto

Le case d’angolo di Fëdor Dostoevskij

Cercava sempre abitazioni con finestre che davano su due diverse prospettive: era il suo modo di essere


Fëdor Dostoevskij visse in tante case e in tanti luoghi diversi - non si fermò mai per più di tre anni nello stesso posto - ed ebbe sempre l’ossessione di avere appartamenti ad angolo, con le finestre affacciate sulle due strade e vicino a una chiesa, in modo da poter ascoltare le campane, una musica che acquietava il suo spirito. L’ultima casa in cui abitò, e dove morì nel 1881 qualche mese prima di compiere sessant’anni, tra la Prospettiva Kuznechny e l’antica strada Yamskaya, oggi via Dostoevskij, rispondeva a tutti questi requisiti, e adesso chi la visita può ancora udire i rintocchi delle campane della vicina chiesa ortodossa di Vladimir che chiamano a raccolta i fedeli.

Questa zona di San Pietroburgo, conosciuta come il «quartiere dei mercati», oggi pullula di ceceni e di altri forestieri poveri e perciò è considerata pericolosa per i turisti. Quando visitai la casa per la prima volta, quarant’anni fa, era un luogo piuttosto triste e solitario, molto diverso da come è oggi, rumoroso, popolare, promiscuo, molto vitale. Ancora non esisteva il museo dove sono state ricostruite le sei stanze in cui Fëdor Dostoevskij e Anna Grigor’evna, con i loro figli Ljubov e Fëdor, si trasferirono nell’ottobre del 1878, per fuggire dall’appartamento dove era morto il piccolo Aleksej, una delle tragedie che fecero soffrire di più il tormentato autore de I Demoni. È una casa modesta, anche se meno ascetica delle precedenti, perfino con qualche oggetto di lusso, come il servizio da tè in porcellana che illumina uno degli armadi vetrina o il comodo divano inglese dello studio dove Dostoevskij poteva sdraiarsi per un breve riposo tra le interminabili e febbrili nottate durante le quali scriveva, quasi sempre in uno stato di trance, I Fratelli Karamazov, una delle sue opere maestre. Era già molto malato. L’appartamento si trova al secondo piano e ogni volta che saliva le scale, l’illustre inquilino doveva fermarsi un momento, per riprendere fiato. Il medico gli aveva proibito di fumare, ma lui rispettava il divieto solo durante il giorno; la sera fumava ininterrottamente quando scriveva, e sul suo tavolo da lavoro oggi c’è ancora la scatola di sigarette che arrotolava con le sue mani nervose mentre rileggeva le cartelle appena scritte.

Alla fine di gennaio 1881 ebbe la prima emorragia della gola. Chiese alla moglie di leggergli uno dei suoi passaggi preferiti dell’esemplare della Bibbia che portava sempre con sé da quando gli fu regalato dalle mogli dei «decabristi», trentuno anni prima, alla stazione di Tobolsk, mentre passava di lì, come un condannato, verso il suo esilio di quattro anni in Siberia. Anna era la sua seconda moglie, di venticinque anni più giovane di lui. Erano sposati da undici anni e lei, con la sua energia, devozione e talento, aveva messo un certo ordine nella vita sempre sregolata e al limite del catastrofico di Fëdor. Grazie a questa donna giovane e combattiva, le sue finanze erano migliorate, lei guadagnava qualcosa distribuendo libri e lui non doveva più immolarsi scrivendo come un forzato. Si era tolto il vizio del gioco che gli aveva causato tante sciagure. Dopo il primo malore, ebbe altre due emorragie. La seconda mise fine alla sua vita. La sua stessa vedova o qualcuno in visita riuscì a fermare l’orologio dello scrittoio nello stesso istante della sua morte: le otto e trentotto della sera. L’orologio è ancora lì, centotrent’anni dopo, a segnare l’ora funesta.

Lo seppellirono nel cimitero Tichvin, del monastero di Aleksandr Nevskij, alla periferia di San Pietroburgo. È un luogo ameno, e la tomba di Dostoevskij, circondata di alberi e fiori, con una bella statua che riflette fedelmente i suoi lineamenti austeri e il suo sguardo profondo e febbrile, confina con quelle di altri esponenti del genio creativo russo: Rimskij-Korsakov, Aleksandr Borodin, Modest Musorgskij, Il’ic Cajkovskij, Glinka. La mattina che andai a vedere la tomba pioveva, e alcuni visitatori riverenti depositavano mazzi di fiori sul sepolcro. Io portai mezza dozzina di rose rosse.

Anche se Dostoevskij non nacque a San Pietroburgo ma a Mosca, è questa la città che lo segnò di più. Qui si formò come scrittore e qui si fece conoscere e divenne famoso, e fu qui che, dopo i dieci anni di silenzio letterario che patì per non aver fatto parte del circolo rivoluzionario dei «decabristi», dovette reinventarsi come scrittore. San Pietroburgo è dove visse più a lungo. D’altronde nessun’altra città è più impregnata delle sue storie, dei suoi personaggi e del misto di truculenza, dramma, spiritualità, rottura intellettuale e mistero tipico della sua opera, che si percepisce soprattutto camminando per le viuzze scalcinate del quartiere Sennaya lungo le sponde del Canale Griboedova, dove si svolgono gli episodi principali di Delitto e Castigo; un romanzo che Dostoevskij finì di scrivere non molto lontano da qui, in un appartamento della strada Kaznacheiskaya, anch’esso visitabile.

È il più realista dei suoi racconti, almeno nel senso che i luoghi che descrive sono quasi tutti identificabili, alcuni con targhe che li ricordano. La casa in cui Raskólnikov uccide Aliona Ivanovna, al civico 104 del Canale Griboedova, si conserva intatta come lui la racconta, le mattonelle irregolari, le pareti sbiadite e le inferriate arrugginite, così come la sua gente melanconica e derelitta. Perfino il mattino plumbeo, piovoso e denso di oscure premonizioni appare dostoevskiano. Ma ancora più impressionanti sono i luoghi associati alla vita di Raskolnikov, che sembrano appena usciti dalle pagine del romanzo, come la soffocante taverna dove questi confessa il proprio delitto a Zamëtov, o la casa dove l’assassino viveva. È anch’essa ad angolo, e un busto di Dostoevskij calvo e gobbo ne adorna la facciata. Le intemperie hanno cancellato la vernice e l’intero edificio - in realtà l’intero quartiere, povero e sordido - appare sul punto di crollare. Il lungo atrio in pietra ha un soffitto a volta dove l’eco ripete ogni suono e il piccolo patio interno, intorno al quale si sviluppano gli appartamenti, è angusto e sgraziato come la ripida scaletta che conduce alle abitazioni. Stufa dei visitatori, un’inquilina che trascina pesantemente la sua grassezza e il suo odio per la vita ci riempie di imprecazioni. Un gatto miagola da qualche parte. È impossibile non avere l’impressione che un assassino divorato dalle sue inquietudini metafisiche si aggiri nei paraggi.

La casa museo di Dostoevskij insiste che, contrariamente alla leggenda, l’autore de Il sosia era lungi dall’essere un uomo cupo e amareggiato. Gli piaceva giocare con i bambini per i quali inventava e leggeva racconti. Mostrava loro la sua collezione di fotografie di scrittori e artisti famosi che, oggi, sono esposte nella stanza in cui Anna conservava i libri che vendeva. La maggior parte delle foto sono di scrittori russi. Fra gli europei, figurano un Chisciotte slavizzato, alcune opere di Charles Fourier e di Hoffman e le effigi di Victor Hugo da giovane e di George Sand, una scrittrice che, per un sorprendente malinteso, finì per diventare immensamente popolare tra i giovani liberali russi della generazione di Dostoevskij, non tanto come scrittrice di romanzi, quanto come ideologa progressista e protagonista di lotte sociali. Qui, frammenti di corrispondenza ci rivelano le opinioni che il padrone di casa si era fatto di alcune città dell’Europa occidentale durante i suoi viaggi. La più inaspettata: che Parigi era una città noiosissima dove non c’era niente da fare.

Dopo questa peregrinazione dostoevskiana, è quasi obbligatorio che la giornata si concluda nel Teatro Mariinskij, per assistere a un’opera adattata da Il Giocatore, con libretto e musica di Sergej Prokofiev. Anche se la storia e i personaggi sono gli stessi, ciò che accade in scena ha poco a che vedere con il romanzo di Dostoevskij, almeno per quanto ricordo, visto che abbondano situazioni farsesche, intrecci e caricature, e il dramma si dissolve tra i sorrisi. Ma la musica è splendida, le voci magnifiche, l’orchestra eccellente e il vertiginoso barocchismo del locale calza come un guanto con lo spettacolo. L’unico elemento dostoevskiano della serata è il direttore d’orchestra, Valerij Gergiev, con il suo sguardo elettrizzato e il gesticolare che passa senza sosta dal moderato al frenetico, dalla delicatezza alla brutalità, dal sussulto all’estasi, rendendo protagonisti tutti gli strumenti e tenendo spettatori, musicisti, cantanti (e perfino le maschere) in uno stato di stupore e di insicurezza sfrenata.

L’ultima volta che vidi Gergiev, a Salisburgo, aveva i capelli lunghi e una barba di diversi giorni; oggi ha i capelli corti e si rade, ma mentre dirige l’orchestra continua a essere un posseduto, che va sempre oltre la partitura, un essere sotterraneo, connesso con le profondità inquietanti dell’abisso umano, capace di trasformare un concerto o un’opera in una cerimonia geniale e agghiacciante. Chi lo conosce mi ha assicurato che nel resto della giornata è una persona normalissima, a cui piace divorare, nei due ristoranti di sua proprietà a San Pietroburgo, salmoni bianchi da leccarsi le dita.

Mario Vargas Llosa
(Traduzione di Francesca Buffo)
19 luglio 2010(ultima modifica: 20 luglio 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’autore
Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa (Arequipa, 28 marzo 1936) esordì nel 1963 con «La città e i cani» romanzo che, come le successive opere, si caratterizza per grande capacità descrittiva. Successivamente ottenne successo con «Pantaleón e le visitatrici» del 1973 e «La zia Julia e lo scribacchino» del ’77. Si candidò alla presidenza del Perù come principale antagonista di Alberto Fujimori. Per il giallo «Il caporale Lituma sulle Ande» ha ricevuto il Premio Planeta. Nel 1994 ha assunto la cittadinanza spagnola. Ha ricevuto anche il premio Cervantes e il Grinzane Cavour.

http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_19/vargas-llosa-case-fedor-dostoevskij_a662c562-9314-11df-a33b-00144f02aabe.shtml
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