IL RETROSCENA
Ora il Lingotto vuole un plebiscito altrimenti la Panda rimane in Polonia
Per i vertici della Fiat, il referendum di martedì sull'accordo separato sarà il momento decisivo: o si troverà il modo di produrre auto come si fa in altri Paesi o si dovrà imboccare subito un'altra strada
di SALVATORE TROPEA
TORINO - Non siamo proprio ai giorni turbolenti della marcia dei quarantamila ma il clima che si respira al Lingotto ricorda molto da vicino l'autunno di trent'anni fa. Per i vertici della Fiat, dal presidente John Elkann a Sergio Marchionne al top management, il referendum di martedì sull'accordo separato sarà il momento decisivo: o si troverà il modo di produrre auto come si fa in altri paesi o si dovrà imboccare subito un'altra strada. L'ad del Lingotto Sergio Marchionne non ha ancora detto a chiare lettere quale potrebbe essere questa strada ma non è difficile intuire che possa portare anche a Tychy, ovvero allo stabilimento polacco da dove dovrebbero essere trasferite le Panda da produrre a Pomigliano. Andiamo a vedere che cosa pensa la gente di Pomigliano e poi decideremo: più che una considerazione sembra essere questa una parola d'ordine che viene ripetuta in queste ore. Durante le quali, qualcuno che ha vissuto la vertenza dei trentacinque giorni prova a sdrammatizzare: "Abbiamo visto di peggio". Come dire che anche questa passerà.
Ma che cosa si aspetta la Fiat dal referendum? In queste ore di vigilia, a Torino, non azzardano percentuali, qualcuno spera addirittura che prima di martedì possa succedere qualcosa in grado di sgomberare il cammino da ostacoli che vengono definiti ideologici e comunque di altri tempi. Ma la reazione di ieri di Marchionne, il giudizio tagliente, su uno scenario sindacale e non solo sindacale italiano che lui sperimenta per la prima volta da quando
sei anni fa è approdato in Fiat, lascia intuire che egli ha messo in conto tutti i possibili sbocchi, anche i più drammatici.
Perciò la scelta di affidarsi al voto di martedì è l'ultima carta giocata però con la consapevolezza che anche un risultato positivo potrebbe non chiudere la partita definitivamente.
Il suo obiettivo è quello di evitare una conflittualità permanente. Questo nelle intenzioni dei vertici del gruppo torinese presuppone un risultato del referendum largamente a favore dei firmatari dell'accordo. Ciò vuol dire che non basterà un 51 per cento e neppure un 60. La Fiat ha preso certo in esame l'ipotesi di fronteggiare le eventuali contestazioni legali, ma è questo un percorso che cercherà di evitare nella convinzione che non si possa lavorare in presenza di uno stillicidio di cause di lavoro che presumibilmente la vedrebbero perdente. Perciò il Lingotto punta al bersaglio grosso di un referendum plebiscitario, al massimo con il voto contrario degli iscritti alla Fiom che non dovrebbe superare il 20 per cento. E, senza dirlo, confida anche nella sponda di Fim, Uilm e Fismic che, a modo loro, sperano di regolare i conti con la Fiom.
Dispiaciuto e seccato per questo irrigidimento che, interrompe bruscamente la sua luna di miele col sindacato, Marchionne ha pensato fino all'ultimo che fosse possibile una ricomposizione. Forse lo pensa ancora ma se non avrà la più che certezza di un chiarimento è pronto a fare altre scelte. Non teme che lo scontro di Pomigliano possa contagiare altre realtà dell'universo Fiat. Sa che lo sciopero di Mirafiori e le reazioni di Termini e di Melfi fanno parte del gioco e che la partita decisiva è quella di Pomigliano: il contratto, spiegano al Lingotto, riguarda quello stabilimento e non altri dove non sono stati mai registrati i problemi di assenteismo cronico rilevati a più riprese in quella fabbrica. E' probabile che, come ai tempi dell'autunno dell'Ottanta, la Fiat abbia pronta la documentazione che testimonierebbe questa ingovernabilità.
Il referendum e poi? La risposta è nelle parole di Marchionne: "Se la gente non vuole che si facciano le auto a Pomigliano andremo altrove". Non è il Piano B da lui ventilato nella presentazione del 21 aprile quando probabilmente non immaginava uno scontro così duro, ma potrebbe essere un'anticipazione. Certo non sarà tanto facile riscrivere la parte del piano che prevede il trasferimento della Panda da Tychy a Pomigliano e della Lancia Y da Termini a Tychy, ma se fosse costretto Marchionne potrebbe farlo. E' questa l'opzione più realistica che hanno a Torino in caso di rottura insanabile col sindacato. Dopotutto sarebbe una soluzione che alla Fiat risolverebbe anche il problema dei rapporti col governo polacco il cui ex premier e candidato presidenziale Jaroslaw Kaczynski, in un comizio davanti allo stabilimento della Fiat Auto Poland (Fap), appena due giorni fa ha criticato aspramente Varsavia per avere accettato il trasferimento della Panda.
A Torino c'è chi accenna anche ad altre possibilità alternative a un ritorno in Polonia. Ma in questi giorni non si capisce se si tratta di una minaccia o di una soluzione realizzabile nei tempi eventualmente imposti dall'esito della vertenza di Pomigliano. Perciò il Lingotto preferisce concentrare l'attenzione sul referendum nella convinzione o nella speranza che i lavoratori di Pomigliano e la gente del posto "scelgano di stare dalla parte del lavoro". Tutte le altre decisioni la Fiat le prenderà dopo il fatidico martedì.
© Riproduzione riservata (19 giugno 2010)
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