Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Agosto 29, 2007, 12:08:56 am » |
|
Eva Cantarella: «Tutti pazzi per la Grecia ma ha anche facce oscure» Giuliano Capecelatro
«Olimpia? Ma è il simbolo stesso della grecità. Il luogo in cui i Greci si sentivano per una volta nazione». Risponde da una barca. Casualmente proprio davanti alle coste greche. Per sua fortuna, a considerevole distanza dalle terre devastate dalle fiamme. Eva Cantarella, ordinario di Istituzioni di diritto romano e di Diritto antico greco alla Statale di Milano, è in vacanza. Ma l´argomento, che da decenni è al centro dei suoi interessi, e su cui ha scritto libri importanti, la stuzzica troppo perché si sottragga alle domande che rimbalzano da Roma via cellulare. Olimpia simbolo della grecità, che informa la civiltà moderna. Come dire che è l´Occidente stesso che sta andando a fuoco.
«Io eviterei certi luoghi comuni. Sì, Olimpia rappresentava la grecità. Qui i Greci, impegnati di solito a guerreggiare tra loro, concludevano la pace olimpica per la stagione della gare, due mesi. Ma lo spirito con cui si andava ad Olimpia era del tutto differente da quello dei nostri giochi olimpici».
Vuol dire che non strombazzavano, come si fa oggi sotto la sferza degli sponsor, di sport che affratella?
«Al contrario. Si andava ad Olimpia ben determinati a vincere. La vittoria faceva addirittura parte dell´etica del cittadino. Vincere se stessi e gli altri rappresentava un valore positivo. Significava aver dato il meglio di sè. E le gare atletiche mostravano la virtù di un uomo. La percezione della Grecia è molto legata ad una visione storiografica superata. Il miracolo greco. Atene dove tutto fiorisce, la Grecia culla della civiltà. Una concezione romantica alla Winkelmann».
È indubbio, però, che quei valori sono arrivati fino ad oggi.
«In realtà quando De Coubertin ha rispolverato i giochi olimpici, ha inventato un motto che è proprio l´antitesi di quello che pensavano i greci. Per loro non era importante partecipare, ma soltanto vincere. Il poeta Pindaro scrive che chi perde a Olimpia torna a casa per sentieri obliqui».
Insomma i costumi erano alquanto degenerati rispetto ai tempi degli eroi di Omero.
«E perché? Gli eroi di Omero fanno a gara a chi ammazza di più. L´eroe è il più forte, quello che vince. Solo in seguito questa concezione sarà stemperata da valori collaborativi, come l´idea di giustizia».
Che peraltro non ha mai prodotto una costruzione monumentale simile al diritto romano.
«Il diritto greco è stato qualcosa di molto diverso. Non c´è stata una scienza giuridica. Soltanto pratica. Non si faceva riflessione teorica. Era un compito riservato ai soli filosofi. Quel poco che sappiamo, lo abbiamo appreso per lo più da opere letterario. Il che ha un suo fascino. La giustizia era il campo in cui si cimentavano i grandi retori. Che scrivevano discorsi, difese e accuse, che i loro clienti ripetevano poi a memoria davanti al giudice. Bisognava incantare i giudici popolari, che in qualche processo ad Atene arrivavano alla bella cifra di cinquecentouno. E i retori erano abilissimi a imbrogliare le carte. Anche perché i giudici non conoscevano la legge. Era la parte che doveva esporgliela, come elemento di prova».
Sembra di scorgere qualche ombra su quella che acriticamente viene considerata un´epoca dell´umanità luminosa.
«Tantissime ombre. Intanto era una società fondata sullo schiavismo. Con Aristotele che teorizzava convinto l´inferiorità naturale dello schiavo. Riservando lo stesso trattamento alla donna. Cui si assegnava una capacità di deliberare di poco superiore a quella di uno schiavo. Persino nella riproduzione le veniva assegnato un ruolo passivo. Un recipiente. Il vero genitore era il padre».
Non si può disconoscere, però, che la civiltà moderna debba tanto all´Ellade.
«Certo. Ma non era tutta farina del loro sacco. I Greci avevano debiti cospicui. Con la civiltà mediorientale. Fino a qualche tempo fa si ammetteva solo qualche lascito dagli ittiti, popolo indoeuropeo, perché dominava una concezione eurocentrica. Oggi sappiamo bene che i debiti c´erano anche con le civiltà semite, con l´Egitto. La mitologia riprende temi orientali. Crono che castra Urano è presente anche nelle mitologie mediorientali. Non sono figure che sorgono autonomamente dappertutto. E l´alfabeto fenicio viene rielaborato, reso più duttile, ma è sempre una derivazione».
Dunque, non una ma tante Grecie quanto erano le città-Stato. Cosa rappresentavano e cosa possono rappresentare per l´uomo moderno?
«Atene è senza dubbio la democrazia. E la democrazia è anche l´arte, la bellezza. Tanto grande da non farci vedere le ombre, che appunto ci sono. Sparta... Sparta è il simbolo dell´aristocrazia. ma anche del rigore morale. Delle madri che davano lo scudo al figlio che partiva per la guerra e dicevano: o con questo o su questo. Delfi si identificava con la Pizia, le profezie, l´al di là...»
Il lato oscuro che spesso trascurato, l´orfismo...
«Ma c´era anche un aspetto positivo in questo. Costruttivo. Si andava dall´oracolo per avere un responso su una città da fondare. Un elemento razionale. Non era tutto concentrato sui fumi che uscivano dalla terra».
E all´uomo moderno cosa può dire ancora quella civiltà, oltre alla visione dei suoi resti?
«Agli italiani, agli europei, che hanno una superiore cultura classica, molto. Il Partenone, anche se mitizzato, resta un simbolo unico della bellezza e della civiltà. Salire sull´Acropoli di Atene è sempre una grandissima emozione. Fa penetrare una luce nelle coscienze».
Pubblicato il: 28.08.07 Modificato il: 28.08.07 alle ore 8.21 © l'Unità.
|