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Autore Discussione: Scarpelli, troppo raffinato per fare il regista  (Letto 2639 volte)
Admin
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« inserito:: Aprile 29, 2010, 10:40:27 am »

29/4/2010

Scarpelli, troppo raffinato per fare il regista


MASOLINO D'AMICO

Proprio come Fellini, Furio Scarpelli coniugava uno squisito orecchio per la lingua con un occhio infallibile e una grande mano di disegnatore. Era dunque nato per il cinema, anche se fu sempre troppo riservato, troppo ironico, troppo poco disposto a imporsi (vogliamo dire, troppo fine?), per fare il regista. Ma negli ultimi anni aveva trovato un nuovo sbocco alla sua creatività, nelle migliaia di illustrazioni e nel testo per una graphic novel intitolata Passioni cui solo la sua incontentabilità ha impedito di dare l’ultima mano ma che, quando vedrà la luce, risulterà il più elegante dei testamenti. Come disegnatore era figlio d’arte: suo padre Filiberto Scarpelli fu umorista, vignettista, cofondatore nel 1900 del Travaso delle idee; e proprio nei giornali satirici Furio si era fatto le ossa.

Come sceneggiatore, ben presto in coppia con l’a lungo inseparabile Age Incrocci, cominciò dalle cosiddette «totoate», appena un gradino più su dell’avanspettacolo, ma poi il duo legò il suo nome alla continuazione del neorealismo in chiave comica, con l’inserimento di una nota amara nei film di svago. Ben prima di Pasolini, Guardie e ladri (1950) metteva sullo stesso piano di poveri cristi il furfante e il poliziotto; La grande guerra (‘59) attaccò coraggiosamente uno degli intangibili miti nazionali; Sedotta e abbandonata (‘64) affrontò la condizione della donna nel Meridione. Steno, Monicelli, Germi erano i registi della prima, gloriosa fase della commedia all’italiana; con Scola si entrò in quella successiva di riflessione, C’eravamo tanto amati (‘74), La terrazza (‘80). Ci sarebbero state, prima e dopo, evasioni e divagazioni, come l’immortale Armata Brancaleone (‘66), per cui fu inventato un irresistibile idioma pseudoarcaico.

Sempre attivo, insegnante alla Scuola nazionale di Cinema e generoso mentore di giovani registi come Francesca Archibugi e Paolo Virzì, Scarpelli evitò con caratteristica grazia di diventare un monumento per continuare fino all’ultimo a essere se stesso, conversatore incantevole, ideologo pugnace, amante indefesso della letteratura, della musica, dell’amicizia e insomma di tutto quello che rende accettabile la vita.

da lastampa.it
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