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Autore Discussione: Il gigante impotente  (Letto 2024 volte)
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« inserito:: Giugno 02, 2010, 11:51:24 am »

Stefano Rizzo,   01 giugno 2010, 21:30

Il gigante impotente

L'esercito degli Stati Uniti è presente in almeno cinquanta paesi, le sue flotte navigano in tutti i mari e gli oceani, i suoi satelliti militari circondano la terra con una rete di sorveglianza che non ha eguali, i suoi missili e bombardieri atomici sono pronti a colpire qualunque angolo del pianeta in pochi minuti. Con tutto ciò gli Stati Uniti sono un gigante impotente. Tre eventi di questi giorni, di natura assai diversa, ne danno una rappresentazione plastica


Gli Stati Uniti sono il paese più potente del mondo. Con una popolazione che è un ventesimo di quella mondiale il suo prodotto interno lordo costituisce oltre il 20 per cento di quello dell'intero pianeta. La sua tecnologia, la sua scienza sono il traino della ricerca e della innovazione in tutto il mondo e attirano tecnici e scienziati di ogni nazionalità. La sua potenza militare in termini di spesa è approssimativamente uguale a quella di tutti gli altri paesi del pianeta messi insieme, ma in termini di potenza di fuoco e di distruzione, di capacità di intervento, è di gran lunga superiore. L'esercito degli Stati Uniti è presente in almeno cinquanta paesi, le sue flotte navigano in tutti i mari e gli oceani, i suoi satelliti militari circondano la terra con una rete di sorveglianza che non ha eguali, i suoi missili e bombardieri atomici sono pronti a colpire qualunque angolo del pianeta in pochi minuti.
Con tutto ciò gli Stati Uniti sono un gigante impotente. Tre eventi di questi giorni, di natura assai diversa, ne danno una rappresentazione plastica.

Sono settimane che da una piattaforma esplosa nel golfo del Messico sgorgano milioni di barili di petrolio, la peggiore catastrofe ambientale di tutti i tempi, se si esclude il meteorite che milioni di anni fa provocò la grande glaciazione. L'onda nera si è già propagata per centinaia di migliaia di chilometri quadrati uccidendo la fauna e la flora acquatica e si sta riversando sulle coste meridionali degli Stati Uniti. Arriverà tra poche settimane la stagione dei grandi uragani che spargeranno il petrolio su tutto l'Atlantico e probabilmente, portato dalla corrente del Golfo, fino in Europa.
Il governo americano ha dovuto ammettere di non avere né la tecnologia né i mezzi per intervenire. Per questo si è affidato alla compagnia petrolifera che ha provocato il disastro, ma anche quella non sa come risolvere il problema e anche se e quando ci riuscirà gli effetti sull'ecosistema dureranno decenni. Mentre il mondo sta a guardare, gli americani sono sgomenti di fronte a questa manifestazione di impotenza (oltre che di mancanza di preveggenza); per la prima volta nella loro storia sono costretti a prendere atto che tutta la scienza e la tecnologia in cui eccellono non sono sufficienti. (Per la verità non è la prima volta: è dalla guerra del Vietnam che l'illusione tecnocratica del "problem solving" si scontra con la dura realtà.)

Secondo episodio. Alla fine di marzo un missile sparato da sottomarino nordcoreano ha affondato una corvetta sudcoreana uccidendo 46 marinai. Gli Stati Uniti, alleati della Corea del Sud e presenti in quel paese con decine di migliaia di soldati, hanno protestato e minacciato la Corea del Nord di "gravi conseguenze". La tensione tra le due Coree è alle stelle e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato investito della questione. Ma probabilmente non se ne farà nulla e l'incidente verrà presto archiviato come l'ennesimo episodio del conflitto che da oltre 55 anni, cioè dalla fine della guerra del 1950-1953, contrappone le due Coree. La ragione? Per fare approvare le sanzioni gli Stati Uniti hanno bisogno dell'appoggio della Cina, che però non sembra affatto intenzionata a punire il suo alleato di sempre, la Corea del Nord, e in ogni caso intende svolgere direttamente e senza interferenze americane il ruolo di egemone regionale che, grazie alla sua nuova potenza economica, ritiene le spetti.
D'altro canto, il fatto che probabilmente la Corea del Nord possieda alcuni ordigni nucleari, oltre alla capacità missilistica di portarli a segno, dissuade sia gli Stati Uniti che la Corea del Sud da intraprendere un'azione di rappresaglia. Il risultato è che anche di fronte a questa grave crisi il gigante americano è impotente, incapace di tradurre tutta la sua immensa forza militare e tutto il suo peso economico nella capacità di proteggere un suo alleato o anche solo di esercitare una credibile funzione di leadership per prevenire nuovi conflitti.

Terzo episodio. L'assalto israeliano alla flottiglia che stava cercando di raggiungere le coste di Gaza per portarvi aiuti umanitari. L'attacco, che ha provocato nove morti, decine di feriti e l'arresto di centinaia di persone, è stato duramente criticato da quasi tutti i paesi del mondo. Non dagli Stati Uniti, che si sono limitati a chiedere che si faccia piena chiarezza sul gravissimo episodio (e già questo è moltissimo rispetto alla linea seguita in passato dai governi americani). L'opinione del governo americano dovrebbe contare qualcosa per il governo israeliano dal momento che Israele è il principale alleato degli Stati Uniti in Medioriente e, in assoluto, il primo destinatario di aiuti economici e di forniture militari. Di fatto, sono gli Stati Uniti che garantiscono la sopravvivenza dello stato israeliano e la capacità di difesa (e di offesa) del suo esercito.

Ora, non c'è dubbio che l'attuale politica israeliana danneggi gli Stati Uniti. L'ostinato rifiuto di Israele a concludere accordi di pace con i palestinesi, se non a condizioni per essi inaccettabili, impedisce agli Stati Uniti di normalizzare i propri rapporti con il mondo arabo, dando concretezza all'offerta di dialogo avanzata da Obama fin dal suo insediamento. Dell'appoggio del mondo arabo gli Stati Uniti hanno bisogno per risolvere il contenzioso sul nucleare iraniano, per portare a termine il ritiro dall'Iraq senza che esploda nuovamente una guerra civile, e per portare a buon fine (o a una fine qualunque) la guerra in Afghanistan. L'attacco israeliano, che ha coinvolto per la prima volta una nave turca, invece in un colpo solo accresce le difficoltà degli Stati Uniti con un prezioso alleato nella Nato e con il principale paese mussulmano del Mediterraneo, l'unico vicino all'Occidente.

Nonostante la pace - o se non la pace, almeno comportamenti responsabili -- in Medioriente sia nell'interesse degli Stati Uniti, il governo americano sembra del tutto impotente anche solo ad indicare un credibile percorso per raggiungerla. Le ragioni in questo caso sono essenzialmente politiche e non geostrategiche: il fatto che l'appoggio della componente ebraica dell'elettorato è stato determinante per l'elezione dell'attuale presidente, così come lo sarà a novembre per l'elezione di molti parlamentari democratici.
La conclusione è che né la tecnologia, né la forza militare, né il peso economico -- tutti elementi nei quali gli Stati Uniti eccellono - sono sufficienti per dare al governo americano la leadership diplomatica e consentirgli di svolgere un ruolo decisivo sulla scena internazionale. Il mondo è davvero diventato (o ridiventato) multipolare, e ne stiamo ora vedendo le conseguenze.

http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=15023
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