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Autore Discussione: Debenedetti: 'Sono una bomba nel cuore dei media'  (Letto 2910 volte)
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« inserito:: Maggio 09, 2010, 11:09:47 am »

 Primo Piano | Malcom Pagani 

Debenedetti: 'Sono una bomba nel cuore dei media'

 
  BIO 8 maggio 2010

Parla per la prima volta con Il Fatto Quotidiano il giornalista accusato di essersi inventato decine di interviste a premi Nobel e grandi scrittori. E dice: "Nei giornali italiani non si controlla mai niente. Non c’è stato in dieci anni di collaborazione un solo caporedattore che mi abbia chiesto non dico la verifica poliziesca, nastro alla mano del colloquio, ma semplicemente l’ubicazione dell’intervistato. Se spiego come sono andate realmente le cose salta tutto il sistema".

“Mi raccomando, niente fotografie”. Tommaso Debenedetti, si guarda a destra e a sinistra, quasi temesse di essere seguito. Dimostra molto più dei 41 anni denunciati all’anagrafe. Trascina un trolley arancione che a un’indagine più accurata si rivela un carrello della spesa. Ha fretta, adduce impegni improvvisi, svicola, poi concede di sedersi per qualche minuto al tavolo di un bar di Roma. Alla vita, una cinta punk con punte argentate. Giacca di pelle nera stretta, camicia rosa confetto. Sulla testa una kippah nera tenuta da un fermaglio a coprire un princìpio di calvizie. Da quando il suo caso, approfondito da un’inchiesta di Judith Thurman del New Yorker e poi approdato sulle pagine di tutto il mondo, ha prodotto un dibattito sui meccanismi alla base della credibilità del giornalismo, Debenedetti ha interrotto le comunicazioni con il mondo. Per anni era stato il re delle interviste impossibili. Per i giornali del Gruppo L'Espresso, per quelli del gruppo Riffesser e poi per Il Giornale e Libero, aveva scritto articoli su colloqui avuti con premi Nobel e intellettuali eremitici: Gordimer e Yehoshua, Hertha Muller e Mikhail Gorbaciov, Toni Morrison ed E. L. Doctorow, Gunter Grass e Jean-Marie Gustave Le Clézio. Ma era tutto falso. E a scoprire il gioco, alla fine, era stato Philip Roth, al quale Debenedetti, per la gioia di Libero, aveva attribuito una serie di giudizi durissimi su Barack Obama. "Mai detto niente del genere e mai parlato con quel signore” aveva ribattuto Roth. Così da un giorno all'altro la grande truffa del giornalismo culturale italiano si era rivelata. A meno di non voler credere a Debenedetti che oggi, nella sua prima intervista concessa dopo lo scandalo, rilancia. Il giornalista infatti insiste e adesso vuole portare chi lo ha smascherato in tribunale.

Debenedetti, l’idea di querelare Roth non sembra luminosa.

Ho i nastri che provano l’esistenza delle interviste. Li custodisce il mio avvocato, a Roma.

Come si chiama il legale?

Per tanti motivi non lo posso rivelare.

Quali?

Ragioni di segretezza.

Si rende conto che l’assunto penalizza in toto la credibilità di quello che dice?

Ne sono consapevole.

Dunque?

Ho molti contatti e ho compiuto decine di conversazioni iniziando sulla Gazzetta di Parma. Interviste vere. Non capisco perché da un giorno all’altro sarei dovuto impazzire e inventare tutto.

Di fronte alla ripetuta, diffusa smentita di agenti letterari, scrittori e Nobel, non le dispiacerà se non le crediamo. Perché si ostina a raccontare tante menzogne?

Non mi ostino. La mia è semplicemente una difesa della mia professionalità e della mia persona. Ho ricevuto attacchi volgari da ogni lato. Mi hanno dato del disonesto, del millantatore, del cialtrone. Non mi riconosco.

Ammetta, Debenedetti. Farebbe figura migliore. Un situazionista al comando che destruttura dall’interno le tante falle del giornalismo contemporaneo.

Anche se avessi inventato tutto di sana pianta, dovrei comunque essere ritenuto qualcosa di diverso da un manigoldo. Un genio. Suona meglio.

Vede, ci avviciniamo alla verità.

Con il panorama odierno della stampa, non solo avrei potuto farlo, ma l’avrei potuto fare senza rischio alcuno.

L’ha fatto alla grande.

Non c’è stato in dieci anni di collaborazione un solo caporedattore che mi abbia chiesto non dico la verifica poliziesca, nastro alla mano, del colloquio ma semplicemente l’ubicazione dell’intervistato.

Faccia un esempio.

L’intervista a Yehoshua. Nessuno che mi abbia mai domandato dove fosse fisicamente lo scrittore. Va bene l’intervista, ma dove si trovava al momento della stessa? A Gerusalemme, a Parigi, a Berlino? Non mi avrebbero mai scoperto. Non ci sono mai state verifiche e non perché io sia figlio di Antonio Debenedetti (il celebre scrittore a sua voglia figlio di Giacomo, grande critico letterario ndr). Quell’aspetto, la parentela celebre, non c’entra niente.

Non mi dica.

Non c’è stato uno straccio di giornalista che fosse giunto alla relazione tra me e mio padre. Avevo un curriculum solido, lo presentavo, proponevo. Tutto qui. Sfido chiunque a farsi venire un dubbio. Faccio una proposta ai tanti free-lance disperati e malpagati in giro sul territorio nazionale. Provate a fare lo stesso. Non con il Corriere della Sera o Repubblica, ma con un giornale medio o di provincia. Nessuno domanderà oltre e naturalmente lo Stephen King o Ken Follett di turno, non l’avrete mai sentito. Impagineranno, titoleranno, pagheranno una miseria. Questo è il panorama, questa la situazione.

Allarmante, ma non sufficiente a inventare dal nulla una conversazione.

E’ vero. Lavoravo per divertimento, per gusto, per passione, per divertimento. Non c’è stato mai un caporedattore che mi abbia chiamato per dire: “Il direttore ti ringrazia, vorrebbe incontrarti, proporti un contratto”. Mai. Era come se in redazione sapessero che questi colloqui erano inventati e nonostante questo, pensassero: “Tanto non ci scopre nessuno”.

Un’accusa grave.

La lancio perché so quel che dico.

E’ strano che lei non voglia fornire elementi a suffragio della sua ipotesi.

E se io volessi rimanere nell’equivoco? Se mi interessasse prolungare l’incertezza?

Come si guadagna da vivere Debenedetti?

Faccio altri lavori ovviamente.

Quali?

Insegno.

Dove?

(rapidissimo, quasi mangiandosi le parole) In una scuola.

Immagino. Privata, pubblica, parificata?

Preferisco non dire niente, non toccare questo aspetto.

Quindi potrebbe non essere vero. (Debenedetti si alza all’improvviso, risponde al telefono, si allontana, poi ritorna a sedersi)

Non c’è domanda a cui lei voglia rispondere.

Perché difendo la mia privacy. Non credo che la scuola dove lavoro possa essere messa su un quotidiano nazionale, con la didascalia ‘Ecco la scuola in cui insegna il millantatore’.

Torniamo ai nastri registrati. Non esistono vero?

Li produrrò in una sede in cui non possano esistere dubbi. Un caporedattore me li ha richiesti in modo petulante. Come esistono fotomontaggi e videomontaggi, potrebbero esistere in teoria anche audiomontaggi in cui parla un Roth finto. Se ho inventato le interviste, posso anche camuffare un colloquio. Sbaglio?

L’ipotesi, visti i suoi precedenti non sarebbe lunare.

Se io fossi così davvero così geniale come dicono, lo potrei anche fare.

Nulla di quello che lei racconta poggia sulla realtà.

Capisco. Comunque le dico una cosa. Queste interviste continueranno. Su un mio sito e non più su un giornale. Ho già il dominio.

Quando?

Tra due settimane, ci vuole tempo e io non sono miliardario. Il titolo sarà ‘Talkworld’. Ma non intervisterò solo scrittori stranieri. Prima lo facevo perchè me lo chiedevano i responsabili dei giornali per cui lavoravo. Proponevo Dacia Maraini e mi rispondevano: ‘Ma a lei possiamo arrivare anche noi’. Questa volta finalmente parlerò anche con gli italiani, non meritano di esere discriminati.

Quanti anni sono che non dialoga con suo padre?

Almeno due anni.

Per quale ragione?

Questioni familiari, non certo giornalistiche.

Può spiegarsi?

Mio padre non ha mai accettato la mia vita sentimentale. Ha avuto un pessimo rapporto con mia moglie. Non ha voluto vedere i miei figli che sono piccoli e io di converso non gli ho offerto la possibilità. Eventi come questi segnano un solco, non crede?

Tommaso Debenedetti, come ci si sente a non essere creduti da nessuno, dopo dieci anni di ascolto pieno e incontrollato? E se si scoprisse come probabile l’inesistenza dei nastri?

Un giorno magari potrei anche dire che ero io quel misterioso personaggio che ha inventato tutti quei colloqui.

Perché non farlo adesso?

Perché dovrei farlo ora?

Perché crederle è impossibile e perchè l’eversione, a quel punto, sarebbe completa.

E allora una domanda la faccio anche io. Perché per dieci anni fior di giornali hanno creduto che potessero avere da un collaboratore esterno, ogni settimana, un Nobel sulle loro pagine?

Quesito legittimo, ma non confinante con l’invenzione assoluta di un’intervista. Perché non dice la verità? La pagavano poco e lei si è preso gioco del sistema.

Probabilmente è così e comunque, è anche inevitabile che adesso debba dimostrare delle cose.

Perché gli scrittori dovrebbero negare di averla mai sentita?

Semplice. Non se lo ricordano.

Difesa debole.

Magari la risposta al mistero risiede altrove. Perché Le Carrè su un giornale di destra come L’Indipendente dovrebbe attaccare Prodi e Gore Vidal, su uno di centro sinistra fare a pezzi Berlusconi? Non le pare tutto troppo meccanico?

Questo è l’altro rimprovero che le muovono. Aver piegato le parole dei suoi intervistati al committente di turno.

Ma lei pensa che oggi un giornale italiano pubblicherebbe le parole di un grande scrittore del tutto antitetiche alla linea editoriale?

Per campare dunque, qualsiasi compromesso. Anche la manipolazione?

La correggo. Si tratta di pura gestione delle risorse.

Ingegnoso. Inventare non è stato anche riscrivere in parte la sua verità con lo stile degli intervistati?

Potrebbe essere stata una maniera di fare critica letteraria e analisi editoriale senza farlo davvero.

Bene, allora confessi. Ogni cosa sarebbe più semplice.

L’ha già fatto lei, a che pro aggiungere la mia voce?

Insistiamo.

Al momento in cui io rivelassi la falsità di queste conversazioni, salterebbe in aria buona parte del giornalismo italiano. Aspettiamo che esploda. Quello che le ho detto mi sembra già ampiamente sufficiente per capire ogni aspetto della mia vicenda. Ora devo correre, arrivederci. Magari ho recitato una parte, ma sono certo di aver lasciato sul terreno indizi interessanti.

Poi saluta, si alza, si allontana. Solo com’era venuto.


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