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Autore Discussione: Ritratti di Pericoli: da Adorno a Montale, icone e pensieri  (Letto 2489 volte)
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« inserito:: Novembre 18, 2009, 10:12:09 am »

L'enciclopedia dei Ritratti di Pericoli: da Adorno a Montale, icone e pensieri
 
                       
 
 di Renato Minore

ROMA (14 novembre) - In tutto sono seicento I ritratti della monumentale “enciclopedia", o pinacoteca, che, in una versione arricchita da un nucleo di nuovi disegni Tullio Pericoli ha appena allestito per Adelphi ( 27 euro) raccogliendo circa un terzo dei volti che negli ultimi trent’anni anni ha disseminato per quotidiani, riviste, libri.

Stevenson che moltiplica il suo volto, uno e trino, come il bambino malato che era e di cui parla in una poesia, quando guardava le pieghe del letto, la coperta e immaginava i mondi, le valli, le montagne con cui costruiva le sue storie. Beckett con la sua faccia che è un vero dizionario di segni, percorsi, rughe, come una stratificazione di segni, quasi che si potesse raccontare la sua biografia attraverso quelle rughe. Il tondo Adorno dallo sguardo triste, mentre suona un pianoforte ingorgato di libri. Montale e l'interminabile cenere che si stacca dalla sigaretta e riporta ad un'idea del trascorrere del tempo, alle pause del pensare.

Ci sono questo Stevenson, questo Beckett, questo Adorno, questo Montale, fulminanti icone in cui ritraendo un volto di fatto si ritaglia un pensiero, e ci sono tanti altri visi, celebri visi la cui anima è tutta nel dettaglio, nel frammento che, aguzzo e imprevisto, si guadagna l'intera scena. Come le orecchie di Gramsci, le mani perplesse di Sciascia, la tazzina di Sartre i capelli volanti di Luzi, le occhiaie ridenti di Böll, la macrostilo di Tom Wolfe, il flauto suonato da un Umberto Eco moltiplicato in pose gioconde ed incastrate, come perfette geometriche acrobazie che rispecchiano il gran gioco della sua scrittura.

«Volevo dare l'impressione di una specie di garzantina, da consultare. Per incontrare la curiosità del lettore che può chiedersi: vediamo che faccia ha Karen Blixen o Robert Musil», dice Pericoli sfogliando la sua galleria dove Freud è ritratto mentre si dedica a una singolare pesca di trote, la Morante è una capigliatura che s'allarga come si dilatano a fessura gli occhi in una sorta di specchio concavo, Kenzaburo Oe è un folletto dai capelli a spazzola, con la boccuccia stretta stretta, il labbro superiore incollato a quello inferiore.

Ecco, la bocca. Per Pericoli è l'elemento più ricco e rivelatore. Non è vero come si suol dire, per stereotipia espressiva, che gli occhi sono lo specchio dell'anima: «Il nostro volto è fatto di muscoli che teniamo in esercizio di continuo come in palestra. Li esercitiamo non solo per parlare, mangiare, masticare: li muoviamo anche quando parliamo, quando pensiamo, quando sorridiamo, quando esprimiamo sentimenti melanconici o allegri». Così la bocca è la zona più investita da queste espressioni, «parliamo tramite essa, prende la forma dei nostri pensieri, si potrebbe distinguere la bocca di chi parla giapponese e di chi parla inglese».

C'è sempre un punto focale, un elemento rivelatore in ogni faccia su cui si gioca tutto il resto. Un “certo non so che" è il ritratto, per cui un naso è fatto di un insieme di relazioni tra le narici e la punta, il setto, la base, la distanza con bocca «tutto ciò che rende unico quel naso in un'unica persona al mondo». Per snidare quel “certo non so che", per infilzarlo vittoriosamente Pericoli si è sempre affidato a immagini pubbliche. «Parto esclusivamente dalle foto, non mi piace che il ritratto lasci trasparire qualcosa di troppo privato, segreto, forse clandestino. La foto rivela momenti di passaggio, quando una espressione si smorza a vantaggio di un'altra ed è possibile una lettura più attenta del volto, colta quasi a sorpresa su espressioni non controllate».

Quel “certo non so che" in Calvino - il Calvino di Pericoli appoggiato alla grande sfera del mappamondo, la cravatta svolazzante a nodi con una sua segreta simmetria sono «le leggerissime fossette: appaiono quando abbozza un sorriso, al di sotto dello zigomo e al di sopra dell'estremità della bocca, due affossamenti che si creano in un punto sospeso». In Borges - lo straordinario Borges appoggiato a una immensa penna stilografica - è la presenza simultanea della grande visionarietà e della grande cecità. «Ho tentato di mettere insieme la cecità più vedente possibile», commenta oggi Pericoli per il quale l'immaginazione borgesiana annunzia, con l'Aleph, addirittura Internet. Cioè «una sfera luminosa in cui vengono raccolte tutte le possibili immagini in formazione e i dettagli grandi e piccoli, senza tempo e senza storia, con tutte le storie del mondo». E in Nabokov quel “certo non so che" sfugge, scivola pericolosamente. E' il ritratto più difficile tra i molti, «una faccia all'apparenza molto facile, un po' di doppio mento, un naso pronunziato, quasi banale eppure è stato difficile, quasi impossibile coglierne il punto centrale, quello che fa suo quel volto, e solo suo...».

Ha scritto acutamente Salvatore Settis: «Volti come paesaggi, paesaggi come volti. Nelle accuratissime esplorazioni, e introspezioni, del volto umano che Tullio Pericoli è venuto tracciando il ritratto sfuma nel paesaggio, specialmente quando si fa drammatico close up come nella serie memorabile costruita intorno al volto di Beckett, scomposto e rappresentato per espressivi, totalizzanti “frammenti”. Simmetricamente, i paesaggi sono segmenti rivelatori di un volto, colti al rallentatore ora planando alto sulle nuvole, ora sostando su una collina, ora immergendosi in un campo coltivato».
 
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