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« inserito:: Novembre 14, 2009, 04:36:21 pm » |
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14/11/2009
L'americano (comunista) che spiegava gli Usa a Mao
Scritto da: Marco Del Corona alle 10:28
C’era America nella Cina di Mao Zedong. O almeno voglia di America. “Nessun Paese gli interessava più degli Usa. Però Washington perse una chance storica, e Cina e Stati Uniti si allontanarono. Noi americani siamo pragmatici, ma il nostro governo era accecato dall’ideologia e la storia prese il corso che ha preso”. Sidney Rittenberg c’era, ricorda, racconta. Arrivò in Cina da soldato Usa e nel ’46 era a Yan’an, con i vertici del Partito comunista cinese. E’ stato l’unico americano iscritto al Pcc, ha conosciuto il carcere fra il ’49 e il ’66, poi fra il ’68 e il ’77: “L’uomo che mi interrogava ammise che mi considerava innocente, però Jiang Qing, la moglie di Mao, gli ordinò: sappiamo che è colpevole, fatelo confessare”.
IL GRANDE ASCOLTATORE Nell’80 è rientrato in patria, “non credo più nella dittatura del proletariato”: ora trascorre a Pechino pochi mesi l’anno, è un superconsulente che mette a frutto conoscenze radicate. Ha 88 anni, legge i biglietti da visita senza bisogno di occhiali. La storia dei rapporti fra la Cina e gli Usa, vista da lui, parte dai rapporti fra il fondatore della Cina comunista e gli Usa: “A Yan’an venni accolto cordialmente, ma ci misero un po’ a fidarsi. Il Mao di allora era un grande ascoltatore, mi tenne due giorni a parlargli dell’America. Voleva sapere tutto. Era andato a scuola da maestri confuciani, dopo invece finì in un istituto superiore che aveva un preside liberale, e lì studiò Rousseau, Locke, Jefferson, Franklyn. La sua formazione fu così, non Marx né Lenin”.
TRA STATI UNITI E LENIN In quelle aule, nel motto “cercare la verità nei fatti”, Rittenberg rintraccia un alfabeto ideale condiviso almeno per un po’. “La democrazia Usa era allora l’orizzonte di Mao. Fu solo dopo la vittoria di Lenin che ne sposò la linea”. Rittenberg lavorò alla radio della propaganda, negli anni Sessanta lambì una posizione governativa, addirittura: “Per 5 mesi fui responsabile nominale di una commissione di tre che supervisionava le trasmissioni cinesi”. Prima della proclamazione della Repubblica Popolare – racconta al Corriere nel suo appartamento della capitale, di fronte al parco di Chaoyang – la Cina cercava l’America, insistentemente. “Nella primavera e nel luglio del ‘46 mi furono affidati due messaggi identici di Liu Shaoqi per il generale George C. Marshall, l’uomo del presidente Truman in Cina. Il testo diceva: sì, sostenete Chiang Kai-shek ma tra 5 anni, quando saremo al potere noi comunisti, vogliamo avere buone relazioni con voi americani. Uno, perché la nostra gente è stata in guerra per un secolo e solo l’America ci può concedere i prestiti per ricostruire la Cina: prestiti che ripagheremo a tassi regolari, perché abbiamo oro. Due, perché non vogliamo essere unilateralmente dipendenti dai compagni dell’Urss”.
L'OCCASIONE MANCATA Al potere Mao e i suoi arrivarono prima del previsto ma non trovarono l’America ad aspettarli: “Anzi, Mao chiese più volte di essere ricevuto da Roosevelt. Niente…”. A Rittenberg pare un’occasione perduta che gli spiace come una delusione recente: “E pensare che nel ’39 Mao ripeteva che la Cina soffriva per il troppo poco capitalismo. Ma non gli rimase che adottare il sistema di Stalin”.
IL COMPAGNO ZHOU A Zhou Enlai, premier dal ’49 al ’76, Rittenberg era più legato: “Quando morì ero in carcere. Piansi come se fosse morto mio padre, ci misi una settimana a riprendermi. Quando a settembre toccò a Mao, non versai una lacrima”. Ebbene, Zhou “parlava un inglese discreto, sapeva stringere rapporti cordiali, conquistò Marshall ma anche altri”. Il tratto umano di Zhou non impedì agli Usa di essere considerati “il nemico numero uno dal ’49 fino agli anni Sessanta, anche se non si amavano neppure i sovietici. Però con l’avversione per il governo Usa conviveva la simpatia per il popolo americano”.
NIXON, DENG Nel 1979 Cina e Usa avevano allacciato formalmente i rapporti diplomatici: “Gli anni Settanta erano stati confusi, ma sulla necessità di agganciare gli Usa la leadership era ferma”. Venne Deng Xiaoping, “un pragmatico a cui l’America piacque, quando la visitò”. E i presidenti americani? “Nixon aprì a Pechino ed è considerato un eroe. Carter no, un debole. Clinton fu critico ma la tv non lo censurò, perché mostrò rispetto per la Cina. Obama? Sono cresciuto nel Sud degli Usa e so che la segregazione là era peggio dell’apartheid… Lui trova difficile cambiare tutto, anche il suo partito frena, ma i leader cinesi l’hanno capito, sanno che quella fra Cina e Usa è la partnership più importante del secolo. Obama ha in agenda i diritti umani, certo, ma saggiamente li tiene al secondo posto. Dopo la Rivoluzione culturale l’America poteva essere vista come un modello, ora tutt’al più avviene per i sistemi europei, anche perché la politica estera di Washington è considerata stupida. Ma gli americani come individui, beh, sono sempre degli amici”.
da leviedellasia.corriere.it
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