Il pendolo oscilla fra l’estrema indignazione e delusione (Giampaolo Pansa nel Bestiario sul Riformista) e il compatimento, quasi dolore, per la distruzione dell’immagine di Giovanni Agnelli (editoriale anonimo, quindi attribuibile al direttore Gianni Riotta, su Il Sole 24 Ore).
La vicenda della contestata eredità del defunto controllore della Fiat, degenerante in possibile evasione fiscale, sta dividendo l’Italia quasi non fossero arcinoti alcuni fatti chiave:
1) non esiste quasi eredità che non generi conflitto fra gli eredi, anche se è fuori discussione che Margherita Agnelli ha passato ogni limite di decenza e di ingordigia, arrivando a denunciare sua madre e di fatto i suoi figli di primo letto, oltre che persone degne e specchiate come Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, la cui unica colpa è quella di aver servito in maniera impeccabile ed encomiabile la famiglia Agnelli;
2) il caso è uno straordinario piatto mediatico, servito al prossimo banchetto dell’Agenzia delle Entrate, del suo direttore Attilio Befera e del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nella loro meritoria battaglia per far capire a chi ha patrimoni e capitali illegalmente all’estero che lo scudo fiscale approvato dal Parlamento per il loro rientro è una sorta di ultimo treno per Yuma. E quindi sia Befera sia Tremonti non si lasciano sfuggire l’opportunità;
3) tutti gli Stati del mondo occidentale sono alla drammatica ricerca di entrate per ridurre il debito pubblico, ingigantito dagli interventi di aiuto all’economia in seguito alla crisi, e quindi la battaglia viene combattuta su due fronti: contro i paradisi fiscali e contro chi se ne è servito e se ne sta servendo, oltre che contro chi evade in patria;
4) l’azione degli Stati è oggi così forte e così convergente che è giunta, per il determinante impegno degli Stati Uniti, a far saltare di fatto il sistema bancario svizzero: chi mai potrà fidarsene, se non chi ha denaro sporco, dopo che Ubs, la prima banca del Paese, è venuta meno al rapporto fiduciario verso alcuni clienti americani, consegnandone l’identità al Fisco statunitense in nome del fatto che sarebbero evasori fiscali, mentre nelle leggi elvetiche sta scritto che in quel Paese chi porta capitali per avere tassazioni più basse non commette reato.
Un evidente sovvertimento della legislazione elvetica per pressione degli Stati più forti e per ottenere l’ammissione all’Unione europea senza che il Parlamento elvetico abbia approvato per legge il cambiamento. Si potrebbe quasi dire che in Svizzera è avvenuta una rivoluzione bianca. Anche se il governo elvetico sottilizza fra l’evasione e la frode, sostenendo che i cittadini americani consegnati al governo statunitense avrebbero commesso frode per portare capitali in Svizzera. Intendendo per frode, fatture false, royalties fasulle ecc. Ma in realtà come potrebbe, se non con gli spalloni, portare soldi in Svizzera chi non vuole commettere frode? E certo non esistono spalloni che dagli Stati Uniti portino soldi a Ginevra o a Zurigo. La sottile distinzione è quindi un paravento per non decretare ufficialmente che l’economia costruita sul privilegio fi scale è destinata a crollare, se non già crollata. Evidentemente, si tratta di un contesto ideale perché l’ultimo scudo lanciato da Tremonti possa avere successo. E al suo successo è del resto legata la possibilità per il governo Berlusconi di destinare capitali significativi al rilancio dell’economia, manovra che la fantasia di Tremonti ha cercato di varare tempestivamente, ma che finora ha dovuto confrontarsi con la drammaticità del bilancio statale e dello stock di debito pubblico accumulato. Si ritiene che lo scudo avrà successo se con la tassa del 5% (è quanto dovrà pagare chi farà rientrare patrimonio e capitali) lo Stato incamererà almeno 2 miliardi.
In realtà, le potenzialità sono enormemente maggiori perché si stima che gli italiani abbiano all’estero circa 600 miliardi di euro. Ma nell’esigenza di non effettuare un condono per reati gravi, lo scudo protegge solo dal reato di illegale esportazione di capitali e non, per esempio, dal reato di falso in bilancio, in cui incorrono inevitabilmente le società che non hanno usato gli inestinguibili spalloni. Però, chi opterà, magari su consiglio dei suoi professionisti, per lasciare tutto all’estero, in omaggio al principio quieta non movere, non può non tener conto che l’azione verso i paradisi fi scali da parte degli Stati continuerà sempre più forte e che quindi potrebbe ritrovarsi nelle condizioni dei 4 mila americani dei quali Ubs ha consegnato l’elenco alle autorità statunitensi. Anche perché ormai l’azione del Fisco italiano si è enormemente affi nata e va a fare le pulci anche a chi uffi cialmente risulta residente all’estero, compiendo ogni verifi ca sull’effettiva residenza estera. Così è stato per Valentino Rossi, così sta avvenendo per Marella Agnelli, come ha rivelato Franco Bechis su ItaliaOggi di giovedì 20, raccontando che anche la proprietà dei famosi cani husky collocati a Torino, a giudizio del bravissimo commercialista della signora Agnelli, Gianluca Ferrero, poteva essere un indizio che consentisse al Fisco di contestare alla moglie del defunto Avvocato l’effettiva residenza in Svizzera. Per questo i cani e i 15 lavoratori domestici sono stati presi in carico dall’erede del controllo del gruppo, il nipote John Elkann. Tutti quelli, quindi, che vivono nominalmente a Lugano o in altre parti della Svizzera e invece circolano abitualmente a Milano o in altre città del Nord, magari con auto targate CH, trascorrendo, in questo modo, più della metà dell’anno in territorio italiano, sarà bene che si preparino a indagini giustamente severissime e retroattive: i telefonini, le carte di credito, i passaggi ai caselli autostradali nelle corsie Telepass, i biglietti aerei e via dicendo sono tutti documenti che il Fisco può oggi acquisire in un istante per via digitale. Ed è bene che tutti questi signori sappiano che, sia pure violando un fondamentale principio liberale, oggi la legislazione tributaria italiana consente l’inversione della prova: cioè, mentre prima era il Fisco che doveva dare la prova dell’evasione, ora è il contribuente che deve dimostrare che non ha evaso. E il Fisco può anche contare sul rafforzamento giurisprudenziale della Cassazione a sezioni riunite, sulle fattispecie che determinano il reato di abuso di diritto: cioè di tutti quei casi in cui il Fisco presume che anche se non c’è stata evasione ci sia stata elusione. Finora era il Fisco che doveva dimostrare che una determinata struttura fi nanziaria fosse stata costruita solo per pagare meno e non per una valida ragione economica. Ora sono i contribuenti italiani che devono dimostrare che c’è stata una valida ragione economica per costituire una società all’estero, altrimenti questa, anche se costituita in un Paese Ue, viene considerata dal Fisco una cosiddetta estero vestizione effettuata per pagare meno tasse. E altrettanto significativa è la vicenda della presunta eredità estera di Giovanni Agnelli per capire come il Fisco si sta fi - nalmente muovendo, anche se è assai improbabile, in questo caso, che l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza riesca a violare la solidità dell’eventuale costruzione creata per il patrimonio estero dell’ex controllore della Fiat. Da quanto si è appreso dalla pubblicazione di molti documenti derivanti dall’assurda azione legale avviata da Margherita Agnelli contro sua madre Marella e i consulenti del padre, da alcuni anni in Liechtenstein è stata creata una cosiddetta Fondazione di famiglia nella quale Giovanni Agnelli, secondo questa ricostruzione, ha fatto affl uire i guadagni ottenuti all’estero con varie operazioni e, probabilmente (e questa è una deduzione di MF/Milano Finanza), il patrimonio estero ereditato da suo nonno, il senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat.
In base a quanto riferiscono professionisti del settore, la Fondazione di famiglia è una struttura con personalità giuridica autonoma, gestita da fi duciari che hanno il compito di operare negli interessi di chi è il benefi ciario dei frutti del patrimonio della fondazione stessa. Soltanto nell’ipotesi in cui i fi duciari rivelassero il nome del benefi ciario designato dai creatori della fondazione o dei suoi eredi e questo o questi risultassero cittadini italiani, residenti fi scalmente in Italia, e ancora che lo stesso o gli stessi benefi ciari non avessero dichiarato i benefi ci ricevuti al Fisco italiano, solo se tutte insieme queste eventualità si verifi cassero si potrebbe confi gurare l’ipotesi di evasione fi scale con la conseguente azione dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso specifi co, è altamente improbabile che i fi duciari, sicuramente professionisti seri, intendano rivelare il nome del benefi ciario o dei benefi ciari della fondazione. Come è improbabile, con i tempi che corrono, che nel caso in cui, per pura ipotesi, il benefi ciario o i benefi ciari fossero cittadini italiani, fi scalmente residenti in Italia (per esempio il nipote o i nipoti Elkann), essi non dichiarino gli eventuali frutti a loro destinati del patrimonio della fondazione. Del resto, lo stesso ministro Tremonti, che è uno dei massimi esperti di diritto tributario, ha precisato che non incorre nel reato di illegale esportazione di capitali all’estero chi li ha ricevuti in eredità, essendo evidente che il reato, nel caso, lo avrebbe commesso chi ha lasciato l’eredità. Chi ha ottenuto in questo modo beni all’estero basta che li dichiari, e non avrà nemmeno bisogno di benefi ciare dello scudo. Basterà, ovviamente, che dimostri che di eredità si tratta e non di un patrimonio da lui stesso costituito. Nel caso Agnelli, essendo l’eventuale patrimonio posseduto da una fondazione con personalità giuridica autonoma, l’obbligo, per non violare la legge, è che i benefi ciari dichiarino i frutti ricevuti dalla gestione del patrimonio stesso. Se il benefi ciario fosse Marella Agnelli e la vedova dell’Avvocato risultasse effettivamente residente in Svizzera, come in realtà è assai probabile che risulterà, non vi sarà nessuna possibilità per il Fisco italiano di erogare sanzioni ed esigere pagamenti. Ma ovviamente, se così sarà, dipenderà anche dalla competenza e accortezza con le quali è stata costruita tutta quanta la struttura. Quanto all’azione della fi glia Margherita, essa, nei fatti, è già naufragata, anche se, appunto, sta provocando effetti di immagine disastrosi. Infatti, il tribunale di Torino non ha ammesso alcuna delle numerose prove richieste dai suoi avvocati (il collegio è già mutato almeno tre volte a dimostrazione dell’insoddisfazione della stessa signora de Pahlen rispetto ai risultati che i malcapitati predecessori avevano ottenuto, salvo le laute parcelle per se stessi). Ma c’è un elemento ancora più radicale che Margherita Agnelli non ha, evidentemente, voluto tenere in conto: se il tesoro estero dell’avvocato Agnelli effettivamente esiste, valutandolo lei stessa intorno a 1,4 miliardi di euro, esso non rappresenta che, grosso modo, 1/3 del totale dell’eredità. Esattamente la quota che Giovanni Agnelli aveva come disponibile, viste le percentuali che il codice consente se gli eredi diretti sono una moglie e una figlia. Se poi l’avvocato Agnelli aveva deciso, come in effetti ha deciso, che il suo erede, in termini di potere di controllo della Fiat, doveva essere, come in effetti è, il nipote John, figlio di Margherita, non è difficile immaginare che avesse assegnato, come forse ha fatto, anche una rendita, capace di fornirgli i mezzi per rimanere a capo del gruppo. Senza contare l’aspetto morale: una madre non dovrebbe solo gioire per il fatto che il suo primo figlio sia anche l’erede morale e materiale della guida del gruppo di famiglia? Ma Margherita, che ha sempre fatto solo figli (ben otto, peraltro nobilissimo impegno) e la pittrice dilettante, improvvisamente ha voluto rivendicare il suo ruolo di erede anche sul piano del potere di controllo del gruppo, un’ipotesi che suo padre Giovanni non ha mai, razionalmente, neppure ipotizzato per un istante.
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