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« inserito:: Settembre 11, 2009, 11:07:19 am » |
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11/9/2009
La battaglia di una vita KERRY KENNEDY
In tutta la sua carriera pubblica mio zio Ted Kennedy ha combattuto senza soste per rendere possibile una riforma che garantisse a tutti l’accesso alle cure mediche. Lo considerava un diritto umano basilare.
Il senatore Edward Kennedy ha fatto parte del consiglio di amministrazione del Robert F. Kennedy Center for Justice & Human Rights dal 1968 fino alla sua morte, il mese scorso. Vedere le manifestazioni di amore per lui è stata una fonte di forza e di ispirazione, straziante è stato osservare tutta quella folla - spesso in file di dieci - assiepata lungo le strade da Hyannis Port a Boston, dalla Basilica di Nostra Signora del Perpetuo Aiuto ad Hanscom Field, dalla Andrew Air Force Base al cimitero di Arlington. La gente reggeva cartelli, sventolava bandiere americane, salutava il passaggio del feretro. Ho stretto la mano a migliaia di quelle 50 mila persone venute a rendere omaggio alla salma nella JFK Library, ognuna con la sua testimonianza della visione, dello spirito, dell’amore di Teddy. La gente era venuta perché aveva apprezzato le sue coraggiose prese di posizione sui diritti civili, sulla sanità pubblica, sul salario minimo, il suo appoggio alle tante forme di oppressione e di espropriazione. Era venuta perché sapeva che lui amava gli esseri umani.
Teddy faceva una telefonata di auguri di compleanno a ognuno dei miei cugini, alle loro mogli e ai loro figli - in tutto siamo 119. Ogni tanto affittava un pullman per portarci sui campi delle grandi battaglie, accompagnati dai migliori storici del Paese. Ci portava a sciare, in canoa, in barca a vela. Ogni volta che vinceva una gara e riceveva un trofeo, ne faceva fare una copia da regalare a ognuno dei membri dell’equipaggio vittorioso.
Rendeva viva la politica non con discussioni esoteriche, ma raccontando meravigliose storie dei senatori con i quali lavorava: il loro coraggio, le loro debolezze e, con nostro grande spasso, il loro accento. Veleggiando sul «Mya», la scorsa estate, ci raccontò dei suoi primi giorni da senatore. Guardava pieno di soggezione un collega della Virginia che, tutto infervorato, inveiva contro una certa legge. Poi lo vide votare sì. Quando gli espresse tutto il suo stupore, il senatore gli disse: «Bene, figliolo, la cosa funziona così: a chi è a favore della legge, io dò il mio voto; a chi è contrario, dò il mio discorso». Teddy scoppiò in una risata, scuotendo la testa.
Uno dei viaggi più memorabili che ho fatto con lui è stato in Polonia nel 1986. Lech Walesa stava organizzando gli scioperi nei cantieri navali di Danzica, era stata dichiarata la legge marziale e la tensione era alta. Noi andavamo in Polonia per consegnare il Premio Robert F. Kennedy Human Rights ad Adam Michnik, l’intellettuale dietro Solidarnosc, e a Zbigniew Bujak, il leader del movimento. La sera del nostro arrivo Teddy offrì una cena, ed era la prima volta che gli attivisti clandestini potevano comunicare apertamente. E già questa era una grande vittoria. Dopo i saluti formali si passò a discussioni intense, e da queste alle storielle, alle risate e a un divertente scambio di canti popolari polacchi e irlandesi. L’indomani sedevo intimidita nella sala delle conferenze e guardavo Teddy duellare con il generale Jaruzelski, incalzandolo sui diritti fondamentali: creazione di un sindacato, libertà di espressione, elezioni democratiche. Guardare l’autorevolezza morale con cui parlava, la sua profondità emotiva, la forza intellettuale, è stata un’esperienza sconvolgente. In quel viaggio ho imparato moltissimo da lui su come si fa progredire la causa dei diritti umani e della democrazia.
Il mio lavoro consiste nell’incalzare i legislatori affinché facciano la cosa giusta sui temi dei diritti umani. Teddy è la persona cui mi rivolgevo sempre perché mi aiutasse a formulare la nostra strategia politica. Lui non mi faceva sentire sola, e non era solo una questione di famiglia. Per trent’anni il senatore Kennedy è stato il più grande alleato del movimento per i diritti umani, la sua anima a Capitol Hill. Quando i profughi haitiani furono incarcerati e deportati, Ted Kennedy fu al fianco nostro e degli attivisti locali, come Ray Joseph, a chiedere che finissero le detenzioni arbitrarie e i processi fintamente legali. Ray, che ha avuto letteralmente la vita salvata da Teddy, adesso è l’ambasciatore di Haiti negli Stati Uniti.
Quando fu negato lo status di profugo a chi chiedeva asilo politico, Ted Kennedy scrisse e fece approvare quel Refugee Act del 1980, che sanciva il diritto legale all’asilo. Quando il governo Usa chiuse gli occhi davanti allo stato di emergenza proclamato in Sud Africa e alle torture dei bambini, Ted Kennedy guidò la battaglia per far passare l’Anti-Apartheid Act del 1985, portando la politica americana ad allinearsi sui nostri valori. Ovunque i figli e le figlie della libertà abbiano promosso una marcia - dai gulag sovietici alle strade dell’America centrale, dalle Filippine di Marcos ai campi di sterminio della Cambogia, dell’Uganda e ora del Darfur -, il senatore Ted Kennedy è sempre stato in testa al corteo. Qui negli Stati Uniti ci ha ispirati, guidati e soprattutto aiutati a fornire protezione e sollievo ai più vulnerabili del pianeta. Non esiste semplicemente nessuno come lui. Per tutta la mia vita estranei mi hanno raccontato come Teddy fosse stato accanto a loro quando un figlio si ammalava di cancro, un padre perdeva il lavoro o la reputazione, o c’era un matrimonio da celebrare. Nell’ultimo anno, e soprattutto nelle ultime settimane, ovunque andassi, c’era qualcuno che mi raccontava come Teddy avesse cambiato la sua vita. Lo amo, e mi mancherà tanto. Era veramente grande.
*Settima figlia di Robert, è presidente onorario del «Robert F. Kennedy Memorial Center for Human Rights» e del «Robert F. Kennedy of Europe Onlus»
da lastampa.it
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