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« inserito:: Luglio 02, 2009, 11:54:51 pm » |
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Quindici anni dopo riecco Villaggio
di Giovanni Maria Bellu
Il ragionier Ugo Fantozzi è diventato leghista. Anche berlusconiano, a dire il vero. Solo che, dice Paolo Villaggio, «il personaggio del leghista si presta molto di più alla satira». Perché, alla fine, questa è la missione: strappare un sorriso. Impresa tutt’altro che facile «nell’Italia della mondezza di Napoli e dei ladri ovunque, della mafia e della camorra, di Apicella e delle mignotte». Impresa difficile, quasi impossibile, e comunque disperata, in questa «Italia di merda» come sintetizza Paolo Villaggio appena conclusa la lista delle nefandezze nazionali che ha scandito come il solista di un malinconico ditirambo davanti a due giovani e divertiti coreuti: il blogger Diego Bianchi, in arte Zoro, e la vignettista Francesca Fornario.
Oggi il ragionier Ugo Fantozzi - attraverso la penna del suo creatore - torna a l’Unità dopo quindici anni di assenza. Collaborò con noi dal 3 gennaio del 1993 al 31 luglio del 1995. Scrisse 130 articoli. Il primo s’intitolava «Ma perché s’ammazzano dappertutto?», l’ultimo «Vivete adagio la giovinezza». A spulciare nella lista, si ha una sarcastica cronologia dell’epoca («Quei tacchini che ci trattavano da sudditi: Craxi e Andreotti»; «I cannoni di Mosca e l’oro di Poggiolini») e s’incontrano anche titoli dal contenuto profetico, come un «Cavaliere a luci rosse» scritto nel lontanissimo gennaio del 1995. Sono passati quindici anni ma sembrano mille. E le idee politiche del ragioniere più sfortunato d’Italia nel frattempo sono cambiate radicalmente: il militante comunista che si commuoveva fino alle lacrime al funerale di Enrico Berlinguer è diventato uno scatenato leghista estremista. Uno che odia il politicamente corretto, gli intellettuali, gli immigrati, «i negri» e, naturalmente, i comunisti.
Paolo Villaggio, d’altra parte, non ha in grande considerazione quasi nessuno dei viventi. Nemmeno quelli che - come Beppe Grillo - a un primo sguardo parrebbero i più affini al suo sarcasmo iconoclasta. Lo associa a Guglielmo Giannini, il fondatore dell’«Uomo qualunque». E, nel farlo, rivela - a dispetto della cinica crudezza del suo linguaggio - una visione quasi utopistica del futuro. Già, mentre Ugo Fantozzi impreca, Paolo Villaggio sogna un paese migliore. Sogna un mondo «dove tutti possano essere felici».
Il creatore di Fantozzi torna oggi sulla pagine de l’Unità, ma qualche giorno fa è comparso di persona nella nostra redazione. Zoro e Francesca Fornario l’hanno accolto col rispetto che si deve a un maestro, ma senza timidezza né deferenza. Assieme al nostro direttore, l’hanno incalzato su varie questioni e anche su quella della sua effettiva collocazione politica. Una curiosità, quest’ultima, sollecitata dall’utilizzo che i nostri amici dei giornali governativi hanno fatto nei giorni scorsi della notizia della ripresa dell’antica collaborazione. Cosine come «La sinistra si affida a Fantozzi», accompagnate da interviste a Paolo Villaggio e a Ugo Fantozzi che si divertivano a darsi il cambio vorticosamente senza avvisare gli intervistatori (i quali, in effetti, non sembrano essersene accorti).
Alla fine crediamo di esserne venuti a capo della questione politica. Dunque: Ugo Fantozzi è leghista perché un leghista fa ridere un po’ di più di un berlusconiano. Paolo Villaggio, invece, non si pone assolutamente il problema di essere «di sinistra». nè di dire di esserlo. Ha, in questa scelta di stile, dei modelli alti: Alberto Moravia, Federico Fellini, Ugo Tognazzi. E dunque - avendo un’altissima considerazione di sé - a essi si unisce. Non dice «sono di sinistra», ma osserva di non aver mai conosciuto un «intellettuale di destra».
A Zoro, che gli ricordava le ironie attorno alla «sinistra disperata» che si affida al suo personaggio, ha risposto senza esitazione che sì, effettivamente, se la sinistra si affida a Fantozzi è «perché è nella merda». Ma tutte le volte che nel colloquio ha avuto l’occasione di descrivere le cause di questa condizione, ha parlato di una sinistra e di un Partito democratico che hanno smarrito la loro identità e che proprio per questo hanno seguito la sorte disgraziata dell’intero paese. In questo il creatore e il suo personaggio - il Fantozzi che si commosse al funerale di Enrico Berlinguer - si prendono per mano e tornano una persona sola. Nella nostalgia del tempo passato, quando ancora esisteva la speranza. Ma la verità è che il piccolo ragioniere non avrebbe mai voluto fare politica. Era a suo modo felice. Sì, la sua esistenza era punteggiata da eventi sfigatissimi, ma viveva in un mondo nel quale era possibile intravedere l’esistenza della felicità. Tanto che lui, Fantozzi, pur senza mai riuscirvi, poteva anche ogni tanto sognare di raggiungerla. «Sicuramente - ci ha detto Paolo Villaggio - Fantozzi era molto più felice dei precari che hanno paura del loro futuro e dei ragazzi che hanno perso fiducia nel valore della cultura, perché il mondo che li circonda offre uno spettacolo ignobile». Un «paese di merda», appunto.
Fantozzi riprende la penna in mano con la sua fragile ferocia e il proposito di fare del male. Di procurare dolore e rabbia. Di scatenare indignazione e anche risate liberatorie. Come quella, omerica, che si levò nel paese per quel clamoroso «La corazzata Potemkin è una cacata pazzesca» gridato nel mezzo di un cineforum «di sinistra» verso la metà degli anni Settanta. Non tutti risero subito, qualcuno ci rimase male e riuscì a ridere molti anni dopo. Insomma, ci volle del tempo. E ora? Non c’è forse il rischio che qualcuno prenda alla lettera gli spropositi della “voce della Lega”? «Non ho questa preoccupazione - è stata la risposta - ho un linguaggio così paradossale perché credo che sia il modo più efficace per convincere i lettori, specie i più giovani, che questi vecchi imbecilli che difendono solo i loro privilegi vanno combattuti con la presa per il culo».
01 luglio 2009 da unita.it
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