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Autore Discussione: Franco Venturini. Missione giusta ma in pericolo  (Letto 2036 volte)
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« inserito:: Luglio 15, 2009, 05:58:40 pm »

Missione giusta ma in pericolo


Si sapeva che in Afghanistan il periodo elettorale avrebbe moltiplicato i rischi, ma quel che sta accadendo supera ogni previsione. La morte del parà, che fa seguito a una lunga serie di ferimenti di nostri soldati, è tragicamente «normale» mentre crescono a dismisura le perdite britanniche e americane, mentre i talebani attaccano persino nel Nord un tempo tranquillo, mentre la «nuova strategia» di Obama non sembra riuscire a farsi strada nel gran fragore delle armi.

In verità il nuovo inquilino della Casa Bian­ca, sottolineando la necessità di aiutare di più i civili afghani, non ha mai inteso far pas­sare in secondo piano l’aspetto militare della lotta ai talebani. E infatti i promessi rinforzi Usa stanno arrivando, mentre nella provincia meridionale di Helmand è scattata una vasta operazione offensiva americano-britannica ufficialmente destinata a facilitare le opera­zioni di voto (il 20 agosto) nel distretto di Ba­badji.

I talebani hanno ben capito che l’obiettivo è più ampio, e utilizzando la tattica dei ripie­gamenti che consentì a Kutuzov di battere Na­poleone (e agli afghani di battere i sovietici) stanno imponendo alle truppe alleate del­­l’Isaf un alto prezzo da pagare.

Gli inglesi, pur abituati alle perdite, hanno avuto otto morti in un colpo solo e la politica del premier Brown è stata messa sotto accusa sul fronte interno.
Qualche interrogativo in più circola anche negli Stati Uniti. E nemme­no il sacrificio di Alessandro Di Lisio è estra­neo a quanto sta accadendo nella provincia di Helmand: i talebani e i loro alleati nar­co- trafficanti, messi sotto pressione, tendo­no a ritirarsi verso sud-ovest, dove tocca agli americani e alle truppe speciali italiane (in particolare a Farah) il compito di monitorare e contenere i loro movimenti.

La situazione strategico-militare, insom­ma, non accenna a migliorare (ieri sono mor­ti anche due marines Usa oltre a sei civili che lavoravano per l’Isaf). Ma quel che è più grave è che non paiono esistere le condizioni politi­che e sociali per elaborare, come ha ripetuto Obama nelle ultime ore, «una efficace exit strategy dall’Afghanistan».

Che proprio questa sia l’intenzione della Casa Bianca e di tutti i suoi alleati è indubbio. Nessuno vuole rimanere in Afghanistan un minuto più del necessario, e la definizione della «vittoria» che consentirebbe il disimpe­gno, già ampiamente rivista al ribasso, può evoluire ancora. Ma una forma di stabilizza­zione interna, prima di andar via, ci vuole. E invece non la si vede nemmeno all’orizzonte.

È vero che nel vicino e cruciale Pakistan le forze governative hanno finalmente deciso di usare le maniere forti contro talebani e qaedi­sti. Ma in Afghanistan? I talebani allargano co­stantemente le loro zone di operazioni. Il le­game con coltivatori e trafficanti di oppio è saldo. La distribuzione degli aiuti occidentali continua a risultare parziale e burocratizzata. La svolta impressa dal nuovo comandante Usa Stanley McChrystal («se c’è pericolo di colpire civili innocenti meglio lasciar perde­re ») potrebbe risultare tardiva dopo le troppe vittime causate dai top gun.

E ora, ad agitare ulteriormente le acque, ha fatto irruzione sulla scena l’inchiesta su una strage di talebani prigionieri compiuta nel 2001 dal signore della guerra Dostum con la complicità della Cia a sua volta ben consiglia­ta da Cheney. Esiste un pesante lato america­no della vicenda, ma il lato afghano non è da meno. Dostum è tuttora un attivo sostenitore di Karzai. Karzai è il candidato favorito alle presidenziali di agosto. Allora, bisogna pensa­re che una tempistica delle rivelazioni tanto infelice segnali che gli Usa non puntano più sulla rielezione di Karzai? Oppure che un Kar­zai rieletto si scoprirà ancor più debole e iso­lato di prima, perché gli occidentali non po­tranno lasciargli vicino il massacratore Do­stum? Oppure ancora che dalle due ipotesi ap­pena esposte potranno nascere nuove guerre interne tra eserciti privati e di etnia diversa? Comunque vada, sull’Afghanistan è stata lan­ciata una nuova bomba a orologeria.

La morte del caporal maggiore Di Lisio ci ricorda che in Afghanistan l’Occidente com­batte una guerra fortemente e correttamente motivata parallela a una missione di assisten­za. Ma gli elementi che autorizzino a sperare nel successo, purtroppo, si fanno ogni giorno più sottili.


Franco Venturini
15 luglio 2009

da corriere.it
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