Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Giugno 07, 2009, 07:48:39 pm » |
|
La forza del dialogo
Mai una missione nel Medio Oriente di un presidente degli Stati Uniti aveva calamitato tante speranze ed era stata caricata di tante aspettative. A Barack Obama, che in meno di 48 ore visita due soli paesi, Arabia Saudita ed Egitto, tradizionali alleati di Washington, tutti hanno qualcosa da chiedere. Esiste poi il motivato timore che molti siano pronti a piegare le sue parole, individuandovi le coordinate di sempre: più amico degli arabi e meno amico di Israele, o viceversa.
Errore grave, perché Obama ha già anticipato quel che dirà oggi all'università del Cairo: volontà di dialogare con tutti, rinuncia all' imposizione ma appello alla condivisione di valori che sono universali, come la libertà, i diritti umani e una democrazia che, germogliando su basi culturali diverse, educhi al rispetto dell'altro. Messaggio semplice ma assai importante, perché non è rivolto alle passioni, alle appartenenze, ma va diritto alle menti di tutti i protagonisti: moderati ed estremisti.
Parlare alla mente può essere più incisivo e devastante di una guerra. Quindi non stupisce, anzi era quasi scontato che dalle catacombe della ragione si alzassero le minacce registrate del redivivo Osama bin Laden, capo-terrorista a comando, contro Barack Obama, appena giunto a Riad, accusato di «spargere i semi dell'odio». Ben sapendo che l'appello del presidente Usa punta a prosciugare le cause che, nel passato, avevano consentito di far lievitare proprio il fronte dell' odio.
Obama non è paragonabile al filo-arabo Jimmy Carter, che benedisse la pace di Camp David tra Israele ed Egitto ma poi favorì il rientro in Iran di Khomeini, diventando alla fine la vittima politica della stessa rivoluzione degli ayatollah. Non è Bill Clinton, che pensava con frettolosa determinazione di risolvere tutti i conflitti del Medio Oriente (dagli accordi di Oslo al fallito vertice di Ginevra con il presidente siriano Hafez el Assad, fino al fiasco di Camp David con il premier israeliano Barak e Arafat). Non è ovviamente Bush jr. ma non somiglia neppure a Bush padre, che nel '91, per costringere Israele a partecipare alla conferenza di pace di Madrid, non esitò a ricorrere ad un quasi-ricatto finanziario, negando le garanzie su un prestito di 10 miliardi di dollari.
Al contrario, Obama punta tutto sulla diplomazia: «Che - sono sue parole - ha tempi lunghi, lenti, ma sicuramente proficui. Non si possono mai avere risultati immediati». Vale per il congelamento degli insediamenti, per rilanciare la formula dei «Due stati», nonostante l'opposizione del premier israeliano Netaniahu. Vale per l'Iran di Ahmadinejad e le sue ambizioni nucleari offensive. Che la forza del dialogo, coniugata con la determinazione a combattere chi lo rifiuta, risulti vincente si vedrà.
Ma alla richiesta dello scrittore e accademico egiziano Ezzedine Choukri Fishere dalle colonne di «Al Ahram weekly» («Lei non ha bisogno di visitare moschee, di partecipare a celebrazioni esotiche, di abbracciare leader religiosi. Se vuole conquistare i nostri cuori conquisti prima le nostre menti»), Barack Obama ha già risposto. E' quel che si propone di fare.
Antonio Ferrari 04 giugno 2009
da corriere.it
|