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Autore Discussione: La metamorfosi di Fini  (Letto 2958 volte)
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« inserito:: Maggio 23, 2009, 11:42:00 pm »

Leo Sansone,   22 maggio 2009, 15:16

La metamorfosi di Fini     

Il presidente della Camera è diventato autore di una svolta laica, garantista, libertaria e di legalità costituzionale.

Un giorno sì e uno pure si scontra con Silvio Berlusconi, difendendo il Parlamento, e con Umberto Bossi, chiedendo la tutela dei diritti degli immigrati.

Non è una svolta a sinistra, ma Fini punta ad intercettare nuovi consensi in quest'area pur restando nel centro destra



Giuliano Ferrara, grande sostenitore di Silvio Berlusconi, ne è rimasto affascinato. Su ‘Il Foglio' l'ha definita qualche giorno fa "la rivoluzione culturale" di Gianfranco Fini. La trasformazione del presidente della Camera è davvero sorprendente. Da segretario del Msi neofascista a presidente di An, forza della destra democratica. Ma negli ultimi mesi e settimane la metamorfosi si è accentuata, è diventata travolgente, si è trasformata in una svolta di 180 gradi. Da difensore della società conservatrice basata sulla triade "Dio, patria, famiglia", è passato alle battaglie laiche, garantiste, libertarie e di legalità costituzionale.

Punta il dito un giorno sì e l'altro pure contro Silvio Berlusconi e contro Umberto Bossi, i suoi alleati di governo. Con il presidente del Consiglio, che critica il Parlamento e reclama più poteri per l'esecutivo, ieri come anche oggi ha avuto due scontri a distanza. "L'assemblea di Montecitorio può essere giudicata, con i suoi 630 membri, pletorica ma certo non può essere definita né inutile né controproducente", ha ribattuto il presidente della Camera. In precedenza aveva chiosato: "Le regole si possono cambiare, ma non irridere". E aveva indicato i rischi del "cesarismo" per la democrazia derivante dal populismo.
Niente male. Poco prima delle elezioni politiche del 2008, si era confidato con un gruppetto di cronisti nel Transatlantico di Montecitorio. "Berlusconi è un monarca e io - diceva - non accetterò mai la monarchia".

Fini difende l'uguaglianza dei diritti senza distinzione alcuna, cominciando da quelli degli ebrei e dei lavoratori immigrati. Pone il problema di attribuire agli immigrati anche il diritto di voto alle elezioni politiche, oltre che a quelle amministrative. Per i clandestini invita il governo, prima di realizzare i "respingimenti" dei barconi verso la Libia, "a verificare" l'esistenza del diritto di asilo politico. Sollecita la tutela dei diritti contrattuali e sociali dei lavoratori, soprattutto ora, perché sono colpiti dalla durissima recessione economica.
Prende le distanze dal Vaticano sostenendo: "Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso". Ha ricevuto a Montecitorio, fatto senza precedenti, le associazioni gay e si dice contro l'omofobia. E' possibile che, in tempi ravvicinati, faccia un intervento in favore del riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto, eterosessuali ed omosessuali.

Una autentica "rivoluzione copernicana". Fino a 15 anni fa Fini definiva Benito Mussolini "il più grande statista" del 1900, guidava le proteste forcaiole contro la corruzione dell'era di Tangentopoli ed attaccava i maestri omosessuali, sostenendo che non è possibile affidare un bambino alle cure di un docente gay. Poi è arrivata la svolta ugualitaria, garantista ed anti razzista. Cosa è successo? "La risposta è nelle cose che ho fatto negli ultimi anni. Non sono più dello stesso parere, sarei schizofrenico", ha spiegato qualche mese fa.

E' diventato di sinistra? Certamente no, ma ha abbracciato i temi cari alla sinistra, al socialismo libertario e ai radicali. Il suo obiettivo è di restare nel centro-destra marcando una svolta laica e garantista. Il suo modello e Nicolas Sarkozy, il presidente della Repubblica francese. E su questa posizione conta di pescare voti a sinistra. Del resto, assieme ad Antonio Di Pietro, ha raccolto le firme per il referendum e spinge per avere una legge elettorale ancora più maggioritaria, di tipo bipartitico e sostiene il sistema politico presidenziale.

E' una politica analoga a quella di Di Pietro, anche lui ha raccolto le firme per il referendum, ma ora vuole boicottarlo perché Berlusconi vuole votare sì. Il presidente dell'Italia dei valori pianifica una espansione a sinistra. Attacca "il governo fascista, razzista e pidduista", ha candidato alle elezioni europee molti esponenti della sinistra ed è andato davanti alla Fiat Mirafiori a chiedere voti agli operai.

La sinistra riformista e radicale, nelle sue diverse espressioni politiche, o non riesce a reagire rimanendo silenziosa o naviga al traino. Il Pd di Walter Veltroni è stato subalterno di Berlusconi e di Di Pietro ed ora quello di Dario Franceschini rischia la soggezione verso la versione di sinistra di Fini. Il problema è la mancanza di identità politica e il deficit programmatico del partito nato nell'ottobre del 2007 dalla fusione fra Ds e Margherita. La debolezza trasforma il Pd in un nuovo Zelig.
Leonard Zelig, perennemente in crisi, come racconta il film di Woody Allen del 1983, assumeva le sembianze di chiunque gli fosse vicino. "Vorrei tornare nella vagina, di chiunque", è una celebre battuta dell'attore e registra americano. Eppure è enorme lo spazio per una forza della sinistra riformista, basterebbe saperlo occupare interpretando i problemi dei lavoratori, dei ceti produttivi, di quelli popolari e delle minoranze.
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 25, 2009, 12:10:10 am »

Fini-D'Alema, asse per frenare il Cavaliere/ di Alberto Guarnieri
 
 
Alberto Guarnieri


SIENA (24 maggio) - Precisazioni non per smentire ma per chiarire. La rivendicazione di poter avere idee nuove senza per questo negare la propria storia, la propria identità. Al meeting annuale sulla stampa di Andrea Ceccherini, Gianfranco Fini e Massimo D’Alema mettono in scena un’interessante pagina del dibattito politico. Sereni, rilassati davanti a una bella platea di giovani che pretendono chiarezza, giocano a scambiarsi le posizioni con un obiettivo comune: rafforzare le istituzioni frenando lo sturm und drang di Silvio Berlusconi. Anche se, certo, nessuno si mette di traverso all’ipotesi di ridurre il numero dei parlamentari.

Ad aprire il confronto è Massimo D’Alema, che, appena giunto a Bagnaia, indica «un punto di riferimento importante per chi ama la democrazia», alludendo alla risposta di Fini alle considerazioni sul Parlamento fatte dal premier. E se nelle parole del presidente del Consiglio D'Alema legge un «comportamento arrogante e lesivo dei principi democratici», in Fini l'ministro vede invece il «difensore della dignità delle Camere di fronte all'aggressione del governo».

Tocca a Fini rispondere dal salotto-palco del meeting. E il presidente della Camera si dichiara più volte d’accordo con D’Alema («ma ora diranno che sei un po’ di destra», scherza, ironizzando sui retroscenisti), evitando però con cura di polemizzare col premier.

«Io sono da sempre convinto - argomenta il presidente della Camera - che il ceto politico italiano sia pletorico ed abbondante rispetto al numero complessivo degli abitanti del nostro Paese; il problema non sono solo i 945 deputati ma anche i consiglieri e gli assessori regionali e i rappresentanti del territorio. Si dice che si tratti di diverse migliaia di persone. Ecco: forse è arrivato il momento di dare una sforbiciata...».

Secondo Fini «bisogna rendere le Istituzioni più efficienti perchè siano in sintonia con le esigenze del Paese. Ed è giusto anche ridurre il numero dei consiglieri comunali e dei membri dei consigli di amministrazione. C'è stato un periodo in cui la politica si era “allargata”; se dimagrisse un po’ non sarebbe solo un bene per le casse dello Stato ma anche un esempio per la società».

L’asse Fini-D’Alema si sviluppa, sovrapponendo i rispettivi interventi, anche sull'immigrazione. Il leader della sinistra dice no all'intolleranza e sì all'integrazione, mentre il presidente della Camera (che non si pente di aver ricevuto i rappresentanti delle associazioni gay) risponde con una domanda: «Dove sta scritto che la posizione della destra nei confronti dell'immigrazione debba essere solo “respingiamoli”, il che è anche cosa giusta nel caso dei clandestini? Io dico “integriamoli”. Io sono per l’integrazione e il rispetto».

La giornata toscana dei due leader “gemellati” si chiude poi sul tema del meeting: l’informazione. E anche qui, come leggete a fianco, l’intesa è più che solida. Ma certo nel bocciare sensazionalismo e gossip anche il Cavaliere è d’accordo. 
 
da ilmessaggero.it
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