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« inserito:: Maggio 21, 2009, 10:15:24 am » |
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Verso il voto Le Europee / I protagonisti
L’Europa alla prova della Grande Crisi: solo tre promossi, in difficoltà i leader
Bene Strauss-Kahn, Draghi e Trichet. Male Barroso. Insufficienti Merkel e Brown
Per paradossale che suoni dopo due guerre e sei decenni d’integrazione, l’Europa che va alle urne il 6 e 7 giugno è un ingranaggio nuovo. Non avevano mai votato insieme per lo stesso parlamento gli elettori di 27 Paesi. Non lo avevano mai fatto alla vigilia (salvo altre sorprese) di una svolta costituzionale inseguita per quindici anni. Soprattutto, non lo avevano mai fatto al punto più basso di una recessione che impone a tutti priorità identiche allo stesso momento. Dell’ingranaggio nuovo dell’Europa 2009 la crisi finanziaria internazionale è il primo vero «crash test», come la caduta del Muro lo fu per l’Europa di Andreotti, Mitterrand e Kohl. Come allora in gioco sono la credibilità degli uomini e delle istituzioni, la loro capacità di capire in fretta, concertarsi e reagire rilanciando. È anche per questo che il Corriere ha cercato di cogliere in un sondaggio le percezioni che circondano un ristretto numero di personalità europee di fronte alla recessione.
L’obiettivo non è decretare un giudizio obiettivo, ma appunto far emergere una valutazione sulla risposta degli europei alla crisi da parte di osservatori che li conoscono bene (e spesso, personalmente). I criteri, questi sì, cercano di essere quanto possibile obiettivi: sottoposti a una pagella sono i responsabili delle tre istituzioni comunitarie coinvolte (Banca centrale europea, Commissione e Eurogruppo, che riunisce i ministri economici dell’area-euro); i commissari più impegnati (quelli agli Affari monetari e alla Concorrenza); i leader delle prime tre economie dell’Unione (Germania, Francia e Gran Bretagna); e i due europei che guidano organismi internazionali in prima linea nella crisi (Fondo monetario internazionale e Financial Stability Board). Insomma, gli uomini e le donne dell’Ue le cui decisioni hanno maggiori ripercussioni internazionali. Rimangono fuori vari esponenti di governo in Italia, quarta economia europea, anche perché i risultati del G8 che Roma presiede quest’anno non sono ancora maturati. La giuria invece è composta da 12 esperti nati e attivi in varie capitali, da Dubai a Washington, con esperienze di governo, all’università e sui mercati: hanno dato tutti voti «segreti», di cui presentiamo la media esatta. Piuttosto che a un numero, il risultato somiglia però a un discorso politico coerente e anche molto critico.
Dal sondaggio risultano infatti vincenti per l’appunto i due europei che non guidano istituzioni europee, ma internazionali: il francese Dominique Strauss-Kahn, che dirige l’Fmi, e il presidente del Fsb Mario Draghi (quest’ultimo, valutato solo in questa veste e non per l’operato alla Banca d’Italia). Ne escono invece bocciatissimi i due uomini che dovrebbero guidare le istituzioni più politiche dell’Unione, José Manuel Barroso della Commissione e Jean-Paul Juncker all’Eurogruppo. La cultura europea nel mondo sembra avere una sua qualità capace di imporsi, eppure le istituzioni politiche dell’Ue azzoppano chi le incarna o sono affidate a anatre già zoppe in partenza. Se la cava, fra gli uomini con il cappello azzurro a dodici stelle, solo il francese Jean-Claude Trichet: da presidente della Bce, è quello che dispone delle leve più dirette per agire. Il 9 agosto 2007, dalle vacanze in Bretagna, in due ore decise di rivoluzionare le mosse della sua banca in un modo che tutto il mondo, da allora, seguirà.
È qui il paradosso della distribuzione dei poteri nell’Unione. In teoria la capitale e la sede dei vertici è Bruxelles, ma dalla domenica di ottobre in cui Nicolas Sarkozy convocò d’urgenza all’Eliseo i leader dei Paesi dell’euro, sotto lo choc Lehman, sembra più credibile l’Europa dei governi. Questi ultimi contano di poter supplire alle carenze delle istituzioni comuni, benché dal sondaggio del Corriere emerga su questo punto un giudizio molto più guardingo. Lo spagnolo Angel Ubide, economista del Ceps e opinionista del País, riconosce che solo Sarkozy e Gordon Brown «hanno saputo agire quando era assolutamente necessario». Ma lo stesso premier britannico viene bocciato da molti: paga la sua debolezza a Londra e soprattutto il gioco di squadra troppo intermittente che ha praticato in Europa. Peggio ancora fa la tedesca Angela Merkel: «È triste vedere come chi rappresenta il Paese più grande rifiuti sistematicamente un ruolo di leadership», commenta l’economista belga Paul De Grauwe. Magari è quella sindrome europea che l’ex capoeconomista dell’Fmi, l’americano Simon Johnson, definisce «arroganza e rimozione della realtà». Di certo però il senso del «crash test» è quello indicato da Maurizio Ferrera: «Non si tratta solo di trovare soluzioni alla crisi corrette, ma di coordinarsi: un’operazione politica». Se l’ingranaggio ne uscirà ancora vivo o a pezzi, lo si vedrà non molto dopo le europee di giugno.
Federico Fubini 21 maggio 2009
da corriere.it
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