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Autore Discussione: Federico Fubini. L’Europa alla prova della Grande Crisi: solo tre promossi...  (Letto 2155 volte)
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« inserito:: Maggio 21, 2009, 10:15:24 am »

Verso il voto Le Europee / I protagonisti


L’Europa alla prova della Grande Crisi: solo tre promossi, in difficoltà i leader

Bene Strauss-Kahn, Draghi e Trichet. Male Barroso. Insufficienti Merkel e Brown


Per paradossale che suoni dopo due guer­re e sei decenni d’integrazione, l’Europa che va alle urne il 6 e 7 giugno è un ingranaggio nuovo. Non avevano mai votato insieme per lo stesso parlamento gli elettori di 27 Paesi. Non lo avevano mai fatto alla vigilia (salvo altre sorprese) di una svolta costituzionale inseguita per quindici anni. Soprattutto, non lo avevano mai fatto al punto più basso di una recessione che impone a tutti priorità identiche allo stesso momento. Dell’ingranaggio nuovo dell’Europa 2009 la crisi finanziaria internazionale è il primo vero «crash test», come la caduta del Muro lo fu per l’Europa di Andreotti, Mitterrand e Kohl. Come allora in gioco sono la credibili­tà degli uomini e delle istituzioni, la loro ca­pacità di capire in fretta, concertarsi e reagi­re rilanciando. È anche per questo che il Cor­riere ha cercato di cogliere in un sondaggio le percezioni che circondano un ristretto nu­mero di personalità europee di fronte alla re­cessione.

L’obiettivo non è decretare un giu­dizio obiettivo, ma appunto far emergere una valutazione sulla risposta degli europei alla crisi da parte di osservatori che li cono­scono bene (e spesso, personalmente). I criteri, questi sì, cercano di essere quan­to possibile obiettivi: sottoposti a una pagel­la sono i responsabili delle tre istituzioni co­munitarie coinvolte (Banca centrale euro­pea, Commissione e Eurogruppo, che riuni­sce i ministri economici dell’area-euro); i commissari più impegnati (quelli agli Affari monetari e alla Concorrenza); i leader delle prime tre economie dell’Unione (Germania, Francia e Gran Bretagna); e i due europei che guidano organismi internazionali in prima li­nea nella crisi (Fondo monetario internaziona­le e Financial Stability Board). Insomma, gli uo­mini e le donne dell’Ue le cui decisioni hanno maggiori ripercussioni internazionali. Riman­gono fuori vari esponenti di governo in Italia, quarta economia europea, anche perché i risul­tati del G8 che Roma presiede quest’anno non sono ancora maturati. La giuria invece è com­posta da 12 esperti nati e attivi in varie capitali, da Dubai a Washington, con esperienze di go­verno, all’università e sui mercati: hanno dato tutti voti «segreti», di cui presentiamo la me­dia esatta. Piuttosto che a un numero, il risultato somi­glia però a un discorso politico coerente e an­che molto critico.

Dal sondaggio risultano in­fatti vincenti per l’appunto i due europei che non guidano istituzioni europee, ma interna­zionali: il francese Dominique Strauss-Kahn, che dirige l’Fmi, e il presidente del Fsb Mario Draghi (quest’ultimo, valutato solo in questa veste e non per l’operato alla Banca d’Italia). Ne escono invece bocciatissimi i due uomini che dovrebbero guidare le istituzioni più politi­che dell’Unione, José Manuel Barroso della Commissione e Jean-Paul Juncker all’Eurogrup­po. La cultura europea nel mondo sembra ave­re una sua qualità capace di imporsi, eppure le istituzioni politiche dell’Ue azzoppano chi le in­carna o sono affidate a anatre già zoppe in par­tenza. Se la cava, fra gli uomini con il cappello azzurro a dodici stelle, solo il francese Jean-Claude Trichet: da presidente della Bce, è quello che dispone delle leve più dirette per agire. Il 9 agosto 2007, dalle vacanze in Breta­gna, in due ore decise di rivoluzionare le mos­se della sua banca in un modo che tutto il mon­do, da allora, seguirà.

È qui il paradosso della distribuzione dei po­teri nell’Unione. In teoria la capitale e la sede dei vertici è Bruxelles, ma dalla domenica di ottobre in cui Nicolas Sarkozy convocò d’ur­genza all’Eliseo i leader dei Paesi dell’euro, sot­to lo choc Lehman, sembra più credibile l’Euro­pa dei governi. Questi ultimi contano di poter supplire alle carenze delle istituzioni comuni, benché dal sondaggio del Corriere emerga su questo punto un giudizio molto più guardin­go. Lo spagnolo Angel Ubide, economista del Ceps e opinionista del País, riconosce che solo Sarkozy e Gordon Brown «hanno saputo agire quando era assolutamente necessario». Ma lo stesso premier britannico viene bocciato da molti: paga la sua debolezza a Londra e soprat­tutto il gioco di squadra troppo intermittente che ha praticato in Europa. Peggio ancora fa la tedesca Angela Merkel: «È triste vedere come chi rappresenta il Paese più grande rifiuti siste­maticamente un ruolo di leadership», com­menta l’economista belga Paul De Grauwe. Magari è quella sindrome europea che l’ex capoeconomista dell’Fmi, l’americano Simon Johnson, definisce «arroganza e rimozione del­la realtà». Di certo però il senso del «crash test» è quello indicato da Maurizio Ferrera: «Non si tratta solo di trovare soluzioni alla cri­si corrette, ma di coordinarsi: un’operazione politica». Se l’ingranaggio ne uscirà ancora vi­vo o a pezzi, lo si vedrà non molto dopo le euro­pee di giugno.

Federico Fubini
21 maggio 2009

da corriere.it
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