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Autore Discussione: Nuove carte dal Paraguay riaccendono l'attenzione su Giustino De Vuono  (Letto 2478 volte)
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« inserito:: Maggio 15, 2009, 11:06:12 am »

I misteri di via Fani

di Alessandro Grandi

Ex legionario. Tiratore scelto. Una vita tra criminalità e terrorismo.

Nuove carte dal Paraguay riaccendono l'attenzione su Giustino De Vuono



Il 16 marzo 1978, via Fani, Roma.

Un commando delle Brigate rosse mette in atto il sequestro di Aldo Moro, allora presidente della Democrazia cristiana. Da sette armi diverse vengono esplosi 91 colpi. Un'arma in particolare ne spara 49. Vanno tutti a segno. Sul terreno restano i corpi senza vita dei cinque uomini della scorta di Moro.

Solo un tiratore esperto poteva sparare con tanta precisione. E quel personaggio potrebbe essere Giustino De Vuono, un ex legionario molto abile con le armi, la cui foto segnaletica venne inserita nella lista dei possibili esecutori della strage di via Fani. Un passato fra delinquenza comune e 'ndrangheta, De Vuono era stato politicizzato dalle Br durante un soggiorno in carcere. Agli atti della Questura di Roma c'è un verbale del 19 aprile 1978 in cui un teste, Rodolfo Valentino, conferma: «Verso le 10 del 16 marzo, mentre mi trovavo alla guida della mia auto, rimasi colpito da un fatto: una Mini o una A112 di colore verde mi ha sorpassato a grande velocità fermandosi per il traffico prima alla mia destra, poi davanti a me e poi è ripartita.

Alla guida vi era un uomo le cui sembianze mi sono apparse del tutto simili ma con i baffi a quelle di Giustino De Vuono, pubblicate sui giornali, però non ne sono sicuro. Accanto a lui vi era un altro uomo... Pensai che si trattasse di due malviventi che avessero fatto una rapina e per questo li notai». D'altra parte i rapporti tra Br e criminalità organizzata non sono una novità.

«Le armi le compravamo dalla malavita in zona ticinese a Milano», ha raccontato un brigatista, «i contatti c'erano». Ma ora sulla figura di Del Vuono si aprono nuovi scenari. Dai documenti della polizia del Paraguay emerge la sua presenza in Sudamerica negli anni a cavallo dell'omicidio Moro: frequenti spostamenti tra Paraguay e Brasile tra il 1977 e il 1980, ma con un vuoto tra fine '77 e agosto '78. «De Vuono è un personaggio che non ha avuto tutta l'attenzione che avrebbe meritato», dice Aldo Giannuli, perito della commissione Stragi e professore alla Statale di Milano: «Non c'è dubbio che se dovesse essere confermata la sua presenza in via Fani, si sposta tutta la lettura del caso Moro.

Ad esempio, Mario Moretti dovrebbe spiegare com'è arrivato in contatto con il calabrese De Vuono. In quel momento poi, una delle piazze in cui si svolge la partita per liberare Moro è proprio la Calabria. C'è tutta una serie di personaggi che si muovono intorno alla vicenda. Ora poi sarebbe utile sapere perché De Vuono fosse in Paraguay e si spostasse spesso in Brasile». Un passo indietro sulle orme di De Vuono. Asuncion, Paraguay, luglio1981.

La dittatura di Alfredo Stroessner in collaborazione con i servizi segreti dei paesi latinoamericani, compie omicidi e torture di ogni tipo in nome dell'anticomunismo. È di quel periodo un'informativa diretta al capo del Dipartimento d'investigazione della polizia della capitale: narra le vicende di un italiano trovato in Svizzera in possesso di documenti paraguayani falsi. Si tratta di De Vuono.

Come descritto dettagliatamente nel rapporto, che analizza un periodo compreso fra il 1977 e il 1981, De Vuono sarebbe un «presunto integrante» delle Br oltre a essere indicato come uno degli assassini di Moro. Da quanto si evince dal carteggio, stilato in data 4 luglio 1981, la presenza del De Vuono in Paraguay non è una novità: il documento analizza i suoi spostamenti e le sue azioni dal 1977 al 1980. Viaggi e passaggi da un paese all'altro del continente americano, sovente con documenti falsi. Secondo la documentazione presente nel famigerato Archivio del Terrore, Giustino De Vuono sarebbe entrato in Paraguay in automobile, nel giugno '77, con un documento falso a nome Antonio Chiodo.

In quelle circostanze oltrepassò la frontiera tra Brasile e Paraguay in località Puerto Stroessner (oggi Ciudad del Este), zona nota alle cronache odierne per via dei traffici illeciti che la animano giorno e notte. De Vuono non era solo nell'auto. Con lui, c'era Anecio Daniel, documenti brasiliani, proprietario del mezzo e suo complice. Durante il viaggio inizierà a gettare le basi per recuperare altri documenti falsi. Il 22 giugno i due uomini se ne vanno dal Paraguay.

La loro permanenza è stata brevissima. E stavolta l'italiano utilizza la sua vera identità per lasciare il Paese. Nel 1977, dunque, la presenza di De Vuono fra Brasile e Paraguay è cosa certa. Com'è certa una sua dimestichezza nello spostarsi in quelle zone e nell'utilizzare documenti falsi. Ma poi le sue tracce si perdono fino all'agosto del 1978, quando incontra la sua compagna Antonia Vallejos nella capitale paraguayana, Asuncion. Siamo a pochi mesi dal sequestro e l'omicidio del presidente Dc. Nel frattempo in Italia De Vuono è ricercato e nel dicembre dello stesso anno sarà emesso nei suoi confronti un mandato di cattura.

Inoltre, il 15 dicembre 1978, la Questura di Roma certifica che il soggetto in questione è «irreperibile». L'informativa in mano ai poliziotti della dittatura stroessneriana puntualizza che nell'agosto 1979 De Vuono rientra in Paraguay. Lo fa sempre dalla stessa frontiera, ma questa volta è da solo. De Vuono ottiene una Cedula de Identidad e un Certificato di Buena Conducta, come cittadino paraguayano e sotto il falso nome di Antonio Aguero.

Questi documenti furono elaborati e preparati da due militari: l'ufficiale del Dipartimento anti-narcotici Luis Fernandez e il sergente Maggi. I due, forse inavvertitamente, raccontano la vicenda a un loro collega che riferisce ai superiori e denuncia il tutto.

Da quel momento inizia un'indagine e la polizia di Stroessner cerca di mettere agli arresti De Vuono. Non ci riuscirà, perché dall'Italia non giungeranno riscontri. Dal nostro Paese, infatti, arriva la notizia che De Vuono non ha problemi di tipo giudiziario e nemmeno «antecedentes policiales». Almeno così racconta la vicenda un articolo apparso sul quotidiano paraguayano ?Abc?. Per questo De Vuono viene rilasciato immediatamente. E, ottenuta la documentazione necessaria, se ne va un'altra volta dal Paraguay. In ogni caso è evidente come, nonostante frequenti controlli e scoperte di documenti falsi, De Vuono godesse di ampia libertà di spostamenti.

Durante giugno o forse luglio del 1980, il rapporto di polizia non è preciso, De Vuono torna nuovamente in Paraguay. Anche questa volta tenta di procurarsi documenti falsi, sempre corrompendo agenti di polizia. E così riesce a ottenere un passaporto paraguayano n. 424 rilasciato in data 15-01-1981, un Certificado de Buena conducta, rilasciato nella stessa data e la Cedula de Identidad n. 1.141.974. Tutti a nome Dionisi Amacio Martinez. Documenti falsi, trovati poi in suo possesso in Svizzera. Il 15 luglio 1980 in Italia il consigliere istruttore Achille Gallucci invia al procuratore generale una documentazione in cui chiede la revoca del mandato di cattura per De Vuono e altri.

Nel 1981 la vicenda di De Vuono sembra terminare con un fermo di polizia in Svizzera che consentirà di scoprire i documenti falsi dell'italiano. Anche Sergio Flamigni, ex senatore del Pci, custode di un archivio immenso relativo a P2, caso Moro e servizi segreti, chiede chiarezza. «La figura di De Vuono è molto particolare. Sembra svanire nell'aria. Nonostante il riconoscimento da parte di Valentino (aprile 1978), a un certo punto la sua figura scompare.

Ci sono poche informazioni che lo riguardano. Da sempre si è detto che potesse essere lui l'uomo della 'ndrangheta presente in via Fani. Addirittura quello che ha sparato i 49 colpi a segno. Ma non si è andati troppo a fondo. Ci sono molti dubbi ancora oggi, ma c'è la sensazione che fattori ?esterni? abbiano contribuito a far sparire qualcuno dall'occhio del ciclone di quei momenti. Forse i servizi segreti. È una storia italiana di cui probabilmente mai nessuno conoscerà la verità».

(14 maggio 2009)
da espresso.repubblica.it
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