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Autore Discussione: La sfida dell’odio  (Letto 1945 volte)
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« inserito:: Aprile 21, 2009, 11:16:54 am »

La sfida dell’odio

Perché non accada mai più


È stata la giornata dell'odio. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha scelto la strada della violenza verbale, trasformando la conferenza dell'Onu sul razzismo nel palcoscenico di una sfida oltraggiosa. Una sfida che merita una risposta ancora più determinata di quella (rivelatasi giusta) del boicottaggio preventivo di Durban II. La folle invettiva anti-ebraica dell’ingegnere guidato in cielo dall’Imam Nascosto è arrivata proprio mentre l’amministrazione americana pensa ad un nuovo percorso negoziale per disinnescare il dossier del nucleare di Teheran e tenta di riavviare, tra molte difficoltà, il processo di pace israelo-palestinese. Un pugno chiuso nella mano tesa di Barack Obama. Una bottiglia molotov in casa di Benjamin Netanyahu e Avigdor Liebermann. Un segnale di disprezzo per gli sforzi degli uomini del Dipartimento di Stato che tentano di convincere il governo di Gerusalemme ad accantonare il sogno (o i preparativi) di un duro colpo agli ayatollah.

Il discorso sbagliato, insomma, al momento sbagliato. Ma non è solo l’armamentario negazionista a indignare, nella retorica tossica di Ahmadinejad. Parlare della nascita di Israele come di «un’operazione di invio di immigrati dall’Europa e dagli Stati Uniti per stabilire un governo totalmente razzista nella Palestina occupata» è certamente una pesante infamia in un mondo che non ha ancora perso e non vuole perdere la memoria. Ma il veleno che viene da Teheran è anche un veleno religioso, come dimostra l’altra parte del discorso di Ginevra, quella terzomondista-integralista: accolta, purtroppo, da temibili applausi in una platea già mobilitata sul tema dell’«islamofobia». A parlare ieri non era il presidente di un Paese, ma l’uomo che aveva concluso la sua lettera a George Bush del maggio 2006 con questa frase: «Che ci piaccia o no, il mondo gravita verso la fede in Dio e nella giustizia, e il Volere di Dio prevarrà sopra ad ogni altra cosa». La teocrazia di Teheran è, da tempo, la principale minaccia alla pace del mondo, come sanno, per esempio, i palestinesi vittime dell’avventurismo oltranzista di Hamas. «L’Iran non è una democrazia, come è vero che non si servono bistecche in un ristorante vegetariano e che non si gira in bikini in un campo di nudisti», ha scritto Thomas Friedman. Questo non vuol dire che non si debba negoziare il negoziabile. Ma si tratta anche di pensare, nel Consiglio di Sicurezza e nell’Assemblea generale dell’Onu, a delle misure in grado di evitare che quanto è accaduto ieri non accada mai più.

Paolo Lepri
21 aprile 2009

da corriere.it
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