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Autore Discussione: «Il terremoto non si prevede, si previene»  (Letto 3560 volte)
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« inserito:: Aprile 07, 2009, 10:40:01 am »

Intervista a Gian Michele Calvi: «anni prima che l'italia arrivi al livello del giappone»

«Il terremoto non si prevede, si previene»

«Mettere a norma edifici. È scandaloso fare polemiche mentre viene dichiarato inagibile l'ospedale dell'Aquila»


MILANO - «Non si può prevedere, ma si può prevenire. E l’unico modo è mettere a norma gli edifici». Crede più nella prevenzione che nelle previsioni Gian Michele Calvi, esperto internazionale e direttore dell’Eucentre, il centro europeo di formazione e ricerca in ingegneria sismica dell’Università di Pavia. L’ingegnere, membro della commissione nazionale Grandi rischi della Protezione civile e «papà» dell’attuale normativa antisismica, si trova già all’Aquila per le prime verifiche sui crolli del terremoto.

Professore, il terremoto era prevedibile?
«Assolutamente no, nessuno era in grado di prevederlo. Gli sciami sismici sono frequenti nel nostro Paese. L’unica forma di prevenzione possibile in questi casi riguarda le strutture dei palazzi. È scandaloso che, mentre viene dichiarato inagibile l’ospedale dell’Aquila, si facciano polemiche se il terremoto fosse o meno prevedibile. La soluzione non è evacuare un’intera area, ma renderla sicura e ridurre i rischi».

Che cosa si deve fare allora?
«Bisogna rimboccarsi le maniche e pianificare un serio programma di messa a norma degli edifici. Cominciamo dalle zone ad alto rischio sismico e dalle strutture pubbliche fondamentali come scuole e ospedali. Secondo la legge del 2003, l’Abruzzo è inserito tra la prima e la seconda zona sismica (rischio altissimo), il fatto che due delle tre sale operatorie dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila non siano più utilizzabili non è da Paese civile. Ripeto, l’unica forma di prevenzione è fare in modo che scuole, ospedali ed edifici pubblici non collassino».

Il contrario di ciò che è successo a San Giuliano?
«Anche in quel caso non si era fatto nulla per mettere in sicurezza un edificio fondamentale come la scuola. E proprio dal dramma di San Giuliano di Puglia nell’ottobre del 2003 è nata la nuova normativa antisismica. Da allora qualcosa è stato fatto. È stato stanziato del denaro, ma ci vuole del tempo per mettere in regola tutte le strutture. Senza contare che la manutenzione deve essere sistematica e soggetta a continue verifiche. Insomma, ci vorranno anni prima che l’Italia diventi come il Giappone».

Eppure la ricerca italiana nell’ingegneria antisismica è all’avanguardia.
«È vero, ma non è solo una questione di ricerca: è un fatto culturale. Questo Paese si ricorda di essere a rischio terremoto solo quando si trova sotto le macerie. E allora sull’onda delle emozioni si cerca di intervenire in qualche modo. Ma è troppo tardi. Passato qualche mese, poi, ci si dimentica, fino alla tragedia successiva».

Maddalena Montecucco
06 aprile 2009

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 07, 2009, 06:53:54 pm »

7/4/2009
 
I rischi dimenticati
 
MARIO TOZZI
 
E’ sempre spiacevole riflettere sulle catastrofi quando ci sono ancora persone da tirare fuori dalle macerie, ma bisogna farlo se si vuole evitare di trovarci ancora nel dolore e nella rabbia.

E rabbia è la parola giusta, quando sono anni che si classifica meticolosamente il territorio nazionale, mettendo in luce quanto sia esposto ai rischi naturali, e sono anni che non se ne tiene alcun conto. Agli italiani sembra di poter vivere in Scandinavia, ma il terremoto dell’Aquila ci ricorda brutalmente che non è così, che da noi ci sono alluvioni, frane ed eruzioni vulcaniche, che in buona misura possono essere previste, e terremoti di cui, invece, non si sa né l’ora o il giorno né tanto meno il mese o l’anno in cui si scateneranno.

È pero certo che lo faranno e ormai si sa bene dove: in Friuli, in Garfagnana, nella dorsale appenninica umbro-marchigiana-abruzzese, in Irpinia, in Calabria, nel Gargano e nella Sicilia orientale. E anche con che tipo di danno: veramente catastrofici nello Stretto di Messina, in Irpinia e nel Catanese. Eppure non viene speso un centesimo nel risanamento antisismico degli edifici pubblici, anzi si progettano faraoniche grandi opere che stornano denari dall’unico uso sensato che se ne dovrebbe fare in un contesto come il nostro. E si ipotizzano «piani edilizi» che permetterebbero la sopraelevazione degli edifici, proprio una delle cause più frequenti di crollo da terremoto, come insegna la storia dei nostri sismi, da quello di Messina e Reggio Calabria del 1908, aggravato dall’aver ignorato - già allora! - le norme antisismiche borboniche che vietavano di innalzarsi a più di 10 metri di altezza e di sovraccaricare gli edifici.

Sarà bene ricordare che non solo le città italiane sono il frutto di ricostruzioni dopo innumerevoli terremoti, ma anche il paesaggio è un paesaggio sismico, prodotto cioè da successivi eventi, come è normale in un paese geologicamente attivo, in cui si può convivere con il rischio solo usando scienza e intelligenza. Non uccide il terremoto, ma la casa mal costruita o mal posta. Sarebbe bene ricordarlo sempre. Dovremmo infine farla finita di parlare di ipotetiche catastrofi naturali, che in realtà non esistono: esiste solo la nostra incapacità, ignoranza o malafede nel rapportarci con il rischio e una delittuosa propensione a perdere la memoria degli eventi passati. Ma in Italia nessun posto è immune dal rischio e la Terra non smetterà di ricordarcelo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 14, 2009, 06:08:35 pm »

IL TERREMOTO TRA VERA PREVENZIONE E FALSA FATALITA'


di Lapo Boschi e Elena Fagotto
09.04.2009


I terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani, però. Si capiscono studiando i movimenti delle placche tettoniche, prendendo in esame una zona che tende a fratturarsi e esaminando la frequenza degli eventi in quella zona. Perché nei terremoti c'è una certa regolarità, un ritmo. Ma la previsione non serve a ordinare un'evacuazione, serve a sapere dove le case vanno costruite secondo criteri antisismici. E il problema più grave dell'Italia è proprio l'inadeguatezza delle infrastrutture anche di fronte a un sisma di dimensioni relativamente modeste.

Quando lunedì il terremoto ha colpito l’Abruzzo, in molti si sono ricordati di Giampaolo Giuliani, il tecnico del laboratorio del Gran Sasso che una settimana prima aveva cercato di allertare le autorità.

Ci si è domandati se gli scienziati che Giuliani chiama "canonici" non avessero clamorosamente sbagliato a ignorare le sue indicazioni: ogni sismologo si è sentito domandare, da colleghi e da profani, se davvero il terremoto non si poteva prevedere.

TRA PROFEZIE E PREVISIONI

Quello dell’Abruzzo non è un stato un "grande" terremoto. In altri paesi, scosse più intense fanno meno danni, meno vittime. Nel 1989 il terremoto di Loma Prieta, a una cinquantina di chilometri da San Francisco, ha rilasciato dieci volte più energia di quello dell’Abruzzo. Quante vittime? Sessantatré i morti, circa 3mila i feriti, 10mila gli sfollati. I dati che arrivano dall’Abruzzo, ancora non definitivi, sono già peggiori. Eppure, la regione che circonda la baia di San Francisco è una delle aree metropolitane più densamente popolate degli Stati Uniti.
Oggi i sismologi che si sentono porre la classica domanda sulla possibilità di previsione, possono rispondere che, sì, i terremoti si possono prevedere. Non alla maniera di Giuliani, però. I terremoti si capiscono studiando i movimenti delle placche tettoniche: vicino all'Italia quella africana sprofonda sotto quella europea; l'attrito provoca fratture che percepiamo sotto forma di terremoti. E si prevedono prendendo in esame una zona che tende a fratturarsi, una zona sismica, e studiando la frequenza dei terremoti in quella zona. Da qualche decennio, esiste in Italia una rete di sismometri che misurano le oscillazioni del suolo, consentendo di misurare accuratamente e in tempo reale posizione e grandezza dei sismi. In questo modo è possibile, tra l'altro, inviare i primi soccorsi nelle località più colpite. Ai tempi del terremoto dell'Irpinia, in Italia questa tecnologia non esisteva. Oggi esiste, funziona e nei giorni scorsi ha salvato delle vite.
Altre misure si estrapolano da resoconti storici che descrivono terremoti vecchi di secoli. Messi insieme i dati, ci si accorge che nei terremoti c'è una certa regolarità, un ritmo: la velocità con cui le placche si spostano rimane uguale a se stessa per tempi "geologici": milioni di anni. Il ritmo delle fratture è solo approssimativamente costante, però. Il prossimo "big one" potrebbe arrivare tra un mese, un anno, dieci anni. Differenze molto importanti, ma irrisorie nella scala temporale della tettonica a placche. Per colpa di queste differenze, le previsioni dei sismologi sono solo statistiche: mappe di pericolosità sismica, espresse "in termini di accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del 10 per cento in cinquanta anni". Questo significa che un abitante di Messina o di Udine ha il 10 per cento di probabilità di essere colpito, nei prossimi cinquanta anni, da un terremoto grande come quello dell'Abruzzo, o ancora peggiore.
Oggi i terremoti si prevedono così. Questo tipo di previsione non serve a ordinare un’evacuazione, ma serve a sapere dove occorre costruire meglio le case. Meglio non si può fare, perché la frattura è un fenomeno caotico: basta una piccola perturbazione nelle condizioni iniziali e tutto (il luogo e l’ora del sisma, l’energia rilasciata) cambia, anche parecchio: decine di chilometri, mesi, punti di magnitudo. Per questo, anche lo sciame di piccoli terremoti registrati in Abruzzo negli ultimi mesi non è servito a prevedere quello più grande: esistono sciami di terremoti che non preludono a eventi più grandi, e grandi terremoti che arrivano all’improvviso.

DISCUTERE DI RADON NON RAFFORZA LE CASE

I ricercatori studiano, naturalmente, tutti i fenomeni che permettano di diagnosticare l’imminenza di un terremoto. Il radon, ad esempio, è un gas radioattivo sprigionato dalle rocce della crosta terrestre; da almeno trent’anni si sa che le emissioni tendono a essere più intense in corrispondenza di eventi sismici. Ci sono strumenti che rilevano il radon emesso dal suolo in un determinato punto, e su uno di questi strumenti Giampaolo Giuliani ha osservato, la settimana scorsa e in altre occasioni, che il suolo abruzzese stava emettendo più radon del normale. Ma come per gli sciami di piccoli terremoti, anche le emissioni anomale di radon non sono necessariamente segnali premonitori di un terremoto: c’è radon senza terremoti e ci sono terremoti senza radon. In assenza di un preciso modello scientifico, Giuliani non era nelle condizioni di lanciare un allarme.
Ad ogni modo, continuare a dibattere il caso del radon distoglie dal problema ben più grave dell’inadeguatezza delle infrastrutture di fronte a un sisma di dimensioni relativamente modeste. Ènecessario prevenirle adeguando le infrastrutture ai rischi naturali che ben conosciamo. Questa è la priorità numero uno. Una volta adeguate le infrastrutture ci si potrà occupare di early warning systems per attivare una serie di reazioni quando si presenta un sisma. (1)
I terremoti non sono fatalità, ma eventi cui è possibile far fronte preparandosi. Sapendo che la reazione a certi pericoli non è perfettamente razionale, è importante comunicare i rischi sismici in maniera chiara ed efficace alla popolazione, attraverso simulazioni per valutare che impatto avrebbero eventi del passato in condizioni attuali. Ad esempio, come reagirebbero la Messina e la Reggio di oggi a un sisma analogo a quello del 1908? Vi sono organizzazioni, fra cui Geohazard International, che sono impegnate su questo fronte. In zone ad alto rischio, l'educazione dei cittadini è fondamentale per trasmettere attraverso le generazioni l'esperienza e la cultura della prevenzione. Istituzioni che non riescono a prevenire rischi che in altri paesi vengono gestiti in maniera "normale" devono prendere atto del proprio fallimento.Ènecessario che comunichino con i cittadini in maniera trasparente, e stabiliscano meccanismi per far partecipare la popolazione alla gestione della ricostruzione, non solo nella fase progettuale, ma anche nella realizzazione degli interventi. Solo così ci sarà quell’accountability diffusa necessaria perché il prossimo terremoto non abbia conseguenze tanto drammatiche.

 

(1) Attenzione, i segnali partono quando si verifica il sisma, allertando ad esempio i treni, per cui i tempi di reazione sono estremamente compressi.


da lavoce.info
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