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Autore Discussione: Le esitazioni di un uomo che un tempo era forte  (Letto 2658 volte)
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« inserito:: Agosto 10, 2007, 05:21:25 pm »

Le esitazioni di un uomo che un tempo era forte
Gabriel Bertinetto


I drammatici avvenimenti interni hanno impedito a Musharraf di recarsi ieri a Kabul per la jirga (assemblea) dei capi delle tribù pashtun che vivono a cavallo della frontiera afghano-pakistana. In sua vece è andato il premier Shaukat Aziz, che ha condiviso con Hamid Karzai l’obiettivo di «combattere con determinazione le forze oscure» (talebani e Al Qaeda), ma ha respinto le critiche del capo di Stato afghano.

Quest’ultimo si era chiesto «perché questo male venga dal vostro Paese e sotto la vostra amministrazione», alludendo alle protezioni di cui ribelli e terroristi godono oltre frontiera. Shaukat gli ha ricordato polemicamente che i talebani sono «prima di tutto» afghani e l’Afghanistan non può «biasimare» gli altri per la propria incapacità di favorire una riconciliazione nazionale. L’ennesima polemica fra due governi che sulla carta sono alleati nella lotta alle milizie armate integraliste, dà la misura delle enormi difficoltà in cui si dibatte il regime di Pervez Musharraf. Nel momento in cui rompe gli indugi e scatena i rangers contro gli insorti asserragliati nella Moschea Rossa ad Islamabad, il presidente subisce una violentissima controreazione degli estremisti islamici (centinaia di morti in vari attentati) e naufraga la strategia di contenimento del pericolo talebano attuata stringendo accordi con alcune tribù pashtun amiche dei cosiddetti «studenti del Corano».

 Musharraf rischia insomma di rinunciare alla vecchia strada del compromesso costruttivo senza essere in grado di percorrere fino in fondo e con successo la via della repressione senza quartiere. C’è da dire che sostenendo con enfasi il diritto e la volontà di scatenare bombardamenti aerei sulle basi di Al Qaeda anche in territorio pakistano, non danno una mano a Musharraf né l’attuale amministrazione Usa né quella che potrebbe succederle alla fine del 2008 se Obama vincesse sia le primarie democratiche che la corsa alla Casa Bianca. Il presidente pakistano fa di fronte all’opinione pubblica interna ed internazionale la figura di un leader dimezzato. E questo proprio nel momento in cui la sua popolarità in patria è in vertiginoso calo. Gli sono ostili i movimenti ed i simpatizzanti islamisti, minoritari ma agguerriti e spesso tutelati dai servizi segreti, o perlomeno da spezzoni deviati dell’establishment militare rimasti ancorati all’antica politica di sostegno a Omar e ai suoi mullah.

Ce l’hanno con lui le forze d’opposizione emarginate con il colpo di Stato del 1999, i cui massimi dirigenti sono tuttora in esilio, da Benazir Bhutto a Nawaz Sharif. Sono in rivolta gli intellettuali, i ceti professionali, la classe media istruita e aperta all’Occidente, che vedono ormai in Musharraf una persona incapace di sconfiggere il pericolo fondamentalista ed allo stesso tempo un ostacolo al ripristino pieno della democrazia. Appartiene al passato il flirt fiorito inizialmente fra gran parte della società pakistana ed il golpista che si affacciava sulla scena nazionale esibendo la patente multipla di nemico dei corrotti, fautore di riforme modernizzanti, tessitore di delicati equilibri fra lo speciale rapporto con gli Usa da un lato e stretti legami con gli ambienti religiosi locali più conservatori dall’altro. Quel flirt è finito da tempo. Negli ultimi mesi si è assistito alla rivolta dei ceti medi. Emblematica la vicenda del presidente della Corte suprema, destituito e pretestuosamente incriminato con accuse rivelatesi infondate. La sua vera colpa era l’ostilità al progetto di Musharraf di farsi riconfermare presidente senza rinunciare al comando delle forze armate. Qualche settimana fa il magistrato è stato rimesso al suo posto dai colleghi della Corte suprema. Musharraf ha incassato.

Segno di debolezza o di rinsavimento? Difficle dire. Certo il capo di Stato sente franargli il terreno sotto i piedi. Incontrando in segreto negli Emirati arabi l’esiliata Benazir, esplora l’ipotesi di un patto con la principale avversaria, punto di riferimento di quegli ambienti sociali che gli hanno voltato le spalle. Poi però si lascia tentare dall’avventura autoritaria e medita lo stato d’emergenza. L’impressione è che si trovi ad un bivio e tentenni. Un passo in una direzione, un passo in quella opposta. A furia di temporeggiare, alla fine altri potrebbero decidere al posto suo. E metterlo da parte.

Pubblicato il: 10.08.07
Modificato il: 10.08.07 alle ore 10.10   
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