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Autore Discussione: Paolo Conti. Se le indagini si sgonfiano  (Letto 2739 volte)
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« inserito:: Gennaio 02, 2009, 04:16:27 pm »

Giustizia e politica

Se le indagini si sgonfiano


Calma, calma, calma, e ancora calma. Però resta il fatto che, secondo il Tribunale del Riesame di Potenza, le accuse di corruzione e turbativa d'asta restano in piedi, l'associazione a delinquere no. Dunque, l'inchiesta, come è giusto che sia, va avanti, ma perde per strada qualcosa di molto, molto importante.

Salta, cioè, il capo A dell'ordinanza emessa dal Gip Rocco Pavese, su richiesta del Pm Henry John Woodcock.

E i presunti esponenti dell'altrettanto presunto comitato d'affari messo su per gestire le estrazioni petrolifere in Basilicata, dall'amministratore delegato di Total Italia Lionel Levha all'imprenditore Francesco Rocco Ferrara, se ne tornano a casa, agli arresti domiciliari. Che vengono invece revocati per il parlamentare del Pd Salvatore Margiotta, rappresentato, nell'inchiesta di Woodcock, come il personaggio chiave, dal punto di vista politico, del suddetto «comitato». La Camera, il 18 dicembre, aveva respinto la richiesta di arresto per Margiotta, con la sola eccezione dell'Italia dei Valori, a costo di tirarsi addosso l'accusa di essersi per l'ennesima volta schierata a difesa di un rappresentante della casta: adesso, il Tribunale del Riesame sembra darle ragione. Calma. Calma, calma, calma, e ancora calma. Però resta il fatto che il 23 dicembre il Gip Luca De Ninis, lo stesso che nove giorni prima aveva disposto l'arresto, sempre ai domiciliari, del sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, anche lui del Pd, aveva pensato bene di tornare sui suoi passi. Sostenendo che sì, il quadro accusatorio era tutto confermato, e anzi per certi aspetti si era anche rafforzato, però, non si capisce esattamente come, si era pure ridimensionato. Cosicché D'Alfonso poteva benissimo tornare in libertà. E le sue dimissioni da sindaco, che all'inizio di dicembre erano parse al Gip una spregiudicata mossa strategica, meritevole di una sdegnata censura, sotto Natale assumevano tutt'altro rilievo: D'Alfonso, dimettendosi, non solo non poteva più inquinare le prove, ma dava anche un segnale politicamente e moralmente significativo.

Calma. Calma, calma, calma, e ancora calma. Però resta il fatto che, senza nulla concedere alle teorie del complotto (oltretutto controproducenti e anzi autolesionistiche, perché i complotti, se mai ci fossero, e non ci sono, non basterebbe solo denunciarli, ma occorrerebbe pure saperli stroncare), se fossimo nei panni di Walter Veltroni e del gruppo dirigente del Pd qualche interrogativo ce lo porremmo. E proveremmo pure a dare, a noi stessi e all'opinione pubblica, delle risposte. Partendo da una premessa che comporta un'autocritica dolorosa sul passato e scelte non facili per il presente e il futuro. La cosiddetta questione morale è in realtà in primo luogo una questione politica. Tanto è vero che, con tutta l'immoralità che quasi per definizione si porta appresso, si è abbattuta sul Pd, quasi come una nemesi storica, proprio quando più vistose si sono fatte le difficoltà politiche, contingenti e di prospettiva, di questo partito. Non è certo la prima volta che succede. La novità sta nel fatto che per molti motivi, non tutti propriamente nobili, l'avversario tutto fa fuorché brandirla a mo' di clava. A utilizzarla spregiudicatamente, al limite del cinismo, sono presunti amici che, strada facendo, sono diventati dei concorrenti.

E se possono farlo (per essere più precisi: se Antonio Di Pietro può farlo) è soprattutto perché l'idea che l'azione giudiziaria sia la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi, e che alla magistratura spetti il controllo non solo della legalità, ma pure della moralità pubblica e privata, è stata a sinistra prima coltivata, poi blandita, e in ogni caso mai seriamente contrastata, nemmeno negli anni più recenti; e ha fatto una straordinaria quantità di proseliti. Calma. Calma, calma, calma e ancora calma. Però resta il fatto che c'è una questione aperta di riforma della giustizia: sarebbe stato meglio prenderne atto ben prima che Silvio Berlusconi la mettesse in agenda come la riforma delle riforme, e che i magistrati bussassero alle porte di casa, ma non è mai troppo tardi. E c'è nello stesso tempo una questione altrettanto aperta di riforma (ma forse sarebbe più giusto dire: di rifondazione) della politica, e in primo luogo dei partiti, a cominciare dalla selezione dei loro gruppi dirigenti: forse, vedremo, quel che leggiamo nelle intercettazioni napoletane, lucane o abruzzesi ha poco o nessun rilievo dal punto di vista penale, ma sicuramente rappresenta uno spaccato terrificante di quel che sono diventati il ceto politico e la vita politica in tante parti d'Italia. Fa bene il Pd a preoccuparsi di quanto capita a Pescara o a Potenza, e a tirare un sospiro di sollievo quando le inchieste si sgonfiano, o si ridimensionano. Ma non basta.

Paolo Conti
02 gennaio 2009
da corriere.it
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