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Autore Discussione: Il pellegrinaggio del mondo alla casa di San Francesco  (Letto 2578 volte)
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« inserito:: Febbraio 27, 2009, 12:10:02 am »

Da Berlinguer al Dalai Lama.

Il pellegrinaggio del mondo alla casa di San Francesco

di Luca Cardinalini

La toponomastica, ad Assisi come altrove, dice se non tutto, molto. Così, solo agli occhi più ingenui sembrerà strano che per giungere alla Porziuncola, dove Francesco pregò e morì - «portiuncola de mundo», perché delle cose basta «una piccola porzione», il resto «dallo ai poveri per giustizia, e sarai felice» - si debba percorrere «via Enrico Berlinguer».

«Dei politici - racconta padre Vincenzo Coli, ex custode del sacro Convento di Assisi -, Berlinguer mi colpì più di tutti. Ricordo le decine di telefonate della segreteria del Pci, per valutare la possibilità e stabilire le modalità dell'incontro, ricordo che Tonino Tatò, suo segretario particolare e cattolico, entrando nella basilica si fece il segno della croce, e disse: eh, le radici sono le radici. Il leader comunista mostrò grande voglia di capirci e capire». La visita ebbe un seguito curioso, di lì a poco: «Accompagnai d'urgenza un confratello in ospedale, non c'erano posti letto liberi, poi uscì in corridoio un dirigente, ovviamente comunista, che mi riconobbe e mi promise di far di tutto per ricambiare l'ospitalità offerta al Segretario, e il posto letto saltò fuori».

Padre Vincenzo lascia il timone nelle mani di padre Giuseppe Piemontese, dopo 17 anni, un periodo denso di grandi eventi, alcuni decisi dall'uomo, altri no: fine secolo e fine millennio, incontri interreligiosi, terremoto, crollo del muro di Berlino, due o tre guerre dichiarate e decine di altre a bassa intensità, oltre a un pellegrinaggio ininterrotto di politici, capi di Stato, ex terroristi, criminali, banchieri, industriali, attori, miliardari, sceicchi, atei, sportivi («da poco è venuto il Catania»), ospiti illustri come la Betancourt («una pulizia dei sentimenti straordinaria, assenza di odio e capacità di perdonare. Solo chi è grande sa perdonare») e pellegrini qualunque.

Ma è soprattutto per i politici, che Assisi si fa passerella imperdibile. «L'ho detto a tutti: venite per rifarvi una verginità o per qualcos'altro di più importante? Qui si viene più che per ascoltare che per essere visti». Meglio la Prima che la Seconda Repubblica, par di capire. «Oltre a Berlinguer, mi piace ricordare Almirante e Fanfani, che veniva spesso a pregare davanti alla tomba di san Francesco, nella forma più discreta che si possa immaginare». Quelli di oggi, invece, anticipano comunicati a giornali e tv. «E' cambiata la politica, conta più l'immagine e molto di meno la pratica, la coerenza. Quanto a noi ci hanno accusato sia di essere di destra che di sinistra, in realtà seguiamo il Vangelo, che non è di nessuno ma di tutti».
Originario di Montignoso (Ms), nelle alpi Apuane, 71 anni, nel 1951, padre Vincenzo è entrato in seminario a soli 13 anni. Tifoso juventino - «Stavo per giocare nella Pistoiese, ero un' ala destra veloce, poi scelsi Dio» - con un unico rammarico: «Avrei voluto studiare di più, e non solo teologia».

Invece è finito in Umbria, a capo di questa «piccola Onu» (in tutti i sensi: una quindicina i paesi di provenienza dei frati residenti), ispirata a Francesco: quattro milioni di presenze l'anno, per un santo della chiesa cattolica - venerato e amato anche da chi crede ad altro - che non fa miracoli e non guarisce, ma predica amore per i più poveri.
Ad Assisi parlano le pietre, dice Padre Vincenzo, riferendosi alla grande capacità di accoglienza e di dialogo. Con tutti. Come ripete sempre al dottore iraniano e musulmano, Salari Hamid, che gli sta curando un fastidioso mal di schiena. «Durante le sedute, parliamo di politica, di Dio, dell'anima, è un islamico di mentalità aperta, gli uomini di buona volontà riescono sempre a parlarsi».

Incontri interreligiosi, marce per la pace in Afganistan, Iraq, Kosovo, Tibet, Darfur. Appena un brivido di tensione scuote il mondo, qualcuno e qualcosa si incontra o si muove ad Assisi. Davanti al sepolcro Francesco si sono inginocchiati diplomatici sovietici e generali americani, il Dalai Lama ha pianto davanti alla tunica di Francesco, Tarek Aziz ha ascoltato il suono del corno che sette secoli prima il sultano Malik Al Kamil aveva regalato al santo. «Attenzione - dice padre Coli - pace non significa assenza di guerra. Francesco la considerava un dono da vivere non un messaggio di propagare, nei gesti. C'è grande bisogno di gesti simbolici nel mondo e il suono del corno serve proprio come megafono per chiamare la gente alla conversione, a cambiare vita. Quella in Irak fu una guerra sbagliata, l'abbiamo ripetuto».

L'allora vicepremier Gianfranco Fini, forse per giustificare la missione italiana, provò a dire che il Poverello, in fondo, non aveva mai condannato l'uso delle armi per legittima difesa. Come se il comandamento fosse «non uccidere, a patto che…». «Cosa vuole, i politici hanno sempre parlato di Francesco in base alle proprie non dico convenienze, ma ondeggiando in riletture parziali».

Vista dal suo osservatorio, com'è cambiata l'Italia in questo lasso di tempo? «C'è stato un cambiamento profondo. La cosa più evidente è la fortissima secolarizzazione, il crollo di ideali, l'arricchimento come stile di vita e un imbarbarimento delle relazioni sociali. Prenda le notizie di questi giorni, di stupri, di pedofili, di voglia di vendette sommarie. L'uomo è sempre educabile, anche sessualmente».

Il dialogo dei frati è anche con aziende e sponsor importanti, che sembrano stridere con il messaggio. «Siamo dei questuanti, come Francesco», chiosa padre Vincenzo e aggiunge sorridendo: «Diciamo che favoriamo il ricco ad entrare nel regno dei cieli».
Anche in tempi di crisi economica e di nuova povertà, che Francesco addirittura chiamava Madonna. «La crisi c'è, la sentiamo e la valutiamo dal calo delle elemosine o delle offerte alle messe, ma la povertà è un concetto evangelico da valutare con attenzione. Francesco in 90 delle sue 109 ammonizioni parla di povertà, ma solo in 25 di esse è intesa come mancanza di mezzi materiali. Per il resto è povertà spirituale».

La vicenda di Eluana Englaro ha costretto il paese a pensare a «sorella morte». «Della vita conosciamo molto, ma molto ci sfugge. Detto che è straziante pensare che una persona possa essere fatta morire di fame e di sete, in tutta questa vicenda è mancato il rispetto per un dramma vissuto con grande dignità da una famiglia molto unita. Le grida di scomunica per chi ha aiutato Eluana a morire, sono ridicole».
Anche perché, proprio in quei giorni, il Vaticano una scomunica l'aveva revocata, per un vescovo negazionista. «Tra un miliardo di fedeli, ce n'è qualcuno con le idee un po' confuse, ma non ci si deve fermare a quello. La revoca è parte di un cammino di conversione, che non può essere vanificato dalle stolte dichiarazioni di un singolo. La Chiesa si cambia da dentro. Giotto nel dipinto del sogno di Innocenzo III raffigura Francesco che sorregge la chiesa del Laterano, ma stando sopra e dentro».

Pensa mai alla sua, padre, di morte? «Dovrei risponderle che l'aspetto sereno, quando Dio vorrà. In verità non sono pronto al cento per cento. spero di incontrarla più in là» Padre Vincenzo, che non ha paura di definirsi un uomo felice - «Se scoprissi che dopo non c'è niente, sarei felice lo stesso, il messaggio di Francesco è quanto di meglio ho trovato nel supermarket del mondo» - non andrà in pensione, l'aspetta un altro incarico, forse a Firenze. Lascia l'Umbria, salutandola così: «Impegnatevi a che rimanga così bella e pulita. Avete dei santi, come Francesco e Benedetto, che sono due colossi della fede, perché hanno costruito ponti tra le civiltà e devono essere dei punti di riferimento per un nuovo umanesimo». In sedici, appena eletti al soglio pontificio, hanno scelto il nome di Benedetto. Nessuno, per ora, ha scelto il nome di Francesco.

lucacard@inwind.it

26 febbraio 2009
da unita.it
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