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Autore Discussione: Intercettazioni, giornalisti in rivolta  (Letto 2317 volte)
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« inserito:: Febbraio 24, 2009, 05:54:26 pm »

Intercettazioni, giornalisti in rivolta

di Roberto Rossi


Ipotesi numero uno: Giovanni Santini, amministratore di condominio di Roma, viene ucciso da Georgeta Nikita, 30 anni, tre figli e un quarto in arrivo. Un colpo secco con il matterello che gli spacca il cranio. Il corpo chiuso in una valigia viene ritrovato poco dopo dalla polizia. Ipotesi numero due: in Abruzzo viene arrestato Ottaviano Del Turco. Un imprenditore della sanità locale lo accusa di aver preso soldi. Vero o falso lo accerterà un giudice. Qui non importa. Importa per Giuseppe Cascini, magistrato, presidente dell’Anm, spiegare che sia nel primo sia nel secondo caso, se fosse approvato il secondo "lodo Alfano" che procede a tappe forzate alla Camera, nessuno avrebbe saputo nulla. Né il nome della vittima, né quello del carnefice, non quello del presunto corrotto, né quello del altrettanto presunto corruttore. «A un certo punto gli abruzzesi si sarebbero trovati senza presidente senza sapere perché».

Che cos’è il “secondo Lodo Alfano” che prende il nome, appunto, dal ministro della Giustizia Angiolino Alfano? L’opinione pubblica lo conosce come la “legge sulle intercettazioni”. Nata, dice il governo, per limitare la pubblicazione delle intercettazioni non utilizzate dal magistrato. Ma è qualcosa di peggio. Perché quel “lodo” è «un attentato al diritto di cronaca». Di più. Spiega il parlamentare Giuseppe Giulietti: “è una legge che mette in pericolo l’articolo 21 della Costituzione”. Quello che tutela e riconosce la libertà d’espressione. Perché il secondo lodo Alfano non solo limita le intercettazioni per i soli reati di mafia e terrorismo e solo in caso di gravi indizi di colpevolezza, ma anche impdisce la normale attività di cronaca non permettendo la pubblicazioni di atti giudiziari, non coperti da segreto istruttorio, fino alla prima fase dibattimentale del processo. Né atti, né i nomi di imputati, arrestati, magistrati. 

“In particolare sono tre i punti del provvedimento contestati” spiega Riccardo Levi, che con gli altri ha partecipato a Roma alla manifestazione organizzata dal sindacato dei giornalisti dal titolo “Ddl Alfano se lo conosci lo eviti”. “Il primo è la modifica del codice di procedura penale che impedisce la pubblicazione di intercettazioni”. Il secondo è “il carcere per il giornalista che viola la legge”. La terza è “la multa per gli editori” del giornale dove la notiza appare.

“Se questa legge – spiega Marco Travaglio davanti a un centinaio di persone – venisse approvata  la via è quella di ricorrere alla Corte Costituzionale e quella di Giustizia europea. Subito. Per questo mi auguro che dal Parlamento esca una norma più lurida possibile. Per questo mi rivolgo all’opposizione: non emendate nulla”. Quella di Travaglio è la stessa posizione espressa successivamente dal leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro e riassumibile nello slogan “né confronto, né dialogo”. Semmai un referendum. Successivamente.

Che pure ieri in qualche modo c’è stato. Perché alla manifestazione ha preso parte anche il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. «Oggi è martedì grasso e questo carnevale deve finire» ha il senatore. «La pubblicazione di tutto in ogni modo e in ogni circostanza non è più possibile. Si può discutere su qualche dettaglio però credo - ha proseguito Gasparri sommerso da contestazioni - che la pubblicazione di tutto come è avvenuto in Italia abbia fatto male alla giustizia sabotando le indagini e abbia danneggiato persone che in molti casi non sono state nemmeno rinviate a giudizio. Forse - ha concluso - sono stato l'unico a difendere il provvedimento. Una legge ci vuole, questa situazione è durata per troppi anni e l'eccesso di intercettazioni deve cessare»

«Ma quale carnevale!» replica la capogruppo del Pd nella commissione giustizia della camera, Donatella Ferranti. « Qui l’unico ad avere la maschera è il senatore Gasparri che mentre dai tg sbraita a difesa delle forze dell’ordine, in parlamento appoggia silenziosamente norme che depotenziano l’attività investigativa delle forze dell'ordine e compromettono la sicurezza dei cittadini. Nonostante le laceranti divisioni interne - prosegue Ferranti- la maggioranza approverà una riforma delle intercettazioni che è un regalo alla criminalità: una vera e propria “legge ad crimen” che impedirà alle forze dell'ordine di assicurare alla giustizia numerosi colpevoli di reati di grave allarme sociale».

Un esempio? Ancora Cascini: «La legge dice di usare le intercettazioni solo in caso di gravi indizi di colpevolezza. In sostanza mai». Infatti è risaputo che quando ci sono gravi indizi di colpevolezza il sospetto viene arrestato.


24 febbraio 2009
da unita.it
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