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Autore Discussione: Franco Marini: «Il Pd è ripartito.  (Letto 2452 volte)
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« inserito:: Marzo 15, 2009, 10:02:55 am »

Franco Marini: «Il Pd è ripartito.

Ora la sfida è sulla crisi»
 
di di Claudio Sardo


ROMA (14 marzo) - «Ma quale deriva a sinistra del Pd! La verità è che finalmente abbiamo messo al centro della nostra iniziativa la crisi e le sue drammatiche conseguenze sociali, mentre invece il governo esita, rimanda». Franco Marini difende a spada tratta il suo figlioccio Dario Franceschini. Rinvia al mittente l’appellativo di «cattocomunista»: «Forse Berlusconi non si riferiva a Dario ma al Tremonti del libro ”La paura e la speranza”, della critica al mercatismo, del rilancio dell’economia sociale...» Nella sfida al governo, però, non rinuncia da ex sindacalista a indicare terreni di confronto. «La riforma degli ammortizzatori sociali non è affatto una partita chiusa. Dopo l’affrettato no alla proposta Franceschini sull’assegno a chi perde lavoro, Sacconi ha raddoppiato l’indennità per i co.co.pro licenziati. E sono certo che il governo dovrà fare ancora altri passi avanti». Anche il piano casa può essere un terreno di confronto: «Bisogna assolutamente impedire scempi del territorio. Ma l’edilizia è volano di sviluppo e il Pd non può sottrarsi ad un approfondimento di merito».

Voi contestate al governo di aver fatto poco contro la crisi. Berlusconi però sbandiera grandi stanziamenti.
«Purtroppo il governo non ha stanziato un solo euro aggiuntivo rispetto a quelli già in bilancio. E guardi, non critico la prudenza del ministro del Tesoro che deve amministrare un debito così elevato, né i toni rassicuranti del premier. Questa è tattica: può anche servire. Il problema strategico è che il governo sta sottovalutando l’iniziativa pubblica per fronteggiare questa crisi gravissima. Gli altri Paesi sono già tutti intervenuti con misure eccezionali. Da noi invece si attende il miracolo. Se a dicembre avessero speso, come chiedevamo, un punto di Pil per contrastare la congiuntura, forse la recessione non sarebbe stata così brusca e la disoccupazione non avrebbe già raggiunto questi livelli».

Siamo un Paese fortemente indebitato. Non teme che il deficit-spending metta a rischio la tenuta stessa dei conti pubblici?
«In tempo di crisi ci vuole chiarezza e coraggio, qualità finora mancate al governo. Altri Paesi indebitati, come il Giappone, hanno in campo risorse di gran lunga maggiori delle nostre. Dalla crisi non usciremo come siamo entrati. Una politica lungimirante deve saper guardare anche alle opportunità. L’attendismo in questo caso equivale all’inerzia».

Ammetterà che dall’opposizione è più facile indicare la lotta all’evasione fiscale come copertura dell’assegno di disoccupazione.
«La verità è che la proposta Franceschini avrebbe già la copertura per il 2009, dopo l’accordo governo-Regioni. E la seconda verità è che la riforma degli ammortizzatori è ineludibile. Presto Berlusconi sarà costretto ad avvicinarsi alla soluzione indicata dal Pd. Già Sacconi ha compiuto un primo passo».

Il ministro Brunetta ha detto che il nostro sistema di ammortizzatori, per la sua flessibilità, non è poi male.
«Il mio amico Brunetta è un fantasista. Lo conosco da quando era un brillante professore, ma stavolta il suo è un drammatico paradosso. Purtroppo aveva ragione Marco Biagi: il nostro è il peggior sistema di ammortizzatori perché tutela solo il 30% dei lavoratori, i più garantiti. La crisi può aiutarci a fare una riforma strutturale: si adotti per un anno la proposta Franceschini e intanto parti sociali e governo negozino una riforma del Welfare».

Ma la tassa sui redditi più alti non è un riflesso da vecchia sinistra?
«Mi pare che diversi governi non di sinistra abbiano già fissato un contributo di solidarietà per i percettori di redditi elevati. Dopo la sbornia liberista, che è tra le concause della crisi, forse è bene che qualche keynesiano riprenda la parola... Ma la questione non è ideologica: ci vogliono misure forti per rilanciare la crescita ma c’è bisogno anche di ritrovare uno spirito di solidarietà. Quel contributo non è la soluzione dei problemi, ma il segno di una comunità che reagisce insieme».

Sul piano casa, misura anticongiunturale proposta dal governo, il Pd però ha espresso netta contrarietà.
«Il territorio va difeso, come il ruolo dei Comuni. Guai ad attenuare il principio di legalità. Ma il rilancio dell’edilizia come volano di sviluppo resta un terreno di confronto. Tanto più se è capace di ridare linfa a migliaia di imprese artigiane presenti in tutto il Paese».

È soddisfatto di queste prime settimane di gestione Franceschini nel Pd?
«Abbiamo attraversato una fase di difficoltà che certo non si può liquidare come conseguenza di una litigiosità interna. Ora mi pare che le cose vadano meglio, per merito del segretario e anche per una capacità di reazione collettiva. Di una cosa, comunque, sono convinto oggi come quando fondammo il Pd: dal partito dei riformisti non si torna indietro».

Eppure c’è chi dice che i cattolici e la sinistra non possono convivere.
«Chi lo dice ha in mente la vecchia Dc e il vecchio Pci, un mondo che non esiste più. Oggi, senza il Pd, avrebbero una voce molto più flebile i cattolici che restano fedeli alla lezione sturziana di laicità della politica e che cercano di coniugare libertà e giustizia sociale».

Non sono proprio i temi eticamente sensibili a mettere in crisi il Pd?
«Sul testamento biologico abbiamo costruito punti di sintesi molto avanzati. Altro lavoro bisognerà fare. Un’intesa tra noi è possibile. Tuttavia, laddove restassero punti di vista diversi, non sarebbe uno scandalo dividerci. Su queste materie la libertà di coscienza non è un rifugio, ma una regola. La sola cosa inaccettabile sarebbe l’affermazione di una linea di partito, rispetto alla quale adeguarsi o dissentire».

Cosa pensa dell’ipotesi di referendum sulla legge sul testamento biologico?
«Sarebbe una pazzia».

Berlusconi critica le regole inadeguate del Parlamento. Cosa risponde un ex presidente del Senato?
«Che anche nella modernità non vedo sistemi migliori di quelli parlamentari. Certo, bisogna sempre migliorare efficienza e rapidità. Ma il danno maggiore al Parlamento non viene dalle sue regole, bensì da quella pessima legge elettorale che ha tolto ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti. Meno male che nella legge per le europee, abbiamo conservato le preferenze».
 
da ilmessaggero.it
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