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Autore Discussione: FRANCESCO RAMELLA Sindaci, le trappole della popolarità  (Letto 2435 volte)
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« inserito:: Febbraio 03, 2009, 10:39:32 am »

3/2/2009
 
Sindaci, le trappole della popolarità
 
 
FRANCESCO RAMELLA
 
I sindaci sono ancora oggi i politici più amati dagli italiani. Questo è quanto emerge da un’indagine sul gradimento degli amministratori locali pubblicata di recente dal Sole-24 Ore. Molti commentatori si sono concentrati sulle posizioni di testa e di coda della graduatoria. In realtà ciò che colpisce di più è il dato di fondo. L’elevato consenso popolare (in media il 55%) di cui godono i primi cittadini dei Comuni capoluogo. Ben 91 oltrepassano il 50%. Solo 14 si collocano al di sotto di tale soglia.

Se si pensa alle cronache degli ultimi mesi questi dati risultano però assai sorprendenti. Infatti, le inchieste della magistratura avviate in diverse città italiane (Napoli, Firenze, Pescara) hanno gettato più di un dubbio sul «mito del buon governo» associato al decentramento dei poteri. L’inchiesta del Sole-24 Ore, invece, ci ricorda che l’elezione diretta del sindaco - introdotta nel 1993 - ha esercitato una funzione positiva di «riavvicinamento» ai cittadini e di stabilizzazione dei governi locali. Nel ventennio precedente la riforma, la durata media degli esecutivi non superava i due anni e solamente l’1% di essi giungeva alla scadenza naturale del mandato. Dopo la sua introduzione, meno del 10% dei Comuni capoluogo sono entrati in crisi facendo ricorso ad elezioni anticipate.

La personalizzazione del rapporto con gli elettori, il rafforzamento delle giunte e il prolungamento della loro durata media hanno determinato un duplice effetto positivo. Da un lato hanno creato un meccanismo più trasparente di accountability democratica, ovvero una diretta imputazione di responsabilità in capo al sindaco su ciò che la sua giunta realizza (o meno) durante il quinquennio. Dall’altro hanno ridato vigore all’azione dei governi locali. Questo fatto di per sé non ha garantito il buon governo, ma ha creato alcune delle precondizioni necessarie (anche se non sufficienti). La certezza sulla durata del mandato, infatti, ha dilatato gli orizzonti temporali degli amministratori. Gli ha consentito così di affrontare le questioni urbane più complesse, che richiedono capacità decisionale e soprattutto tempi più lunghi poiché - come nel caso delle grandi infrastrutture - hanno un «rendimento politico differito».

Proprio nelle pieghe di questi processi, però, trovano origine alcuni dei «nodi venuti al pettine» con le inchieste della magistratura. I grandi progetti urbanistici - e più in generale la gestione degli appalti - espongono gli amministratori locali alle pressioni dei gruppi privati. Questo mentre si assiste ad un depotenziamento dei Consigli comunali, generato dalla stessa riforma del 1993, che riduce la qualità degli eletti e la loro capacità di monitoraggio sugli esecutivi.

Le inchieste sui reati di corruzione, infatti, lasciano intravedere due aspetti in parte collegati. Da un lato la subordinazione dell’interesse pubblico a quello privato. Dall’altro l’assenza di un efficace controllo politico sull’azione degli amministratori. In primo luogo da parte dei consiglieri comunali e dei partiti di maggioranza e opposizione. In secondo luogo da parte delle organizzazioni degli interessi e della stampa locale. Anzi dalle intercettazioni emerge spesso una trama di collusioni che travalica gli schieramenti politici e unisce trasversalmente spezzoni significativi dell’élite cittadina. L’infiacchimento del controllo politico è tanto più insidioso nei casi in cui, per lungo tempo, non si registra un’alternanza al governo. Un fatto, questo, che dopo il 1993 nelle grandi città italiane si è verificato spesso. Solamente in due delle nove città metropolitane (Bologna e Bari, a cui si è aggiunta da poco Roma), si è avuta un’alternanza politica. Nelle altre la stessa maggioranza ha governato ininterrottamente per quindici anni.

I risultati ambivalenti conseguiti da una «riforma di successo» come quella dei sindaci suggeriscono cautela per la nuova stagione di riforme istituzionali che si sta aprendo a livello nazionale. Segnalano che la stabilizzazione politica e il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, seppure essenziali, necessitano anche di checks and balances: cioè di un sistema adeguato di controlli e contrappesi politici ed istituzionali.
 
da lastampa.it
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