«L’Italia si è assuefatta alla corruzione»
di Natalia Lombardo
«Dal 1970 in poi il sistema si è degradato fino a creare una palude. E la politica ha una responsabilità fondamentale: sull’interesse generale favorisce l’interesse di parte. Il guaio è che ci siamo assuefatti, nessuno si vergogna più»: Pier Luigi Celli è uno che conosce bene i meccanismi del potere, tanto da scriverci un libro: «Comandare è fottere. Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo», edito con Mondadori.
Una lunga carriera: al momento è direttore generale dell’Università Luiss e membro dei Cda di Unipol, Illy e Messaggerie Libri. È stato direttore generale della Rai dal 1998 al 2001, prima ha svolto incarichi all’Eni e all’Enel, ha partecipato allo start-up di Omnitel e Wind, è stato presidente di Ipse 2000 e altro.
In tanti luoghi di potere ha ricevuto delle richieste dai politici, dei bigliettini di raccomandazione?
«Io non ho mai avuto bigliettini perché non ho un buon carattere. Nessuno aveva il coraggio, con i politici ho fatto delle litigate e hanno imparato.
Ci hanno provato, quindi?
«I politici? Fa parte anche del loro mestiere. Chiedono tutti anche quelli di sinistra. Magari a destra hanno una maggiore propensione, a sinistra sono più goffi».
Si riferisce a ciò che è accaduto nelle amministrazioni?
«Il problema è che è cambiato il clima: siamo diventati tutti più tolleranti, ci siamo assuefatti alla piccola corruzione. La corruzione più grande non è quella che passa attraverso i soldi, è quella delle teste. C’è una corrosione dei modelli mentali, che, dall’alto, giustificano, tollerano o persino esaltano certi comportamenti, e la gente li segue. Alcune cose una volta non si facevano perché ci si vergognava, oggi invece non ci si vergogna più di niente, non ci sono più criteri morali o valori di riferimento».
Un modello che sembra somigliare a Berlusconi, o no?
«No, è un modello generalizzato, purtroppo, che parte dall’alto. Il conflitto d’interessi non è più solo quello di Berlusconi, passa dappertutto, nessuno più si vergogna. Quando le imprese sono nel Cda delle banche, perché le banche dovrebbero negare un credito a quelle imprese? Oppure: tu sei nel Cda dei grandi giornali, è pensabile che poi il giornale ti tratti male? No».
Dopo il grande scandalo sui furbetti del quartierino è finito tutto. Anche questo fa parte dell’assuefazione?
«Ma sì, la gente ormai non si scandalizza più di niente. Al massimo esce qualche trafiletto di spalla sui giornali. Perché il Paese è tornato ad arrangiarsi».
Quando colloca nel tempo questo decadimento?
«C’è stata prima la corruzione dell’impresa pubblica, negli anni 70 e 80, poi una pausa con Tangentopoli, ma le cose sono ricominciate allo stesso modo. Quando le carriere pubbliche sono fatte per cooptazione, che vuoi fare? È come la legge elettorale».
Nel senso delle liste bloccate?
«Sì, trasmette un modello negativo. Non c’è libertà di scelta, è tutto precostituito, promuovere chi è più coerente con il modello generale comporta che la gente tenderà a farsi cooptare secondo il modello prevalente».
Perché il Paese è tornato ad arrangiarsi?
«Perché altri criteri di promozione o mobilità sociale non ci sono. Il merito? Quasi non esiste. Viene richiamato in modo retorico, ma quando devi fare carriera nel pubblico, ancor di più nel privato, interviene un criterio amicale e familistico contrario al merito. Le nostre imprese, che lavorano su mercati protetti o connessi alla politica, hanno bisogno dell’intervento politico, locale o no. È un intreccio che condiziona molto anche l’economia. A quel punto, perché non devo fare un favore a quello che poi mi aiuta? Questo è il meccanismo».
Nel suo libro «Comandare è fottere» lei ha scritto che «nascere bene aiuta». Cosa succede a chi non «nasce bene»?
«Sto cercando di insegnarlo ai miei ragazzi all’università: la vera sfida è farsi valere per quello che si è. Però ci vuole molto coraggio, soprattutto in certi contesti dove è più semplice accodarsi. Nell’ultimo capitolo sono stato duro, ma ho concluso: se volete rovinarvi la vita fate così... rischiate di esservi fottuti da soli».
Quante ne ha viste alla Rai, dove il sistema di favori è una malattia congenita?
«È un sistema compromesso, dove le mani della politica sono così pressanti che spesso l’interesse pubblico diventa un interesse di partito. Sotto il manto del servizio pubblico si fa un servizio di parte».
Ancora adesso?
«Io sono fuori da anni. Quando ero dentro ho provato a svincolarla».
La tv commerciale ha favorito questo impoverimento di valori e il sistema di corruzione legata alla politica?
«No, la tv commerciale può esser fatta anche bene. Si è allargata però la platea di chi aveva il diritto di mettere le mani. E si è complicato tutto».
I partiti premono sempre anche se stanno esplodendo?
«Sì, ma le consorterie, le corti, ci sono tutte».
Lei vede uno spiraglio in qualche ambito?
«I giovani. Vale la pena lavorarci, sono gli unici che possono fermare questo processo, se i modelli predominanti non infettano anche loro, perché il sistema immunitario è depresso. C’è un deficit crescente di valori che va colmato».
nlombardo@unita.it23 gennaio 2009
da unita.it