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Autore Discussione: GIAN ENRICO RUSCONI Preghiera politica  (Letto 2255 volte)
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« inserito:: Gennaio 10, 2009, 06:18:45 pm »

10/1/2009
 
Preghiera politica
 
 
GIAN ENRICO RUSCONI
 
Lo spettacolo dei sagrati del Duomo di Milano e di Bologna pieni di musulmani in preghiera, ma con chiaro intento politico di protesta contro gli avvenimenti di Gaza, non è un evento «normale». O meglio, la sua normalità presuppone un solido giudizio laico (di credenti e non credenti) che non è affatto ovvio nel nostro Paese. Poi l’evento è stato rapidamente archiviato sotto l’incalzare di altri avvenimenti «più normali»: dalla crisi del Comune di Napoli alle grandi nevicate al Nord. Ma è rimasto un evidente disagio, soprattutto nel mondo cattolico. Forse un piccolo trauma che attende ancora di essere elaborato.

Chi da tempo chiede che la voce della religione risuoni, senza restrizioni, nella sfera pubblica è rimasto spiazzato. Non si aspettava che lo facessero i musulmani alla loro maniera e con un’efficacia mediatica inattesa. Ora si obietta che la loro è stata una manifestazione più politica che religiosa, entrando così in un terreno minato. Sappiamo infatti tutti che il rapporto tra religione e politica è profondamente diverso nell’islam e nel cristianesimo. Ma è irragionevole pretendere che i musulmani in Italia si adeguino senz’altro alla nostra (peraltro controversa) concezione della laicità della politica.

Si obietta ancora che qui non è in gioco la politica in generale ma la violenza, il terrorismo, l’odio religioso. Ma è una pura diffamazione considerare la preghiera pubblica e islamica su sagrati delle chiese un’espressione di odio religioso. Con questo non vogliamo eludere il punto nevralgico: l’idea di inimicizia che mescola e confonde inimicizia politica, fatta di sangue e di bombe, con l’inimicizia religiosa e teologica. La protesta musulmana sui sagrati è stata pacifica anche se chiamava in causa il nemico politico. Il punto critico è che tale chiamata in causa è spesso trattata in un linguaggio e in un codice religioso che per corto circuito definisce senz’altro nemico di Dio il nemico politico. Da qui l’accorata richiesta avanzata dai cristiani a non fare la terribile identificazione tra nemico politico e nemico di Dio. Saggia e giusta raccomandazione. Ma quanti secoli di sofferenze, di orrori e di ingiustizie nella cristianità ci sono voluti per arrivare a questa saggia posizione!

Possiamo e dobbiamo limitarci ad affermare che il mondo islamico «non è ancora» approdato a questa conclusione, ma deve approdarvi? Dobbiamo quindi assumere una visione evoluzionista eurocentrica, nel senso che prima o poi tutte le religioni dovranno arrivare alla distinzione tra politica e religione quale si è istituzionalizzata in Occidente? Oppure la questione è assai più complicata e grave perché rimanda a visioni teologiche incompatibili? Non dimentichiamo il fraintendimento della frase del Papa a Ratisbona sulla violenza intrinseca dell’islam. In realtà su questa tematica la strada della comprensione tra cristianesimo e islam è ancora molto lunga. Salvo eccezioni di ristretti incontri tra specialisti, a livello di comunicazione pubblica non esiste alcun serio dialogo teologico tra cristianesimo e islam. Il fatto, enormemente positivo, che spesso in pubblico si arrivi a condannare unanimemente la violenza terroristica, o a pregare insieme, non elimina due realtà di fatto. Da un lato c’è la crescente indistinzione tra attività terroristica e radicalizzazione della violenza bellica, come dimostra quotidianamente il conflitto israelo-palestinese. D’altro lato recitare le preghiere comuni avviene in un contesto ecumenico che spesso rasenta un nuovo politeismo. Fra Allah di Maometto e il Dio di Cristo (e della Chiesa) c’è incomunicabilità quando si arriva alle tesi teologiche fondamentali. La coesistenza pacifica e la benevolenza reciproca è cosa radicalmente diversa dall’intesa teologica.

Questo è rilevante anche per la sentenza evangelica del «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Questa sentenza viene ripetuta come un’evidenza, ma il significato che oggi le attribuiamo è stata una faticosa acquisizione storica abbastanza recente. La presa della posizione del Vaticano nella tragedia di Gaza con l’invito a scegliere - in entrambi i campi - politici desiderosi di pace e di concordia, è dettata da grande saggezza politica. Ma non è la risposta esauriente alle questioni implicitamente sollevate nella preghiera pubblica dei musulmani del nostro Paese.
 
da lastampa,it
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