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Autore Discussione: L'economia cinese in tempi di crisi  (Letto 2230 volte)
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« inserito:: Gennaio 05, 2009, 02:53:21 pm »

Petrolio, commercio estero, banche

L'economia cinese in tempi di crisi


Seguendo l'esempio degli Stati Uniti, anche la Cina sta approfittando del calo del prezzo del petrolio per rimpinguare le sue riserve strategiche.

Secondo alcuni esperti gli acquisti compiuti nelle ultime settimane dal governo di Pechino hanno contribuito (insieme con le tensioni in Medio Oriente) ad arrestare la caduta delle quotazioni del greggio. Zhang Guobao, che dirige l'ente di Stato per l'energia, ha dichiarato al Quotidiano del Popolo che la Cina deve trarre beneficio dalla riduzione dei consumi energetici mondiali, per aumentare le sue riserve. Zhang ha detto che il governo "incoraggerà le compagnie petrolifere nazionali a utilizzare tutte le loro residue capacità di stoccaggio". Fonti occidentali stimano che la Repubblica Popolare ha aumentato le sue riserve strategiche di 25 milioni di barili dall'agosto 2008, il mese in cui cominciò la caduta delle quotazioni del greggio. Ciononostante, la U. S. Energy Information Administration continua a prevedere che nel corso del 2009 i consumi petroliferi mondiali diminuiranno di 85,3 milioni di barili al giorno.

Secondo un'anticipazione dell'agenzia stampa Nuova Cina, l'attivo commerciale cinese nell'intero 2008 raggiungerà 290 miliardi di dollari, su un volume totale di interscambio con l'estero pari a 2.550 miliardi di dollari (in aumento del 18% rispetto al 2007). In base a questi dati nei primi undici mesi del 2008 il commercio della Repubblica Popolare col resto del mondo è aumentato ancora a un ritmo robusto, del 20,9% rispetto allo stesso periodo del 2007, e tuttavia la velocità di incremento è stata in calo rispetto all'anno precedente. La stessa agenzia ufficiale Nuova Cina prevede che l'import-export risentirà della recessione globale nel corso del 2009. Altre fonti hanno già rivelato un calo netto dell'export made in China a novembre.

La banca svizzera Ubs è il primo istituto creditizio internazionale a disimpegnarsi dalla Cina. Ubs ha venduto 3,4 miliardi di azioni che deteneva nella filiale di Hong Kong della Bank of China, per un ricavato pari a 835 milioni di dollari. Ubs aveva acquistato la sua quota (pari all'1,3% del capitale di Bank of China-Hong Kong) nel 2005 con il vincolo a non rivenderla per tre anni. La decisione di uscire dalla Cina da parte dell'Ubs potrebbe preludere a mosse analoghe da parte di altre banche occidentali, bisognose di ridurre il loro indebitamento. La presenza degli istituti di credito europei e americani nel capitale delle banche cinesi aveva avuto un boom nel 2005 e nel 2006.

Dopo Pechino anche New Delhi si cimenta con il suo New Deal antirecessione. Il governo indiano ha annunciato un ambizioso programma per raddoppiare gli investimenti pubblici in infrastrutture nell'arco di un quinquennio. L'insieme dei progetti annunciati rappresenta un investimento complessivo pari a 500 miliardi di dollari. Tra le priorità: la modernizzazione degli aeroporti, dei porti navali, e del parco centrali elettriche. Sulla base delle esperienze passate, tuttavia, molti osservatori indiani esprimono scetticismo sulla capacità del governo di realizzare il suo piano di investimenti nei tempi stabiliti.

(5 gennaio 2009)

da repubblica.it
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