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Autore Discussione: STEFANO SEMERARO Sfare squadra  (Letto 2266 volte)
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« inserito:: Dicembre 29, 2008, 11:19:21 am »

29/12/2008
 
Sfare squadra
 
STEFANO SEMERARO
 

Oh capitano, mio capitano! E giù una sberla. Altro che poesia, senso della comunità, spirito di squadra, slancio fra simili. Al settimo minuto di West Ham-Stoke City, partita di Premier League inglese, Ricardo Fuller, attaccante giamaicano dello Stoke, ieri ha aggredito il suo capitano Andy Griffin. «Se hanno pareggiato è colpa tua», e giù una pizza. L’insostenibile leggerezza della solidarietà: una pedata sbagliata e saltano gli schemi, soprattutto quelli della convivenza. Lo Stoke la partita alla fine l’ha persa, ma Fuller negli spogliatoi c’è finito subito, espulso dall’arbitro con la colpa più grave. Non il fallo da dietro: il fallo dietro le spalle. La coltellata, il tradimento, la mano alzata con il fratello ideale.

Per il regolamento e per la morale il reprobo è Fuller, un metro e novanta di frustrazione al momento del fattaccio. Ma anche il Ricardo trasformato in Otello si è sentito tradito dall’errore del compagno, anzi, addirittura del capitano. Perché le magie dei nemici si possono anche sopportare, la fortuna avversa anche, ma l’inganno che viene da vicino, il difetto che ci sta accanto, è più duro da accettare, da metabolizzare: assomiglia troppo al nostro.

Nel campionato inglese era già successo: Newcastle-Aston Villa, maggio 2005. Dyre e Bowyer, tutti e due in maglia bianconera, avevano iniziato prima a insultarsi, poi a menarsi in campo, e anche loro avevano rimediato il cartellino rosso. Uno che aveva grossi problemi con la sua parte di panchina era Giorgione Chinaglia, dal «vaffa» in mondovisione al povero Ferruccio Valcareggi che lo sostituì durante Italia-Haiti ai Mondiali del 1974, al calcione sotto le reni assestato a San Siro a Vincenzo D'Amico, colpevole di non aver marcato a dovere Mazzola.

Ma anche Valentino Rossi e Sete Gibernau, Helenio Herrera che chiese la cessione del suo capitano Picchi perché era convinto che lo scudetto del ‘67 se lo fosse mangiato l’Armando, per incapacità. Il pugno di Mennea a Berruti a Formia, quando Pietruzzo correva per la Iveco dell’ex-collega, Totti e Cassano, gli ex-amiconi Mancini e Vieri e le mai amiche ma compagne d’azzurro Belmondo e Di Centa, fino a scendere ai veleni - reali oltre che virtuali - degli schermidori di quest’estate: Baldini positivo all’antidoping che sospetta del collega Sanzo. Perché chi è vicino sa, conosce, e la contiguità fa l’uomo falso.

Capita in corsia, in pedana, capita in ufficio. Si vive insieme, a contatto di errore, a rischio insofferenza. Ci si aspetta, ci si sopporta, si finge di metterci una pezza. Fino al giorno in cui non ci si sopporta più. E allora scatta la denuncia al capoufficio. Il «brunetticidio» del delatore contro il collega assenteista, il pizzino come assist all’avversario politico in diretta tv, il titolo carogna al giornale concorrente dello stesso colore politico. Insomma, il momento della Liberazione. Non viviamo forse, noi italiani, in balia di un bipartitismo imperfetto - imperfetto soprattutto perché a scambiarsi i colpi più bassi, le entrate più proibite, sono quasi sempre «fraterni» compagni di partito? Non solo in Italia intendiamoci: tutto il mondo - e tutto lo sport - è Paese. La sindrome Caino è lingua comune. Fuller, il rosso te lo meriti tutto. Ma ci siamo - purtroppo - capiti.
 
da lastampa.it
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