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Autore Discussione: "Marco, vieni, c'è Primo Levi al telefono...".  (Letto 2589 volte)
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« inserito:: Gennaio 18, 2009, 11:45:27 am »

SPETTACOLI & CULTURA     

"Ancora oggi, dopo 30 anni, mi commuovo pensando a quella semplicità uno scrittore famoso che chiama un ragazzo sconosciuto"

L'infaticabile laboratorio della memoria

di VERA SCHIAVAZZI


"Marco, vieni, c'è Primo Levi al telefono...".
Marco Viglino aveva diciannove anni e si stava preparando alla maturità in un liceo cattolico privato quando una sera dell'aprile 1978 arrivò, a sorpresa, la telefonata dello scrittore dalla quale è nata l'intervista inedita che Repubblica propone qui accanto. Trent'anni dopo, l'autore di quella intervista è diventato magistrato, mentre a Torino è nato il centro di studi che dovrà raccogliere e catalogare il grande lascito di appunti e lettere dello scrittore. Un lavoro affidato alla direzione dello storico Fabio Levi che procede silenziosamente, con quello stesso stile schivo e riservato che caratterizzò la vita dello scrittore e - dopo la sua morte l'11 aprile del 1987 - quella dei suoi eredi, la vedova e i figli. Ma nelle scuole di Torino e del mondo l'opera di Levi assume oggi, mentre ci si prepara alle iniziative per il Giorno della Memoria, un nuovo significato.

E' alla letteratura, infatti, ma anche al cinema, alla musica, al teatro che si affida il ricordo della Shoah, ora che i testimoni in grado di parlarne diventano sempre più rari. Il 26 gennaio a Torino Ernesto Ferrero, scrittore e direttore della Fiera del Libro, ne parlerà alla giornata di studi promossa dalla comunità ebraica, con un intervento dedicato proprio allo scrittore torinese: "Primo Levi sapeva benissimo che la memoria da sola non basta, perché la memoria a suo modo è una scrittura, anzi, una ri-scrittura continua che si allontana ogni volta dal ricordo originale. La memoria è un materiale tra i tanti, e come è spiegato magistralmente ne I sommersi e i salvati, va sottoposta a un vaglio stringente, a verifiche, controprove documentarie. Solo così, facendone oggetto di un'attività di laboratorio rigorosa e continua, può essere utilea unavera antropologia della banalità del male".

Anche per questo l'intervista inedita ritrovata da Viglino ha un valore speciale, soprattutto per chi ha avuto la fortuna di raccoglierla. "La lettura di Se questo è un uomo mi aveva sconvolto - racconta Viglino, oggi giudice al Tribunale di sorveglianza di Torino - Così, avevo dedicato a Levi la tesina che ognuno doveva preparare per l'esame finale. Ma una zia, a mia insaputa, ne fece una copia e la diede a una vicina di casa lontana parente dello scrittore. Quel compito da liceale arrivò fino a lui, gli piacque e mi telefonò. Ancora oggi, trent'anni dopo, mi commuovo pensando a quella semplicità, uno scrittore famoso che chiama un ragazzo sconosciuto".

Al telefono, Levi chiede a Viglino: "C'è qualcosa che posso fare per te? Qualcosa che ti farebbe piacere?", e l'altro non esita: "Vorrei incontrarla". "Mi invitò per il giorno dopo nella sua casa di corso Re Umberto (è l'appartamento alla Crocetta, dove Levi visse fino al giorno della morte, ndr), alle nove di sera. Mi fece accomodare sul vecchio sofà del suo studio, una piccola stanza piena di libri. Ero emozionato, febbricitante, quasi non osavo chiedergli di poter usare il registratore, ma per fortuna trovai il coraggio... Ora la sua voce - che era bellissima - è ancora lì, in una cassetta C90 da un'ora e mezza che non ho mai riascoltato dopo il lavoro fatto per scrivere l'intervista: ho paura che il nastro sia diventato fragile e possa rompersi. Passammo insieme tutta la serata, molte cose sul nastro non sono rimaste...". "Per trent'anni - conclude Viglino - quelle pagine scritte a macchina sono rimaste nel cassetto della mia scrivania di casa, non le ho mostrate quasi a nessuno perché ne ero geloso, ogni tanto andavo a rileggerle. Ma forse sono stato egoista, ed è venuto il momento di condividerle".


(18 gennaio 2009)
da repubblica.it
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