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Autore Discussione: Famiglia Cristiana denuncia: basta con le misure «una tantum»  (Letto 3108 volte)
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« inserito:: Novembre 25, 2008, 01:26:16 am »

E Famiglia Cristiana denuncia: basta con le misure «una tantum»


Stop alle «una tantum»: per restituire alle famiglie italiane «capacità di spesa» serve introdurre una «no tax area familiare», che tenga finalmente conto dei carichi familiari «in modo equo e universalistico» con il meccanismo delle deduzioni dal reddito. Lo scrive Famiglia cristiana in un editoriale firmato da Francesco Belletti, direttore del Centro internazionale Studi Famiglia, legato al settimanale paolino.

Secondo Famiglia cristiana, le misure «ventilate» dal governo in questi giorni «sembrano, purtroppo, riproporre una logica vecchia, sciaguratamente bipartisan, che non riesce a cambiare neanche di fronte a un'emergenza economica così radicale: si sente, infatti, parlare di interventi una tantum, e di sostegni solo per 'famiglie disagiate', criterio apparentemente equo e solidaristico, ma - scrive Belletti - di fatto solo di tipo riparatorio e assistenziale».

«La nostra richiesta - si legge ancora - è quella di restituire capacità di spesa a tutte le famiglie, introducendo una no tax area familiare»: il sistema «prevede che per ogni nucleo familiare sia definita un'area esente da tassazione, che sia però conteggiata per ciascun membro. Tale area può essere individuata sulla soglia di reddito individuale già oggi definita non tassabile (pari a circa 7.500 euro): ogni famiglia vedrebbe non tassata una quota di reddito conteggiata sul numero dei membri della famiglia, ponendo fine a un'iniquità fiscale che penalizza soprattutto le famiglie con più figli».

Un modello, secondo Famiglia Cristiana, «semplice», «equo», «economico» e che soprattutto «sarebbe applicabile come misura permanente, uscendo finalmente dalla logica delle una tantum».


24 Nov 2008   

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« Risposta #1 inserito:: Novembre 25, 2008, 01:27:09 am »

Natale gramo, dal piano anticrisi solo spiccioli


Soldi in tasca alle famiglie più povere? Le misure anti-crisi del governo Berlusconi, lunedì al vaglio delle parti sociali e delle imprese, sono state annunciate dal ministro del Lavoro Sacconi, con rullo di tamburi e suono di fanfare, come aiuti «consistenti» ai nuclei familiari «bisognosi», capaci di arginare la valanga distruttrice che minaccia l’economia reale del Paese. Ma fino ad ora, salvo sorprese dell’ultimo minuto, dalle notizie trapelate dal ministero del Welfare i cosiddetti aiuti più che argini o dighe sembrano fragili ripari, non all’altezza di quell’«intervento di proporzioni molto forti» chiesto nei giorni scorsi dal leader della Cgil Epifani e dai rappresentati delle piccole e medie imprese.

Per rilanciare i consumi e incitare gli italiani a spendere di più, Sacconi & Co. vorrebbero stanziare un intervento una tantum di 1-1,5 miliardi di euro per le famiglie, mentre a favore dei salari interverrebbero con una detassazione degli straordinari. In particolare, l’una tantum di Natale, ha assicurato Sacconi, dovrebbe arrivare «in contanti», non attraverso sgravi fiscali, e oscillare tra i 150 e i 700 euro. Ma chi sono i destinatari di questi «consistenti» aiuti? A guardare più da vicino misure e cifre che stanno dentro il pacchetto anti-crisi ci si accorge che, in realtà, sotto la lente di ingrandimento del Welfare è rimasto ben poco. Il bonus miracoloso, infatti, riguarderebbe le famiglie composte da sei persone, ovvero una coppia con quattro o più figli a carico, con un reddito complessivo inferiore ai 20mila euro; oppure nuclei con 3-5 persone (una coppia con 1-3 figli a carico) che non raggiungono 17mila euro; o ancora, coppie senza figli che non arrivano a 12mila euro.

Si tratta, insomma, un tetto molto basso, fuori dal quale rimarrebbero tantissime famiglie che pure rientrerebbero nel novero delle «bisognose» e che hanno comunque difficoltà ad arrivare a fine mese. Un intervento che, se non dovesse subire variazioni, secondo le stime della Cgil aiuterebbe soltanto l’1,7 per cento dei nuclei familiari. Troppo poco. Soprattutto se si considera che la sola misura in grado di ottenere un consenso unanime dei sindacati, e forse di avere un effetto più immediato sulla crisi dei consumi, e cioè la detassazione delle tredicesime, non rientrerà nel pacchetto del Welfare, nonostante le promesse fatte durante la propaganda elettorale.

Ma nell’incontro di lunedì si parlerà anche di cassa integrazione e di investimenti pubblici. E anche su questo fronte, i segnali del Berlusconi IV sembrano abbastanza deboli: si parla di un contributo di circa 600 mila euro per la messa in cassa integrazione nel 2009, estendibile ai precari solo con decisioni che verranno prese caso per caso. Per la Cgil non basta, anche perché le cifre che Epifani porterà all’incontro con Sacconi parlano chiaro: la «valanga» cadrà anche sulla testa di 400mila lavoratori a tempo determinato nel settore privato, che andranno a casa perché non saranno riconfermati, per non parlare degli oltre 200mila precari del settore pubblico. Numeri che faranno tremare il tavolo delle trattative, e le convinzioni del ministro del Lavoro, che si era detto «ottimista e convinto» sulla possibilità di un ritiro dello sciopero generale proclamato dalla Cgil per il 12 novembre.

Intanto, se la logica della crisi prevede inflazione, meno euro nelle tasche della gente e dunque meno consumi, la logica delle feste di dicembre, grandi spese tra Natale e capodanno, sembra destinata a crollare senza pietà. Non ci credono più i consumatori, non ci credono più gli esercenti. Per intuirlo, basta fare un giro per le strade di Roma e Milano: poca gente nei negozi, pochissime luci e ghirlande nelle vetrine. Per capirlo, nel dettaglio, basta leggere l’indagine di Contrubuenti.it, che fa il punto su come e quanto spenderanno gli italiani nelle grandi città durante le festività natalizie. La previsione di spesa tra alimentari, regali, viaggi, accessori per la casa, è apparentemente incoraggiante: 260 euro a persona, 10 euro in più rispetto al 2007. Ma i consumi, in realtà, subiranno un calo generalizzato di circa il 18,5% rispetto allo scorso anno. Pur acquistando meno, i consumatori spenderanno di più a causa del forte incremento dei prezzi. I più sfortunati saranno i bambini, dato che la spesa per i giocattoli subirà un calo del 14, per cento. Non andrà meglio al settore dell’abbigliamento, con un calo del 21 per cento, e a quello dei gioielli e degli accessori, con un calo superiore al 16 per cento. Per non parlare del settore svago, tempo libero e cultura, con l’acquisto del 18 per cento in meno di libri e cd, e un calo del 22 per cento dei viaggi.

Unici a reggere, i prodotti dell’hi-tech: un comparto in cui prezzi sono calati sensibilmente grazie alle continue innovazioni che rendono gli strumenti vecchi superati e obsoleti. I consumi tecnologici aumenteranno del 9,2 per cento circa. Insieme a loro, panettone, pandoro e capitone, ovvero i generi alimentari del cenone, a cui le famiglie italiane, a quanto pare, non intendono rinunciare. La tavola imbandita di Natale - secondo un'indagine del Codacons - porterà via dalle nostre tasche 20 - 30 euro in più rispetto allo scorso anno, per un cenone dal costo complessivo di 180 - 190 euro a famiglia. Ma l’impennata dei consumi alimentari è solo un’illusione, una stella nella lista delle spese natalizie che potrebbe cadere già dopo capodanno, quando a incentivare l’acquisto di pasta, pane e carne non ci saranno né l’euforia delle feste né gli aiuti «consistenti» promessi dal governo.



24 Nov 2008   
 
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