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Autore Discussione: MIGUEL GOTOR Il Paese delle carte segrete  (Letto 2829 volte)
Admin
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« inserito:: Novembre 18, 2008, 09:28:33 am »

17/11/2008
 
Il Paese delle carte segrete
 
MIGUEL GOTOR

 
Un adagio mai troppo abusato recita che la storia si fa con i documenti. Tuttavia, per quanto concerne lo studio di temi come il terrorismo e lo stragismo o di personalità come Moro, la strada per i ricercatori si trasforma spesso in un percorso a ostacoli, ricoperto da uno stratificato pulviscolo di diffidenza, ostruzionismo e opacità dei comportamenti, che rende il loro cammino ancora più arduo. Oggi si apre a Roma, alla presenza del Capo dello Stato, il convegno «Il governo della società nel XXI secolo. Ripensando Aldo Moro», promosso dall’Accademia di studi storici a lui intitolata. Tra le sezioni in cui si articoleranno i lavori, una sarà dedicata a Moro nella ricerca storiografica. A trent’anni dalla sua scomparsa, manca ancora una biografia scientificamente accurata su questa figura, rimasta come imprigionata dalle tragiche circostanze della propria morte, sospesa tra un’insidiosa volontà di rimozione e una non meno fuorviante pulsione agiografica. Ma non è possibile nascondersi che esiste soprattutto un problema documentario, legato alla disponibilità e alla qualità delle fonti.

Presso l’Archivio centrale dello Stato è conservato l’archivio personale di Moro dal 1953 al 1978. Per un motivo insondabile questi documenti non sono trattati come gli altri e, ad esempio, l’inventario cartaceo non si trova nella sala di studio ove dovrebbe essere. E si badi: si tratta di normali fonti che hanno già subito due vagli censori preventivi, nel 1983 e nel 1992, da parte di apposite commissioni preposte a verificare l’esistenza di eventuali vincoli di riservatezza o di segreto di Stato. Nonostante la famiglia Moro abbia più volte sollecitato la pubblica consultazione di queste carte, esse sono integralmente sottoposte alle procedure di riservatezza previste dalle leggi vigenti e quindi per poterle studiare bisogna inoltrare una domanda motivata al ministero dell’Interno, ove funziona una commissione consultiva. L’anomalia, però, sta nel fatto che neppure uno spillo di questi documenti è lasciato alla libera consultazione dei ricercatori senza prima compiere questo iter preventivo, diversamente da come avviene per altri uomini politici contemporanei.

Anche i documenti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, conservati nell’Archivio storico del Senato, dovrebbero essere sottoposti a una maggiore liberalità. Ad esempio, sono passati 7 anni da quando la Commissione stragi ha approvato all’unanimità la pubblicazione e la libera consultazione delle carte raccolte. Eppure, non è ancora possibile accedervi direttamente in quanto viene risposto che la loro inventariazione è tuttora in corso, nonostante l’indubbia professionalità del personale del Senato e gli ingenti finanziamenti ricevuti. Per quanto riguarda le carte relative a Moro, sono state digitalizzate e rese disponibili on-line, ma ciò ha prodotto un imprevisto effetto distorcente giacché gli studiosi non possono lavorare sugli originali, ma si devono accontentare dello schermo di un computer. È forse utile ricordare che la digitalizzazione è uno strumento prezioso ai fini conservativi di una fonte, ma non può essere utilizzato per escludere l’accesso diretto ai documenti, che resta un momento fondamentale della ricerca. Infine, nel caso della Commissione stragi, si è verificato un ampio uso della categoria di riservato, senza che però sia possibile rivolgersi, come avviene per i documenti conservati presso l'Archivio centrale dello Stato, a una commissione apposita, di solito generosa nelle concessioni. In questo modo quelle carte rischiano di rimanere non consultabili per chissà quanto tempo perché sono fuori da ogni disciplina. Sarebbe piuttosto auspicabile l’elaborazione di un regolamento condiviso tra i vari archivi storici che uniformi ed estenda le modalità già esistenti anche ai documenti delle Commissioni d’inchiesta giudicati riservati dalle autorità competenti.

In realtà, una simile situazione induce gli studiosi a nutrire aspettative immotivate e contribuisce ad alimentare la dietrologia e il qualunquismo. Inoltre, può provocare indebiti favoritismi negli accessi e inutili sensazionalismi su questioni che invece dovrebbero essere affrontate con il massimo equilibrio e serenità. Le vittime di tutto ciò sono anzitutto la corretta informazione e la buona ricerca storica. Si tratta di un’importante questione civile che non concerne solo gli storici, i quali chiedono di essere messi in condizione di svolgere il loro lavoro, ma interessa la qualità e la trasparenza della nostra democrazia.
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 18, 2008, 09:30:05 am »

18/11/2008
 
Il mio Moro non ha segreti
 
 
FRANCESCO COSSIGA
 
Su «La Stampa» di ieri, con il titolo «Il Paese delle carte segrete», lo storico Miguel Gotor ha denunciato che i documenti personali di Aldo Moro non sono ancora consultabili dagli studiosi. Gli risponde il presidente della Repubblica emerito Francesco Cossiga, mentre è in corso a Roma il convegno «Il governo della società nel XXI secolo», dedicato allo statista assassinato dalle Brigate rosse.

Caro professore,
ho letto con grande interesse, e con maggior meraviglia, non essere ancora possibile consultare e studiare nella loro integrale e autentica versione cartacea le carte dell’archivio di Aldo Moro. Lei ha ragione: la Storia si scrive con le carte, quelle scritte sulla carta, e non quelle digitalizzate (si pensi al valore e al significato del tratto della penna o delle correzioni o delle cancellazioni o del modo nel quale siano apposte le annotazioni e le interpunzioni!); e la Storia scritta senza le carte rischia di essere o «invenzione» o «romanzo» o «dietrologia». L’archivio Aldo Moro, sono certo (quando egli lasciò Palazzo Chigi, io passai a via Savoia, il suo studio privato, interi pomeriggi a discorrere con lui, da solo o con i suoi più diretti collaboratori Freato e Rana), contiene notizie preziose sulla Democrazia cristiana, per sapere che cosa precisamente fosse per lui il «compromesso storico», sulla politica estera del nostro Paese, e anche la conferma o la smentita delle rivelazioni, di origine palestinese e italiana, fatte quest’estate alla stampa sul così detto «Lodo Moro», e cioè sugli accordi di «non belligeranza» che Aldo Moro avrebbe concluso con Al Fatah, con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e con altri movimenti della resistenza palestinese, attraverso il servizio segreto militare.
Nella mia veste di senatore, farò tutto quello che posso perché da queste carte venga tolto il «segreto di fatto».
Io ho un archivio ben modesto che non è coperto da alcun segreto e da nessun segreto sarà coperto neanche dopo la mia morte, perché ho dato istruzioni in questo senso a mia figlia e a mio figlio. Le uniche carte interessanti che sono in mio possesso sono un rapporto delle autorità tedesche, ma già reso noto da un brillante giornalista italiano che non mi ha disvelato la fonte, sulla Rete Internazionale Stay Behind, e appunti sui tragici 55 giorni: incontri, visite, colloqui verbali e telefonici e altro; ma di essi non ho la libera disponibilità perché vennero redatti con un mio collaboratore d’allora, oggi importante parlamentare del partito d’opposizione: per il resto è sin d’ora a sua disposizione. Un suo studio complessivo su quei tremendi 55 giorni servirebbe anche a chiarire quale sia stata la posizione dei partiti in merito ad eventuali trattative con le Brigate Rosse, dato che coloro che erano allora nel Partito comunista italiano e quasi tutta la storiografia di sinistra negano che questo partito fosse in linea generale per la mano dura nei confronti di Autonomia e del terrorismo, e che in particolare fossero nel «caso Moro» per la così detta «linea della fermezza», e che esso di malavoglia l’abbia sostenuta per compiacere Zaccagnini, Andreotti e Cossiga.

Una sola precisazione: il problema, non limitato alle carte di Moro, riguarda soprattutto i documenti raccolti dalla Commissione stragi conservati presso l’Archivio storico del Senato. Sarebbe auspicabile concludere l’inventariazione, consentire agli studiosi l’accesso diretto ai fondi anche se digitalizzati e definire un regolamento, analogo a quello in vigore per gli archivi di Stato, che consenta di chiedere la visione delle carte legittimamente giudicate riservate dalle amministrazioni competenti. Auspico che Lei possa fare il possibile nelle sedi istituzionali appropriate per favorire un simile risultato che molto gioverebbe alla ricerca storica.

da lastampa.it
 
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