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Autore Discussione: Gianfranco FINI  (Letto 2388 volte)
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« inserito:: Novembre 08, 2008, 05:39:07 pm »

8/11/2008 (7:49) - PERSONAGGIO

Fini, lunga marcia pensando al Colle
 
Gianfranco Fini Il leader di An è ormai l'interlocutore della sinistra

FABIO MARTINI
ROMA


L’elogio di Furio Colombo, un antifascista tutto d’un pezzo, è eloquente: «Alla Camera avevo chiesto la parola per ricordare che in Parlamento esiste la tradizione di commentare brevemente i grandi eventi. Per fortuna dirigeva Gianfranco Fini che è di gran lunga il più liberal di tutti i presidenti della Camera - la Bindi non mi ha mai concesso la parola - e ho ricordato ai leghisti che il nuovo presidente degli Stati Uniti è nero e figlio di immigrati.
La Lega ha chiesto la mia punizione per averli insultati. Fini, che si è confermato il più liberal, ha chiarito che non c’era stato nessun insulto».
Da una decina d’anni a sinistra si guarda a Gianfranco Fini in modo ambivalente: piace l’aplomb dell’ex leader missino, così diverso dall’approccio «proprietario» di Berlusconi, ma la preferenza non si è mai trasfusa in vero feeling.

Da quando Fini è diventato presidente della Camera qualcosa però è cambiato: il leader di An è diventato l’interlocutore dei capi della sinistra.
La sera del 25 ottobre, appena conclusa la marcia su Roma del Pd, Walter Veltroni ha telefonato a Fini per ringraziarlo per le parole di apprezzamento, mentre oggi ad Asolo sarà Massimo D’Alema a discutere di «Federalismo e riforme istituzionali» assieme al presidente della Camera, in un convegno organizzato da ItalianiEuropei e Fare Futuro. Ma per quanto riguarda Gianfranco Fini la vera novità non è tanto il corteggiamento da parte della sinistra, certo significativo, ma semmai qualcosa di più profondo. Qualcosa che riguarda una mutazione del personaggio pubblico: all’età di 56 anni, dopo un ventennio alla guida di un partito accompagnato dal ghetto alla piena legittimazione democratica, Fini ha voluto interpretare il passaggio da un ruolo di parte ad uno di garanzia nel modo più istituzionale possibile.

Anche a costo di dover irritare il suo schieramento e il suo leader Silvio Berlusconi. Aver definito «deprecabile» il tentativo del governo di ricorrere alla fiducia sulla manovra fiscale da parte di Fini è stato soltanto l’ultimo atto di autonomia istituzionale. Dopo un rodaggio breve ma non privo di infortunii (su tutti quell’«Onorevole Di Pietro, la prego di proseguire», «ovviamente dipende da quel che dice» del 14 maggio), Fini ha messo in fila un rosario di interventi «neutri», quasi tutti in stretto contatto col Quirinale: a giugno, quando Napolitano segnala il rischio di ingorgo in Parlamento, Fini si augura che quelle indicazioni «abbiano seguito»; subito dopo stigmatizza il gestaccio di Umberto Bossi contro l’Inno di Mameli; impone al ministro dell’Interno Maroni di riferire sulla improvvisamente dichiarata «emergenza nazionale» in merito all’immigrazione; avverte il governo che la fiducia si può porre soltanto in casi eccezionali; si smarca da Berlusconi, facendo sapere che lui non si avvarrà dello scudo del lodo Alfano; impone la convocazione ad oltranza della Commissione di Vigilanza Rai.

Il nuovo Fini ha rinnovato anche le amicizie: il più vicino al capo è ora il vicepresidente dei deputati Pdl Italo Bocchino e si è molto ristretta la squadra finiana, della quale continuano a far parte soltanto Altero Matteoli, Andrea Ronchi e Adolfo Urso, mentre la new entry è Giorgia Meloni.
Sono loro che hanno sostenuto il capo anche nelle svolte simboliche più hard, quelle sulle «frasi vergognose» di Almirante, sul fascismo male assoluto, sul voto agli immigrati, sull’invito a Montecitorio agli atleti omosessuali. E ora tutti a destra come a sinistra, si chiedono: cosa vuole fare Fini da grande? Italo Bocchino dice che «Berlusconi è il leader indiscusso del Pdl, ma Fini rimane il più amato del centrodestra: lo dicono tutte le indagini demoscopiche». Come dire: per lui, nel dopo-Silvio, tutti gli scenari sono plausibili.

Quello di possibile leader del centrodestra. Ma anche qualcosa di più ambizioso. Anni fa lo storico Michael Ledeen, autore della celebre intervista sul fascismo a Renzo De Felice, disse: «Fini non è assolutamente un fascista, è un gollista». Sorride Carmelo Briguglio, uno dei parlamentari più intelligenti di An: «Fini sta pensando a fare al meglio il presidente della Camera, non è tipo da immaginare e tantomeno lavorare a collocazioni futuribili.
Ma per un personaggio come lui bisogna prendere in seria considerazione anche altre e più alte ipotesi istituzionali». Dunque, il Quirinale. Al riguardo una sola cosa è certa: Giovanni Gronchi, Giovanni Leone, Sandro Pertini, Giorgio Napolitano e Oscar Luigi Scalfaro, prima di salire sul colle più alto, avevano fatto lo stesso “mestiere” di Fini. Il presidente della Camera.


da lastampa.it
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