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Autore Discussione: FRANCESCO COSSIGA.  (Letto 4207 volte)
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« inserito:: Settembre 26, 2008, 06:36:04 pm »

Cossiga top secret

di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi


Le operazioni coperte dell'intelligence. E l'intervento Usa per uscire dallo scandalo Eni-Petromin. Tra summit e un dossier segreto. In edicola da venerdì
Punto primo: le operazioni coperte della Cia e il rischio che ci siano fughe di notizie. Punto secondo: l'aiuto americano al governo italiano per uscire dalla bufera dello scandalo Eni-Petromin. Due argomenti sorprendenti che segnano solo l'inizio di un summit chiave per la storia d'Italia. E aprono uno spiraglio sul mistero della grande tangente petrolifera che alla fine degli anni Settanta rischiò di far saltare i fragili equilibri politici nati all'indomani della morte di Aldo Moro. 'L'espresso' è riuscito a ottenere copia di alcuni files provenienti dagli archivi del Dipartimento di Stato di Washington, protetti finora dal segreto. Si tratta del carteggio sul vertice tenuto il 24 gennaio 1980 tra l'allora premier Francesco Cossiga e il numero uno della diplomazia statunitense Cyrus Vance.

Siamo in un momento critico: la rivoluzione islamica a Teheran ha aperto la crisi degli ostaggi, i sovietici hanno invaso l'Afghanistan, Nato e Patto di Varsavia sono ai ferri corti sui missili nucleari in Europa. La posizione italiana è determinante, scrivono gli americani, e soprattutto il ruolo che può giocare Cossiga, che guida però una coalizione molto fragile. "Nonostante una larga maggioranza politica, uno scandalo di tangenti petrolifere ha aperto una battaglia nella leadership del Psi", scrive l'ambasciatore a Roma Richard Gardner nel dicembre 1979. Gardner teme che il Pci intenda sfruttare la maximazzetta per logorare il governo "con una serie di sconfitte umilianti in Parlamento che possono portare la situazione fuori controllo".

È una vicenda ormai leggendaria. L'Eni firma un contratto con l'ente saudita per circa 100 milioni di barili di greggio. Ma questa intesa fa piovere anche bustarelle: decine di miliardi di lire, che si ritiene furono divise tra i partiti della maggioranza e i referenti arabi. Agli occhi degli Usa la questione è doppiamente destabilizzante. Oltre al danno politico, c'è un problema concreto. Riferisce sempre l'ambasciatore: "Sulla scia dello scandalo dei pagamenti illeciti che sarebbero andati ai politici italiani, i sauditi la scorsa settimana hanno cancellato il contratto che doveva coprire quasi il 5 per cento del fabbisogno energetico italiano. Il governo di Roma ci potrebbe chiedere di usare la nostra influenza su Ryad per ripristinare le forniture e potrebbe legarlo al sostegno sull'Iran". Lo scenario è chiaro: esiste il rischio che la bufera permetta al Pci di creare un governo di solidarietà nazionale. E Gardner ricorda la linea decisa alla vigilia dell'intesa raggiunta da Moro con Enrico Berlinguer, nelle settimane precedenti il sequestro: "Noi non attenuiamo la posizione del 12 gennaio 1978 che ci oppone all'ingresso dei comunisti nell'esecutivo di un paese della Nato".

Con queste premesse si arriva alla visita di Cossiga negli Usa. E al vertice con Vance riportato nel dossier finora segreto. Un incontro che si apre discutendo di spionaggio. "Il segretario di Stato ha detto che diverse leggi hanno limitato le operazioni di intelligence e le attività coperte. Stiamo rivedendo tutte le regole per prendere atto delle nostre necessità e il presidente Carter mi ha detto l'altra notte che le porterà al Congresso. Uno dei problemi è che l'attuale procedura... rende le fughe di notizie molto più probabili. Ma in molti anni abbiamo avuto un'unica fuga di notizie, quindi questo rischio potrebbe essere esagerato". A cosa si riferiscono? Una discussione accademica con un appassionato di 007 come Cossiga? O c'è il timore che possano trapelare informazioni su un'azione coperta che riguarda l'Italia? L'ipotesi Gladio, operazione decisa e gestita in ambito Nato e non americano, sembra da escludere. E diventa ovvio pensare a qualche vicenda legata alla lotta al terrorismo, italiano e internazionale.

Ma il premier democristiano cambia argomento. "Cossiga ringrazia Vance per l'intervento sui sauditi. La situazione era molto complicata e delicata. Un serio problema interno sia per l'Italia, sia per i sauditi. Gli italiani sono stati molto attenti nel trattarlo per non indebolire il governo saudita e far nascere sospetti su di loro in altre nazioni. Cossiga dice di non avere risposto né alle domande del Parlamento, né a quelle della magistratura non per proteggere gli italiani ma per prevenire speculazioni sui sauditi".

E il presidente del Consiglio pone sul tavolo un episodio appena accaduto: la rivolta islamica alla Mecca con il tentativo di abbattere la dinastia di Ryad (vedi scheda)  . "Ci siamo preoccupati per le informazioni con cui alcuni paesi volevano danneggiare i sauditi. Prima dell'attacco alla Mecca, le radio di molti paesi arabi hanno criticato il governo saudita per il contratto petrolifero italiano".Cossiga quindi chiede il massimo sostegno non solo per aiutare l'Italia ma anche per evitare guai ai sauditi da potenze esterne. E Vance replica: "Abbiamo parlato con Yamani (il ministro saudita del petrolio): se il problema potrà essere eliminato, loro sono pronti a firmare un nuovo contratto".

Dalle parole degli americani, la tangente sembra più un affare italiano che saudita. Anche l'ambasciatore Gardner insiste: "I sauditi vogliono che prima venga messo a tacere lo scandalo, poi riprenderanno i rapporti con l'Italia". Cossiga riferisce di poter chiudere la questione "entro un mese". Promessa mantenuta: Eni-Petromin è rimasto un mistero.

Il summit prosegue con argomenti strategici. Dalle forniture nucleari italiane ai paesi arabi ai rapporti con la Libia. Ma a un certo punto Cossiga sottopone una questione che "sta a cuore al suo collegio elettorale: il Pecchorino", come recita testualmente il documento. Sì, il pecorino sardo: "Quello esportato negli Usa è sottoposto a un dazio del 9 per cento, mentre il formaggio bulgaro e romeno pagano di meno. Che deve fare l'Italia: aderire al patto di Varsavia per ottenere un trattamento migliore sul formaggio?". E poi tornano a discutere di trame planetarie.

(25 settembre 2008)

da espresso.repubblica.it
« Ultima modifica: Ottobre 08, 2008, 08:44:48 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 08, 2008, 08:42:44 am »

8/10/2008
 
Io davo soltanto buoni consigli
 
 
 
FRANCESCO COSSIGA
 
Caro direttore,
ho letto con grande attenzione, come qualsiasi cosa che pubblica il suo giornale, l’articolo di fondo di Michele Ainis dal titolo: «Chi scalpella il Quirinale».

Sia per i miei studi che per aver avuto una certa esperienza pratica delle nostre istituzioni repubblicane, penso di potere fare una chiosa a quanto scritto nel quotidiano da lei diretto, che mi è caro perché pubblicato nell’Antica Capitale del nostro regno: il Regno di Sardegna, cui sia lei che io apparteniamo anche se per non antiche annessioni per via diplomatica, ma pur sempre importanti dato che la Sardegna, Genova e il Genovesato, oltre che il Principato del Piemonte e il Ducato d’Aosta erano ben più grandi dello Stato originale, e cioè il Ducato di Savoia, che esse fecero regno. Dopo questa forse inutile digressione teorica, veniamo al dunque.

Passato il sessantennale dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica e terminate le celebrazioni, necessariamente encomiastiche, posso finalmente dire, augurandomi che in riferimento a detta Costituzione non sia stata adattata per il XX e il XXI secolo la dura condanna risorgimentale: «Ha parlato male di Garibaldi!», tramutata in: «Ha parlato male della Costituzione!». Anch’io, ahimè! Per quella patriottica bugia che ha dovere di dire chi come me abbia ricoperto quasi tutte le cariche dello Stato repubblicano, ho proclamato alto, non credendoci: «La Costituzione italiana del 1948 è la migliore costituzione del dopoguerra e forse di sempre!».

Non mi sento invero di sottoscrivere quanto anni fa detto da uno dei più illustri costituzionalisti inglesi: essere quella italiana la peggiore delle costituzioni adottate dopo il secondo conflitto mondiale dagli Stati europei occidentali e, dopo la scomparsa della Cortina di ferro, anche dell’Est europeo. E ciò anche se ricordo che partecipando da giovanissimo a un congresso internazionale di diritto pubblico e trovandomi insieme ad Antonino La Pergola accanto al grande giurista boemo-tedesco Hans Kelsen, quando un incauto professore definì l’Italia patria del diritto, lo sentii esclamare: «Delle leggi forse, malfatte e peggio applicate da giudici e governanti, ma patria del diritto: Roma sì, ma l’Italia giammai». E quando il professor Antonio Segni e il mio maestro Giuseppe Guarino mi mandarono dal sommo giurista e maestro di morale e di vita Giuseppe Capograssi, egli tentò inutilmente di dissuadermi dal coltivare il diritto costituzionale, affermando che in Italia un diritto costituzionale non sarebbe mai potuto esistere e meno che meno una scienza del diritto costituzionale, poiché nel nostro Paese l’unico criterio interpretativo del diritto costituzionale - e la scienza del diritto costituzionale è in fondo la scienza della interpretazione di esso e della sistemazione delle varie ipotesi interpretative - sarebbe potuto essere soltanto uno: avere la maggioranza nel Parlamento e nel Paese o non averla!

Ciò premesso, ho letto l’interessante articolo sull’erosione tentata dall’attuale maggioranza dei poteri del Presidente della Repubblica, articolo colto invero ma che, a parte i riferimenti politici, riguarda il presidente di un’altra repubblica, non di quella italiana.

Il costituente italiano, respinta ogni ipotesi di repubblica presidenziale o semipresidenziale, ancorché sostenuta nell’assemblea da giuristi quali Calamandrei e Tosato, ma duramente avversata dai comunisti che volevano un tipo di regime ciellenistico - e in parte lo ottennero: e così il presidente del Consiglio italiano, unico caso credo al mondo, può nominare i ministri ma non revocarli! -, adattò alla nuova forma di Stato, quella repubblicana, il modello di Capo dello Stato adottato dallo Statuto Albertino tuttavia, mantenendo nei termini la configurazione che fu sostanziale per un brevissimo tempo, quella di un capo dello Stato che era anche capo dell’esecutivo, fu in breve tempo solo formale, divenendo capo dell’esecutivo il solo presidente del Consiglio dal momento nel quale, credo si trattasse del cattolico liberale Cesare Balbo, egli si dimise per essere stato sfiduciato dalla Camera dei deputati subalpina.

Introducendo così nell’ordinamento statutario, prima per prassi e poi per consuetudine - innovativa o interpretativa lasciamola stabilire ai giuristi! - il principio della responsabilità parlamentare in sostituzione di quello della responsabilità verso il Capo dello Stato e trasformando il regime del Regno di Sardegna da regime «costituzionale puro», come fu poi quello del Regno di Prussia e del II Reich germanico, in un regime parlamentare quale era già quello del Regno Unito, del Regno dei Belgi, del Regno del Württemberg e così via.

E così il costituente, pur volendo chiaramente adottare il regime parlamentare, usò la terminologia dello Statuto Albertino nella sua originaria applicazione di istituente un regime costituzionale puro, o come si direbbe oggi con terminologia «repubblicana»: presidenziale o anche semipresidenziale. E così la Costituzione imputa al Presidente della Repubblica poteri di nomina e altro con l’uso del termine «decreta» e simili. In realtà l’interpretazione dei poteri del Presidente della Repubblica varia secondo i rapporti di forza politici: l’opposizione o anche la maggioranza di sinistra è sempre a favore di un’espansione dei poteri del Capo dello Stato per limitare i poteri del governo.

Quando io, per sfortuna del Paese e mia, ero al Quirinale, l’opposizione di sinistra, che mi era non solo avversa ma nemica!, e la stessa maggioranza di governo che aveva come asse portante la Democrazia Cristiana, partito cui io appartenevo, ma cui divenni rapidamente inviso, erano per l’interpretazione la più restrittiva possibile dei poteri del Capo dello Stato. Faccio degli esempi: i nomi dei comandanti generali dell’arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza o di quelli dei capi di Stato maggiore della Difesa o di forza armata non erano oggetto di una preventiva concertazione o tanto meno dell’ottenimento di un consenso, ma mi erano semplicemente comunicati, quasi sempre oralmente e per telefono, prima dell’inizio del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto nominarli o al massimo la sera prima. Il mio consigliere per gli affari interni, e soltanto perché era un prefetto e solo dopo un’accanita controversia, ottenne che io apprendessi i nomi dei prefetti che dovevano essere destinati alle sedi più importanti non dal comunicato del Consiglio dei ministri, ma da una nota scritta, ma per lo più verbale, indirizzatami poco prima dell’inizio della seduta.

Quando io volli inviare alle Camere un messaggio, il presidente del Consiglio rifiutò di controfirmarlo. E io non mi sono mai neanche lontanamente immaginato di poter concedere una grazia o di poter sciogliere il Parlamento senza la previa proposta del governo! E così mai io nominai un senatore a vita o un giudice costituzionale senza il previo consenso del governo. Mai alcuno pensò che il Presidente della Repubblica potesse giudicare dei presupposti di necessità e urgenza dei decreti-legge e che egli potesse rifiutarne l’emanazione. Quando il governo nominò una commissione ad altissimo livello scientifico, presieduta da Livio Paladin, per chiarire chi in situazioni di emergenza avesse il comando politico effettivo delle forze armate e che portata avesse la disposizione costituzionale che ne attribuiva il comando al Presidente della Repubblica, la commissione concluse i lavori con una dotta relazione nella quale si affermava che il comando attribuito al Capo dello Stato consisteva nel... non avere alcun potere di comando!

Non riesco a capire quindi in che cosa consista: «scalpellare il Quirinale», salvo che si tratti di scalpellare il granito che orna alcune parti del palazzo da macchie di umido o di cacca di uccelli. Certo con Oscar Luigi Scalfaro e poi con Carlo Azeglio Ciampi si ebbe una forte sterzata in senso, per così dire, almeno semipresidenzialista. Sempre però io ho ritenuto, con il grande costituzionalista inglese Walter Bagehot, che le prerogative del Capo dello Stato siano esclusivamente quelle di essere informato su tutto dal governo, dare a questo dei consigli in via riservata e sempre in via riservata metterlo in guardia da iniziative o comportamenti inopportuni; e che dell’esercizio di esse un Capo dello Stato si dovrebbe accontentare.
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 05, 2008, 08:07:20 am »

5/11/2008
 
Nostalgie prussiane
 
 
FRANCESCO COSSIGA
 

Caro direttore,
molto mi ha stupito il duro commento alle posizioni assunte e alle parole pronunziate con grande generosità dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e alla sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto dei familiari a essere indennizzati dal governo della Repubblica Federale Tedesca per una strage compiuta da militari delle Forze Armate Germaniche, non so se da Allgemeine SS, o Waffen SS o da reparti della Wehrmacht, dato che sempre di Forze Armate hitleriane si tratta. Mi meraviglia perché la Germania Federale ha sempre accettato di essere, sul piano del diritto internazionale, l’erede del Terzo Reich: e ultimamente ha celebrato solennemente il noto scrittore Günter Grass, premio Nobel ma pur sempre volontario nelle Waffen SS dichiarate dal Tribunale Internazionale di Norimberga «organizzazione criminale».

Non comprendo poi la critica alle parole di Giorgio Napolitano, che pur ricordando con espressioni generose il valore dei giovani italiani caduti a El Alamein, ha condannato la guerra nazi-fascista contro le potenze occidentali e contro l’Urss. Che Napolitano sia stato e sia comunista non c’entra nulla. La mia famiglia non era comunista, era cattolica e antifascista: e ricordo che quel giorno pregò per i giovani britannici, australiani, neozelandesi, italiani e germanici caduti, ma anche salutò la battaglia di El Alamein - a questo il fascismo ci aveva portato! - come una sconfitta delle forze dell’Asse e un passo verso la vittoria contro il nazifascismo. Per quanto riguarda essere stato ed essere Napolitano un comunista, vorrei ricordare che i comunisti, dopo un lungo percorso, hanno vinto nel nostro Paese con la libertà e nella libertà e che oggi, anche se con diverso nome, costituiscono l’ossatura dell’opposizione, come fino alle ultime elezioni, della maggioranza parlamentare e di governo, e di cui certo fanno parte anche una pattuglia di ex-democristiani, di quel partito che, a differenza dei comunisti, è scomparso definitivamente dalla scena politica nazionale. E mi meraviglia assai che queste posizioni assuma un giornale che ha avuto sempre fama di liberale: ma forse, gratta gratta, dietro ogni tedesco c’è sempre un nostalgico nazista o almeno un «prussiano di ferro», che guarda sempre con ammirazione alla gloriosa Wehrmacht del Terzo Reich, alle gloriose Allegemeine SS e Waffen SS e considera grandi battaglie vinte i massacri di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema!

 
da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 09, 2008, 12:28:10 am »

Scuola, Cossiga evoca il morto e attacca l'Unità


Cossiga torna a colpire. E questa volta se la prende anche con L’Unità. Che abbiamo fatto di male? Sosteniamo la protesta degli studenti. Gravissima colpa per uno che consiglia alla polizia di fermare l’onda, prima infiltrando degli agenti, e poi facendoci scappare il morto. È il succo della lettera aperta che l’ex presidente della Repubblica ha inviato al Capo della polizia Antonio Manganelli. Un lungo testo in cui il picconatore dispensa consigli su come placare la rabbia degli studenti. La sua teoria, in sostanza, è questa: lasciateli fare casino, fateci scappare il morto, magari un bambino. Così poi anche i negozianti puniti dai cortei, anche la gente comune, inizierà ad avere paura. «E con la paura – scrive Cossiga – l'odio verso di essi e i loro mandanti o chi da qualche loft o da qualche redazione, ad esempio quella de L'Unità, che li sorregge».

Il piano che Cossiga ha in mente è preciso e dettagliato. L'ideale, spiega, sarebbe che «qualche commerciante, qualche proprietario di automobili, e anche qualche passante, meglio se donna, vecchio o bambino» fossero feriti o «danneggiate, se fosse possibile, la sede dell'arcivescovo di Milano, qualche sede della Caritas o di Pax Christi».

Finora, infatti, secondo la teoria di Cossiga ha sbagliato a reagire: «Gli studenti più grandi, anche se in qualche caso facendosi scudo con i bambini – spiega – hanno cominciato a sfidare le forze di polizia, a lanciare bombe carta e bottiglie contro di esse e a tentare occupazioni di infrastrutture pubbliche, e ovviamente, ma non saggiamente, le forze di polizia hanno reagito con cariche d'alleggerimento, usando anche gli sfollagente e ferendo qualche manifestante. È stato, mi creda un grande errore strategico. Io ritengo che, data anche la posizione dell'opposizione queste manifestazioni aumenteranno nel numero, in gravità e nel consenso dell'opposizione».

Secondo Cossiga «un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti. A mio avviso, dato che un lancio di bottiglie contro le forze di polizia, insulti rivolti a poliziotti e carabinieri, a loro madri, figlie e sorelle, l'occupazione di stazioni ferroviarie, qualche automobile bruciata non è cosa poi tanto grave, il mio consiglio è che in attesa di tempi peggiori, che certamente verranno, Lei – consiglia a Manganelli – disponga che al minimo cenno di violenze di questo tipo, le forze di polizia si ritirino, in modo che qualche commerciante, qualche proprietario di automobili, e anche qualche passante, meglio se donna, vecchio o bambino, siano danneggiati, se fosse possibile la sede dell'arcivescovo di Milano, qualche sede della Caritas o di Pax Christi, da queste manifestazioni,e cresca nella gente comune la paura dei manifestanti e con la paura l'odio verso di essi e i loro mandanti o chi da qualche loft o da qualche redazione, ad esempio quella de L'Unità, li sorregge».

Poi la provocazione: «L'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio come ho già detto un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita». A quel punto «io aspetterei ancora un po’ - dice - adottando straordinarie misure di protezione nei confronti delle sedi di organizzazioni di sinistra. E solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti, ma senza arrestare nessuno».

Infine, Cossiga ha già anche a chi dare la colpa: «Il comunicato del Viminale dovrebbe dire che si è intervenuto contro manifestazioni violente del Blocco Studentesco, di Casa Pound e di altri manifestanti di estrema destra, compresi gruppi di naziskin che manifestavano al grido di “Hitler! Hitler”».
E il gioco è fatto. Come nel ’77.

Pubblicato il: 08.11.08
Modificato il: 08.11.08 alle ore 21.28   
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