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Autore Discussione: «La religione? E' un prodotto del nostro cervello»  (Letto 2615 volte)
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« inserito:: Ottobre 24, 2008, 10:29:44 am »

«La religione? E' un prodotto del nostro cervello»

Nature: per i nostri antenati era vantaggiosa

 
ROMA (23 ottobre) - La religione è un "prodotto" dell'evoluzione del nostro cervello: l'idea stessa e l'immagine di Dio, insieme ai comportamenti tipici del credente (come i riti), troverebbero fondamento nel modo in cui il nostro cervello è predisposto per funzionare. Ad esporre questa tesi, corroborata da una serie di studi di varia natura, è Pascal Boyer, del dipartimento di Psicologia e antropologia della Washington University presso St. Louis, in un articolo sulla rivista Nature in cui spiega molti tratti cognitivi che predispongono l'uomo alla fede religiosa.

Ad esempio, tendiamo ad antropomorfizzare la figura di Dio e non abbiamo problemi a ideare e "costruire" l'immagine di un'entità non fisica perché sin da piccoli siamo abituati ad avere una ricchissima immaginazione che partorisce amici fittizi. Anche i rituali religiosi sarebbero comportamenti di default nel nostro cervello, comportamenti stereotipati e ripetitivi (come quelli tipici dei disturbi ossessivo-compulsivi) che i credenti credono di dover fare in rispetto del loro credo, anche se non ne traggono alcun reale effetto.

Un'altra caratteristica del cervello umano che può spiegare alcuni aspetti della religione, secondo Boyer, è la tendenza a socializzare, a stringere coalizioni che vanno al di là dei rapporti di parentela: questa inclinazione alla vita di gruppo crea le comunità religiose che si dettano regole proprie di ciascun credo. Non scopriremo il "circuito del pensiero religioso" o i "geni della fede", ma «la religione è un prodotto della nostra evoluzione - spiega Boyer - Un giorno troveremo le prove per dimostrare che la nostra innata propensione al pensiero religioso deriva dal fatto che i nostri antenati traevano da esso un vantaggio selettivo. I pensieri religiosi sembrano essere una proprietà emergente delle nostre capacità cognitive standard».


da ilmessaggero.it
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