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Autore Discussione: ANNA POLITKOVSKAIA (GIORNALISTA uccisa in Russia).  (Letto 4584 volte)
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« inserito:: Ottobre 06, 2007, 12:07:04 am »

La lezione di Anna

Walter Veltroni


Nella prefazione all’edizione italiana di uno dei libri di Anna Politkovskaja, Adriano Sofri racconta un suo immaginario funerale, all’indomani di quel tragico 7 ottobre di un anno fa. Fin dalle prime ore del mattino, nonostante la pioggia battente, una folla innumerevole si raccoglie sul luogo della cerimonia. Un milione di persone almeno. Le strade di Mosca chiuse al traffico e prima dell’alba già piene di fiori, soprattutto rose, e di candele accese. Le autorità russe, nonostante il timore di contestazioni, presenti al completo. Ad assistere anche Kofi Annan, alla scadenza del suo mandato all’Onu, e una delegazione delle Madri di Beslan, affiancate in una tribuna speciale dalle Madri cecene e dall’associazione delle Madri dei soldati russi. Un silenzio commosso, rotto soltanto dalla musica dell’orchestra da camera di Mosca, dalle note di Šostakovic e di Rossini.

Questo il racconto di quel giorno. Un racconto immaginato, inventato, pensando a ciò che sarebbe dovuto essere, a quel che sarebbe stato giusto.
Ma il mondo va spesso alla rovescia, e ai funerali di Anna Politkovskaja non c’erano né capi di Stato, né premi Nobel, né picchetti d’onore. Di madri di Beslan, cecene e dei soldati russi sì, probabilmente ce n’erano. Di sicuro col pensiero e col cuore erano in tante, strette alle duemila persone raccolte a rendere omaggio a una persona che avevano sempre sentito vicina, alla quale volevano bene.
Anna Politkovskaja è stata una donna coraggiosa e soprattutto, ed era questa la cosa a cui più teneva, una giornalista. Una vera giornalista, libera e autorevole.
Del suo modo di esserlo, del suo modo di scrivere, diceva che non amava i commenti, perché le ricordavano le opinioni imposte nella sua infanzia sovietica, e perché pensava che i lettori sapessero interpretare quel che leggevano, senza aver bisogno che qualcuno lo spiegasse loro. Si riteneva una persona che descriveva quel che succedeva a chi non poteva vederlo. «Io vivo la mia vita», disse una volta, «e scrivo di ciò che vedo».

Era un particolare tipo di giornalista. Quelli che sentiva essere i suoi doveri di cronista, li rispettava con una precisione delle informazioni e una cura dei resoconti davvero uniche. Ma andare a vedere e scrivere diventavano tutt’uno, per lei, con lo stare dalla parte delle vittime, dei più deboli, degli oppressi e degli sfruttati, e per quel che poteva, con il portar loro un concreto sostegno. Era una testimone straordinaria perché partecipe, non spettatrice.

A Groznyj, sotto i bombardamenti, a portare aiuti umanitari ai civili e a fare in modo che gli anziani riuscissero a lasciare la città. Con gli ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca, a tentare inutilmente una mediazione prima che tutto finisse in una carneficina. A raccogliere il dolore e le parole dei familiari della tragedia di Beslan, dove non era riuscita ad arrivare in tempo, perché come è noto lungo il viaggio era stata vittima di un avvelenamento. A opporsi quotidianamente alla corruzione e all’arbitrio, a richiamare l’attenzione del mondo sui diritti negati nella Russia di oggi.

A denunciare le sparizioni, i trattamenti inumani e le torture perpetrate nelle prigioni segrete cecene dagli uomini di Kadyrov: gli ultimi appunti lasciati sulla sua scrivania, l’aveva annunciato lei stessa nel corso di una trasmissione a Radio Svoboda, due giorni prima di essere uccisa, servivano proprio a questo. Per un articolo su una vergogna per fermare la quale era pronta a testimoniare anche in tribunale. Erano appunti presi non solo per l’oggi, diceva. Dovevano servire per il futuro, e per questo erano così minuziosi, ricchi di particolari, di tutti i particolari possibili. Per lasciare traccia della vita delle vittime innocenti.

Così aveva fatto per anni, raccogliendo informazioni e divulgando notizie che di tanto in tanto, grazie alla sua ostinazione, riuscivano a squarciare il silenzio, a denunciare le violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito del suo paese ai danni del popolo ceceno, martoriato da una guerra ignorata, prima ancora che dimenticata. Anche grazie a lei nessuno potrà dire, un giorno, di non aver saputo. Anche grazie a lei è ancora viva la possibilità, se ce ne sarà la volontà politica, di fare qualcosa per la Cecenia.

Per la Cecenia e più in generale per rompere la regola che facciamo così fatica a cambiare: quella per cui in alcuni casi i diritti umani sembrano - per fortuna - poter essere davvero inviolabili, mentre in altri casi sono violabili, violabilissimi. La democrazia e la libertà vanno difese e affermate ovunque. In Iran come in Cina, in Colombia come a Cuba, in Iraq e nella Birmania di Aung San Suu Kyi e dei monaci che manifestano contro il regime militare. Quando in gioco sono i diritti fondamentali degli uomini e la loro libertà, non possono esserci differenze, non può esserci alcuna incertezza o reticenza, né pesi e misure diverse a seconda dei casi, dei paesi e dei governi coinvolti.

Era questa la stella polare che Anna Politkovskaja seguiva nel suo lavoro, nella sua vita. Una vita appassionata ma certo faticosa. Sapeva quali erano i rischi. Aveva messo in conto quel che sarebbe accaduto. «La mia vita è difficile, certo, ma è soprattutto umiliante», disse una volta. «Non ho più l’età per scontrarmi con l’ostilità e avere il marchio di reietta stampato sulla fronte. Non parlerò delle altre ’gioie’ del mio lavoro - l’avvelenamento, gli arresti, le minacce di morte telefoniche e on-line, le convocazioni settimanali nell’ufficio del procuratore generale per firmare delle dichiarazioni su quasi tutti i miei articoli. Vivere così è orribile. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo, ricevere ogni giorno in redazione persone che non sanno dove altro andare».

Lo stesso spirito, la stessa tenacia, con cui un’altra volta aveva risposto, a chi le domandava se non avesse paura: «Quando scegli la tua strada la vivi, anche perché c’è molta gente che conta su di te».
Quella strada si è interrotta un giorno di ottobre, un sabato pomeriggio, mentre rientrava nel suo appartamento al settimo piano di un palazzo di Mosca, con in mano due buste della spesa. E vengono in mente le stesse buste, la stessa semplice grandezza, di quel ragazzo senza nome, animato solo dal suo coraggio e dalla sua voglia di libertà, di fronte ai carri armati su Piazza Tien An Men. Appena entrata nell’ascensore, Anna Politikovkaja viene raggiunta dal suo sicario, sicuro di sé, convinto della sua impunità, tanto da presentarsi a volto scoperto, da non preoccuparsi di lasciare tracce e delle telecamere dell’edificio che lo riprendono, da allontanarsi con tutta calma dopo aver assolto al compito affidatogli.

Un delitto annunciato, cosa che ha reso, se possibile, ancora più forte il dolore, perché l’ha unito alla rabbia, ad un terribile senso impotenza.
Ma ha ragione il direttore di Internazionale, il giornale che qualche mese fa ci ha proposto di intitolare ad Anna Politkovskaja una via di Roma e che qui in Italia non ha mai smesso di parlare di lei, di farla parlare attraverso i suoi articoli: quando uccidono una giornalista è per farla tacere.

E allora, la risposta migliore che abbiamo è quella di continuare a darle voce. Per questo oggi siamo qui con la figlia Vera, idealmente con il figlio Ilja, e con Zoja Eroshok, giornalista della Novaja Gazeta, il suo giornale.
Siamo qui per legare indissolubilmente il nome di Anna Politkovskaja alla nostra città. È quello che possiamo fare. È quello che sentiamo di fare dal profondo del cuore e con la più grande convinzione. Non dimenticare. Non dimenticare le cause per cui si batteva. Non dimenticare lei, la sua passione civile, il suo amore per la verità e per la libertà. Lasciare per sempre un segno, perché chiunque passi di qui sappia chi era, e per che cosa ha speso la sua vita, Anna Politkovskaja.

Pubblicato il: 05.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 8.43   
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« Ultima modifica: Ottobre 14, 2008, 12:21:13 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 07, 2007, 11:52:19 am »

7/10/2007 (8:3)

Politkovskaya, un anno fa l'assassinio
 
La giornalista russa fu uccisa da quattro colpi di pistola nel portone del palazzo dove abitava


MOSCA
È trascorso un anno esatto dall’assassinio a Mosca di Anna Politkovskaya, la giornalista russa che con articoli e testimonianze di guerra aveva criticato con severità la politica del Cremlino in Cecenia.

In coincidenza con l’anniversario - riferisce l’agenzia di stampa Ria Novosti - nella capitale russa attivisti impegnati nella difesa dei diritti umani, giornalisti e militanti di opposizione hanno organizzato diverse manifestazioni. Politkovskaya fu uccisa da quattro colpi di pistola nel portone del palazzo dove abitava, in pieno centro, il pomeriggio del 7 ottobre 2006.

In relazione al delitto, l’inchiesta condotta dalla magistratura russa ha portato all’arresto di oltre dieci persone. A finire sotto accusa sono stati anche alcuni ex funzionari dei servizi di sicurezza e il leader ceceno di un’organizzazione criminale attiva a Mosca. Nell’agosto scorso, il procuratore generale Yuri Chaika ha sostenuto che il mandante dell’assassinio si trova all’estero.

Seppur ancora parziali le conclusioni dell’inchiesta non hanno convinto alcune ong, che hanno denunciato la mancanza di volontà politica nell’individuare e punire i responsabili dell’assassinio. Più in generale, a esprimere preoccupazione per il rispetto della libertà di stampa in Russia sono stati diversi governi e leader politici occidentali.

Ieri la polizia russa ha fermato per alcune ore cinque attivisti stranieri, in viaggio verso la città di Nizhny Novgorod per partecipare a una conferenza dedicata a Politkovskaya.


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7/10/2007 (9:1)
Avevo trovato il paradiso in un bistrot
 
Inedito: l’ultimo viaggio a Parigi della giornalista russa assassinata

ANNA POLITKOVSKAJA


Parigi, dunque. Fine maggio. Castagni in fiore. Cinque giorni per me. Tutti per me. La ragione per cui sono qui è l’uscita di un volume che raccoglie i miei reportage dalla Cecenia-Inguscezia pubblicati tra il settembre del 1999 e l’aprile del 2000 sulla Novaja gazeta. La cosa mi fa piacere, detto en passant. L’editore che ha mostrato tanta affettuosa attenzione al nostro giornale (non di sua sola sponte, certo, ma per tramite di Aleksandr Ginzburg, a suo tempo dissidente e internato, oggi parigino d’adozione, paladino dei diritti umani e amico di Aleksandr Solženicyn), l’editore - dicevo - oltre a essere molto noto e importante a Parigi, ha anche un nome raffinato e giocoso insieme, che predispone l’udito alla bellezza: Robert Laffont \ La prima sera a Parigi l’avrei passata in un caffé. E dove, se no? Ma come scegliere? A Parigi, città di liberté e di folies, il metodo è uno solo: si va a caso e a naso. E dunque, il primo café parigino in cui riusciamo a infilarci per puro caso si chiama «L’Eletto». In francese Le Select.

Il caso si rivela benigno. Scopriamo di essere al centro di Montparnasse. Rifugio e requie - oltre che ispirazione - per l’élite artistica del mondo intero. Accanto a noi un’allegra tavolata di garruli francesi da antologia - mezzi artisti di ogni età con l’aria da eterni studenti - si dà alla pazza gioia, ignara e incurante della tristezza e dell’allegria altrui. I passaggi tra i tavoli sono stretti, i mobili vecchi: il tempo si è fermato in quegli ambienti, pare di essere nei primi anni Venti del secolo scorso \ Volendo condividere la propria felicità con un giovane artista seduto più distante, un’altrettanto giovane artista - altera come ogni parigina che si rispetti, oltre che un po’ brilla - punta con foga verso di lui attraverso gli stretti passaggi della storia, e rovescia la bottiglia che sta sul nostro tavolo. L’acqua finisce ovunque, dentro la borsa, sui vestiti, sulle scarpe...

E lei, l’eletta? Lo spirito libero di Montparnasse? Neanche una piega, è ovvio. Le parigine sono anime fiere, camminano sempre a testa alta. La «nostra» mademoiselle borbotta un «pardon» neanche troppo cortese, e si accomoda accanto al suo Pierre. Che forse è un novello Derain, o un Matisse, chissà. La scelta dei nomi non è casuale, l’avrete capito. Perché Derain e Matisse, come Picasso, Cocteau, Max Jacob, Henry Miller, Francis Scott Fitzgerald e persino Hemingway, si sono seduti agli stessi tavoli su cui la nuova avanguardia di Montparnasse, ci ha inzuppati d’acqua. Che altro potrebbe chiedere alla felicità un’ex sovietica quale sono io? Niente, in questo momento, oltre a sfiorare con il proprio «posteriore» la poltroncina malridotta su cui si sono posati i miseri pantaloni del primo Hemingway, con l’inseparabile cocktail che anche io, ora, potrei ordinare! Eletto era lui, eletta sono io \ Domani mattina Parigi sarà nostra. Comincerà la promozione del libro, lo «metteremo in moto», come si dice da noi.\

Com’è andata? Fantastico: dalla colazione del primo mattino alla cena in tarda serata, è un’unica sequenza di conferenze stampa, interviste, ricevimenti, presentazioni, conversazioni. La sera non hai più voce. Un turbine di giornalisti stranamente interessati al libro; alcuni l’hanno persino letto, prima di intervistarti. Gli appuntamenti sono scanditi spietatamente: si passa da un’intervista all’altra. Il ritmo frenetico imposto non riesce a cancellare l’emozione. Da ogni parte ti si rovesciano addosso belle parole, affetto, calore, apprezzamento, rispetto. Uno tsunami positivo. E cominci a vedere che la vita è anche felicità, una felicità accessibile anche a te: sono sensazioni che non provo da un pezzo, dalle mie parti. Perché in patria il nostro lavoro non ci porta amore, ma piuttosto odio.

Gli intellettuali francesi che partecipano alla promozione del libro non riescono a capire la mia commozione crescente per quella girandola di affetto. «Ma perché? Quando pubblica un libro, in Russia, non fanno lo stesso?» «Non è capitato». «In che senso? Il libro non è uscito, in russo?» «Nossignori». Stupore. Qualche alzata di spalle. Per la prima volta colgo qualche scambio di occhiate diffidenti: non mi credono. E io non fornisco altre spiegazioni. Perché? Sono inezie, quelle. Piuttosto, osservo attentamente quel che conta davvero: come si vestono le francesi? Bastano una decina di minuti in Place de la Madeleine - ferma, lì, o aggirandomi tra la folla - per capire che non c’è risposta alla mia domanda. Perché a Parigi - è questo il punto - le donne si vestono come vogliono (e gli uomini fanno altrettanto). E pensano come più loro aggrada. E si truccano secondo l’estro del mattino.

È questa, la libertà. La libertà vera. Vivi come più ti piace. Un piccolo particolare. Prima di sbarcare a Parigi chi scrive è stata a Mosca solo di passaggio. Le prime tappe del viaggio che si sarebbe concluso nella capitale francese erano state l’Inguscezia e la Cecenia, i campi profughi, le montagne, i boschi, i soldati che sognavano di tornare a casa, le lacrime della povera gente affamata, la paura che accompagna la nostra esistenza quotidiana. Dove si vive come capita. Dove si vive per sopravvivere. Per questo la «mia» Parigi ha avuto un sapore così dolce. Come quando, dopo un sorso d’assenzio, con quel retrogusto amaro che lascia in bocca, una caramella ti sembra un chilo di miele. «Perché non dormi? È Parigi che non mi fa dormire»... È così che canticchiamo, ogni tanto, in cerca di un raggio di luce nell’austero tran tran russo.

Sapete una cosa? Non è successo. A Parigi ho dormito, e persino di gusto. Per la prima volta dopo mesi di guerra. Senza sonnifero e senza brividi di paura. Perché nessuno urlava, nessuno ti insultava, nessuno ti dava della traditrice. Tutti mi volevano bene. Tutti mi apprezzavano. Cosa che auguro di provare anche a voi. Questa, la mia felicità parigina. Una felicità mia a pieno diritto, la felicità di una giornalista russa che ancora osa testimoniare. Testimoniarne. Una felicità a doppio taglio, però, perché per provarla ho dovuto osare ben altro. Intanto, il libro in questione sarà nei negozi di Parigi il 4 di giugno. L’editore ha voluto intitolarlo proprio così: Voyage en enfer. Journal de Tchétchénie. Une journaliste russe ose témoigner (Viaggio all'inferno. Diario ceceno. Una giornalista russa osa testimoniare).

© Anna Politkovskaja 2007

© Novaja Gazeta 2007


DA LASTAMPA.IT


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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 07, 2008, 11:43:52 pm »

2008-10-07 17:34

POLITKOVSKAIA, IN PIAZZA PER CHIEDERE GIUSTIZIA


 MOSCA - Una folla di circa 350 persone si è radunata a Mosca nella centrale piazza Pushkin per rendere omaggio ad Anna Politkovskaia, la giornalista di 'Novaia Gazeta' voce critica della politica russa in Cecenia, uccisa esattamente due anni fa. I partecipanti, sfidando la pioggia battente, hanno lasciato moltissimi fiori davanti ad una tomba commemorativa e alla gigantografia di un monumento rappresentante il volto bianco della giornalista colpito da cinque proiettili.

La manifestazione, anche se autorizzata, è stata "blindata" da numerosi poliziotti, che hanno controllato la macchina fotografica di alcuni giornalisti. "Io sono un politico, ma questa manifestazione non è assolutamente politica, è libera, così come Anna era libera da ogni legame con qualunque schieramento", ha detto da un piccolo palco allestito sopra un vecchio camion l'ex premier Mikhail Kasianov, ora leader del partito d'opposizione 'Unione democratica del popolo'. "Anna è stata una vera eroina, una giornalista coraggiosa al servizio della verità e del suo Paese", gli ha fatto eco Liudmila Alexeieva, dirigente della sezione moscovita del gruppo di Helsinki, un movimento per la difesa dei diritti umani.

Durante la manifestazione è stata anche trasmessa da un maxischermo la lettura dei versi che il poeta Ievgheni Ievtushenko ha dedicato alla giornalista assassinata, mentre il presidente della fondazione 'Difesa della trasparenza', Alexei Simonov, ha letto i messaggi di solidarietà inviati dai giornalisti di tutto il mondo, Italia compresa. "Libertà alla stampa, no agli assassini", "Portate gli assassini e i loro mandanti davanti alla giustizia", "Il processo deve essere aperto": sono questi gli striscioni che la gente ha esibito in piazza per ricordare la Politkovskaia.

Si è trattato di una manifestazione 'blindata': attorno alla piazza e nelle vie laterali erano presenti numerosissimi "omon" e almeno una decina di camionette piene di militari.

All'appuntamento hanno partecipato altri esponenti di spicco delle associazioni per la difesa dei diritti umani, come Lev Ponomariov, e politici come Leonid Gozman, Boris Nemtsov e Garry Kasparov, amici e colleghi della Politkovskaia e noti giornalisti, tra cui Victor Scenderovich, Iulia Kalinina e Dmitri Muratov, direttore della testata per cui lavorava la giornalista. 


DA ansa.it
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 16, 2008, 12:14:18 am »

Politkovskaya, l'avvocato non va al processo: l'hanno avvelenata


Non ha potuto prendere parte all'udienza preliminare del processo ai tre uomini accusati dell'omicidio della giornalista Anna Politkovskaya. Si dice «troppo malata» l'avvocato Karinna Moskalenko, dopo essere stata avvelenata (lei e la sua famiglia) da una sostanza sospetta trovata nella sua auto. E quindi non compare alla prima assoluta davanti al tribunale per il processo per l'uccisione della giornalista di Novaja gazeta.

La Moskalenko ha detto a Radio Eco di Mosca (Gazprom Media) che potrebbe essere stato un tentativo di spaventarla, e non esclude una connessione con la sua partecipazione nel processo per l'omicidio Politkovskaya. La stessa Moskalenko ha rappresentato in passato anche Garry Kasparov, esponente dell'opposizione anti-Putin.

Pubblicato il: 15.10.08
Modificato il: 15.10.08 alle ore 18.43   
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