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Autore Discussione: In ricordo di ALEX LANGER di Emiliano Liuzzi.  (Letto 3501 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:18:44 pm »

In ricordo di Alex Langer

Di Emiliano Liuzzi | 30 luglio 2011
Giornalista

“I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. Così me ne vado più disperato che mai, non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. 3 luglio 1995, Pian de’ Giullari. Firenze. Questo lasciò scritto Alexander Langer, 49 anni, cattolico autodidatta, come amava definirsi, nato a Sterzing-Vipiteno, uomo senza patria e con molte patrie, intellettuale che parlava cinque lingue e aveva cento vite, costruiva ponti, univa popoli, faceva politica da persona che con questa politica, prima di scegliere di allontanarsi volontariamente dalla vita.

Scelse un albero di albicocco, si tolse le scarpe, e ci lasciò al nostro Grande freddo, come disse Daniel Cohn Bendit a Repubblica, il giorno successivo. Ci lasciò orfani di migliaia di cartoline, appunti, riflessioni, strette di mano, viaggi. Ci lasciò molti scritti e un’eredità difficile da gestire. Quella sua. Quella di un uomo ostinato e fragile, curioso, intelligente, caparbio, fondatore di Lotta continua prima (fu l’ultimo direttore a firmare il giornale, ma all’epoca il suo lavoro vero era insegnare in un liceo lontano dalla Roma di Trastevere), poi dei Verdi, dei quali non fu leader per scelta, ma capogruppo al parlamento di Strasburgo.

Ci lasciò mentre l’Europa, lui che l’aveva già vissuta, si affannava a scegliere una via condivisa che ancora oggi stenta a trovare.

Sedici anni di assenza sono tanti per chi gli ha voluto bene e chi cercava nelle sue parole una risposta o l’illusione di averla. Verrebbe voglia di chiamarlo, a Strasburgo o a Bolzano, la città dove aveva scelto di combattere la sua battaglia più difficile, quella della convivenza etnica o nell’ex Jugoslavia ormai dimenticata.

C’erano pochi telefonini allora, ma bastava un messaggio e Alex ti avrebbe richiamato. Chiunque tu fossi o per qualsiasi cosa tu lo cercassi. Aveva un’iperattività quasi compulsiva, viaggiava e conosceva persone, ne imparava la lingua, se già non la conosceva. Scriveva cartoline, tante, con minuzia e attenzione, quasi fossero opere letterarie. E molti appunti di viaggio, discorsi. Scarabocchiava quelle che sarebbero diventate proposte di legge.

Ogni tanto lo incontravo sul treno che ci riportava a Bolzano, io da viaggi molto modesti, lui dal mondo. E ogni volta era l’illuminazione su qualcosa che non vedevo. Parlava, e dietro gli occhiali da miope nascondeva due occhi azzurri che avevano un’innata capacità: quella di farsi ascoltare.

Questo era Langer, il politico di una politica che non esiste. Il politico di professione che rendeva pubbliche le entrate e le uscite di denaro quando ancora tangentopoli era un fenomeno da film di serie B firmati da Alberto Sordi. Un uomo che in quell’ambiente era un alieno e lo sarebbe sempre stato. Perché era più intelligente di tutti gli altri. E perché costruiva per gli altri, mai per se stesso.

Difficile pensare a cosa avrebbe detto oggi, anche per me che negli ultimi anni che ha vissuto l’ho frequentato e ascoltato decine di volte. Che ho divorato i suoi appunti e le cartoline che spediva da luoghi lontani da ogni immaginazione.

Difficile sapere cosa avrebbe detto dell’Italia berlusconiana e leghista e di un’Europa sempre più bottegaia, lontana da quella che lui aveva sempre intravisto.

Se Berlusconi è arrivato che eri ancora in vita, caro Alex, il berlusconismo si è radicato negli anni a venire. Un anno e due mesi dopo da quel giorno in cui hai fatto della tua vita un cappio, Umberto Bossi (lo ricordi?) proclamò la Repubblica della Padania. Oggi vuole trasferire i ministeri non si sa bene dove, e appena ha bisogno di voti proclama la secessione. E’ lo stesso Bossi di allora, molto più potente (brutta parole per chi, come te, era convinto che nessuna utopia fosse irraggiungibile) e sempre scomodo, pericolosamente a cavallo tra la sete di potere, sua e dei suoi fedeli, e la voglia di compiacere un popolo strano, quello di Pontida, che lo venera come se fosse l’ultimo dei reali.

Tu che riuscivi a dialogare col più difficile degli avversari come il padre dell’autonomia sudtirolese-altoatesina, Silvius Magnago, che rispettavi e dal quali eri rispettato, non so se avessi fatto ancora il politico di professione dopo aver visto sfilare ministri che si sono chiamati Castelli, Calderoli, Speroni e chi più ne ha più ne metta. Quello stesso Bossi ha portato a Strasburgo un personaggio che si chiama Mario Borghezio, che non ti stiamo a descrivere per puro e semplice pudore, uomo con cui non è possibile dialogare, neppure per te che avevi fatto del dialogo una scelta di vita prima che politica. Non credo saresti rimasto un momento di più ad ascoltare, lì dai banchi di Strasburgo, le oscenità che ogni giorno riesce a propinare.

Sì, Alex, è stato difficile continuare in ciò che era giusto. L’unica cosa che, credo, possa consolarti, è che ci sono persone che ogni giorno ci provano, in tutti le maniere. Sono sicuro che in questi giorni saresti stato in Val di Susa, a manifestare contro la Tav, sciagurata scelta politica che non può che essere in conflitto con la tua idea di “più lentamente, più in profondità, con più dolcezza”, che ci avevi spiegato come radicale rovesciamento del motto olimpico “più veloce, più alto, più forte”.

C’erano migliaia di persone a gridare la loro indignazione lungo quei binari che stravolgeranno la geografia di una valle.

“Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi”, disse Adriano Sofri al parlamento europeo pochi giorni dopo la morte di Langer, “non esiterei a mostrar loro com’è stata bella, com’è stata invidiabilmente ricca di viaggi e di incontri e di conoscenze e imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore, la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e gentile sulle loro magliette. Che vadano incontro agli altri col suo passo leggero, e voglia il cielo che non perdano la speranza”.

Il tuo passo c’è chi lo ha seguito, caro Alex. Ci manchi, ma l’ostinata voglia di non piegarsi e costruire ponti l’hai lasciata in eredità. Di questo, ne sono certo, saresti fiero.

Di Emiliano Liuzzi | 30 luglio 2011

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/30/in-ricordo-di-alex-langer/148784/
« Ultima modifica: Febbraio 22, 2016, 06:21:11 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:22:17 pm »

"Vi racconto il mio amico Alex Langer”
Nel ventennale della morte tornano in edizione arricchita gli scritti del profeta della rivoluzione "verde" ora rilanciata dal Papa. Ecco il ricordo di chi lo conosceva bene

Di ADRIANO SOFRI
22 luglio 2015

ALEXANDER LANGER nacque nel 1946 a Vipiteno, Alto Adige, che sono i nomi italiani di Sterzing, Sud Tirolo. Sua madre era erede di una dinastia di farmacisti del paese. Suo padre un medico viennese di origine ebraica. Negli anni della persecuzione si erano rifugiati in Toscana: scamparono a un'irruzione di fascisti, e riuscirono fortunosamente a riparare in Svizzera. Alexander fu il primo di tre fratelli. Negli anni di scuola, studente brillante, si fece cattolico "autodidatta". La sua era una famiglia prestigiosa, e Alex scelse di rendersene indipendente, rinunciando alla sua eredità, ma il legame fu sempre fortissimo. Quando Alex introdusse me e Randi, la mia compagna, a sua madre, nella casa avita di Sterzing, era emozionato come per una cerimonia. Prima, nelle cartoline spedite da Vipiteno (Alex era un leggendario scrittore di cartoline illustrate) i saluti materni erano firmati "Elisabeth"; dopo, "Lilli".

Negli anni rivoluzionisti avevo avuto con lui una confidenza forte ma frettolosa. Non sapevo molto: la traversata a nuoto del Garda per festeggiare la maturità, eternata dal quotidiano locale. E la conoscenza con don Milani. A Barbiana, il curato gli aveva intimato, se davvero gli interessavano gli ultimi, di lasciare l'università. Alex si persuase che don Lorenzo fosse un santo, a suo modo, e però pensò che si è santi solo a proprio modo. Prese la sua seconda laurea, però fu lui poi a tradurre in tedesco la Lettera a una professoressa.

Insomma, i nostri rapporti si fecero più stretti dopo. Per me, lo scioglimento di LC (1976) aveva significato una dimissione brusca da un'esistenza e una responsabilità collettiva. Per lui era diverso: l'avrebbe sentita come una diserzione, era deciso a proteggere un impegno collettivo ora rianimato della rivelazione ecologista. Rifiutavamo ambedue la "riconversione" ecologica, che era come un fare finta di niente, un aggiungere al classismo un po' di femminismo e un po' di attenzione verde: il cambiamento doveva essere una metanoia, una vera "conversione". Io ci arrivavo rivendicando la nobiltà del pentimento, riscattata all'abuso che si faceva del nome di "pentiti": la sconfessione del maschilismo, la scoperta di una storia naturale dirottata dalla storia umana, il disincanto dalle sorti progressive per un disarmo ragionato -  "quel che non siamo più, quel che non vogliamo più ". Alex, della "conversione ecologica” -  quella invocata dall'enciclica di Francesco  -  fu il portabandiera, anche grazie al legame con i Gruenen, una delle sue prove di traduttore e traghettatore. Da allora, la differenza -  lui impegnato a tessere le fila di un movimento, io distante dall'impegno collettivo -  avrebbe segnato altre esperienze comuni.

Veniva a tirarmi fuori dalla mia campagna -  a pochi minuti dalla casa fiorentina di Valeria e sua -  sostenendo di aver bisogno di aiuto. Fu così nel 1987, quando una sua approvazione dell'allora cardinale Ratzinger contro le manipolazioni genetiche intitolata "Cara Rossanda, e se Ratzinger avesse qualche ragione? " sollevò uno scandalo. Ci fu un acceso dibattito a Roma, Alex volle smorzare la polemica, io gli feci da avvocato. Ricordo con nostalgia la serata e gli interlocutori: Giovanni Berlinguer, Rossana Rossanda, Ida Dominijanni, e noi due. Qualcosa di simile, su una scala avventurosa, successe nel 1982. Gheddafi aveva visitato Vienna e incontrato un gruppo di esponenti verdi. Aveva monologato di essere il vero profeta ecologista, tant'è vero che il suo manuale si intitolava "Libro verde” -  il colore dell'islam, ma Gheddafi sapeva essere duttile. Li invitò a Tripoli, qualcuno mostrò un vero entusiasmo, Alex ne fu preoccupato. Mi chiese di unirmi alla comitiva e di aiutarlo a limitare i danni. Che potevano traboccare: alcuni dei nostri arrivarono a proporsi come scudi umani contro una portaerei americana. I giorni passavano, gli agenti libici venivano a dirci: "No program today", io e Alex li avevamo ribattezzati "No pogrom today". I membri realisti della delegazione, come Otto Schily, poi ministro dell'interno con Schroeder, disperavano di esser mai più dissequestrati. Ci furono due nottate surreali di udienze con Gheddafi -  l'ho raccontato a suo tempo. Alex mi invidiava la libertà con la quale trattavo i compagni di viaggio; lui, come sempre, si sentiva più responsabile e dunque addolorato di rompere con loro.

Questa differenza continuò drammaticamente lungo la guerra ex-jugoslava. Ne fummo assidui, io non dovendo render conto a nessuno se non a me stesso, e invocando strenuamente un intervento che mettesse fine alla strage e all'infamia della comunità internazionale, a partire dall'Europa. Alex aveva percorso la Jugoslavia che andava in pezzi, prodigandosi per la conciliazione, e poi, una volta che il peggio si compì, per figurare una convivenza all'indomani del massacro. Che intanto continuava, e Alex si persuase che il rifiuto di distinguere fra aggressori e aggrediti e di rivendicare un'azione di polizia internazionale rendesse i pacifisti complici della strage. Aveva già detto che l'inerzia internazionale era colpevole, ma con parole smussate per non dare scandalo alla comunità cui voleva appartenere. La misura fu colma nel maggio 1995, quando una bomba fece strage di 71 liceali che festeggiavano il diploma in un bar di Tuzla. Tuzla era la città prediletta di Alex, la più attaccata alla convivenza, e il suo sindaco, Selim Beslagic, era diventato suo amico. Beslagic gli scrisse: "Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando: se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici". Alex incontrò a Cannes Chirac, che presiedeva un vertice europeo, e gli chiese il soccorso di una forza internazionale. Chirac, dal momento che alla vita piace scherzare, gli spiegò che la pace era il bene supremo.

Pochi giorni dopo, Alex si impiccò in un frutteto sopra Firenze. Non ha senso dire che Alex si sia suicidato "per la Bosnia", o per alcuna altra ragione. Però si può dire per che cosa è vissuto. Ancora pochi giorni, e avvenne lo sterminio di Srebrenica. Alex non ha saputo. Ma pochi giorni fa mi hanno presentato ai ragazzi di Srebrenica impegnati per la convivenza come "prijatel", l'amico, di Alex. Mi hanno guardato con invidia.

Alex era molto serio, molto rigoroso. Troppo, se volete. Ma era anche spiritoso, allegro, ironico e generoso. D'estate io e Randi andavamo in Norvegia, eravamo poveri, avevamo un maggiolino Volkswagen, per risparmiare facevamo tappa a Bolzano, da Alex, e poi cercavamo di fare una sola tirata -  io non ho mai guidato. Un anno Alex decise sui due piedi di accompagnarci per alleviare l fatica.

Attraversammo l'intera Germania: guidava, e mi dava lezione di tedesco. Quando arrivammo, esausti, al nostro fiordo, Alex, che aveva come sempre un impegno urgente, proseguì per Oslo, prese un traghetto e ritornò in Germania. Prima di imbarcarsi, spedì un certo numero di cartoline illustrate dalla Norvegia.

TagsArgomenti:Protagonisti:alex langer
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