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Autore Discussione: Vincenzi: «Nel Pd viviamo come monadi»  (Letto 2652 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2008, 11:43:45 pm »

Vincenzi: «Nel Pd viviamo come monadi»

Andrea Carugati


«Il partito dei sindaci? È una favola. La verità è che noi sindaci del Pd siamo delle monadi, ognuno ha la sua ricetta, sta chiuso nel suo particolare. Non c´è circolazione di idee, e neppure una linea nazionale a cui fare riferimento. Penso alla sicurezza, ma anche al federalismo fiscale. E così finisce che l´unico luogo in cui di discute è l´Anci: ma quella è una organizzazione di tutti i Comuni, di destra e di sinistra, in cui si cercano delle mediazioni, mentre un partito dovrebbe prima di tutto avere una linea sua sulle grandi questioni». Marta Vincenzi, sindaco di Genova, parla con tono pacato, ma i concetti sono duri come pietre. «Manca una linea e così finisce che sul pacchetto sicurezza oscilliamo, c´è tra noi sindaci chi aderisce in modo acritico, chi invece minimizza il problema. Sul tema dei maggiori poteri ai sindaci sulla sicurezza, ad esempio, è mancata del tutto una discussione tra noi. E pensare che sarebbe molto utile, perché noi sindaci siamo i terminali più sensibili, più vicini ai bisogni dei cittadini e potremmo portare un contributo importante al Pd, almeno per far capire all´opinione pubblica quali sono le ricette dei democratici. Oggi invece mi ritrovo ad avere solo il mio punto di vista e non so nemmeno con chi confrontarlo».

Insomma, lei sostiene che al Pd manca una linea. È una affermazione pesante...

«La linea non c´è ancora, in campagna elettorale ci sono stati delle intuizioni, dei messaggi, a partire dalla necessità di smarcarsi dall´esperienza del governo Prodi. Ora è il momento di approfondire le questioni, di andare a fondo dei problemi. Sapendo che il Pd è l´unica speranza che abbiamo, ma che sui grandi temi c´è molto da lavorare per imporre l´agenda del Pd, senza andare a traino di quella del governo».

In alcune città e regioni ci sono problemi tra sindaci e partito, come a Torino. Oppure spaccature nel Pd a livello locale. A Genova il Pd si sta dividendo sul gay pride del 2009...

«Sono lusingata che la scelta del movimento gay sia caduta su Genova, una conferma della natura aperta e tollerante della città. E sono contenta della posizione di apertura del cardinal Bagnasco: è un segno di dialogo che aiuta una città che si interroga sulle grandi questioni del presente e del futuro».

Eppure nel Pd ci sono contrari...

«È la prova che questa creatura appena nata deve ancora fare molta strada prima di riuscire a parlare un linguaggio comune, prima di trovare un´amalgama dei valori da cui proveniamo. Detto questo Genova è un´isola felice per quanto riguarda i rapporti tra rappresentanti delle istituzioni e Pd: non ci sono tensioni o spaccature evidenti. Il problema è un altro: rispetto alla decennale esperienza dell´Ulivo sembra che col Pd si sia fatto un passo indietro sul tema dell´amalgama di valori. Forse perché il rinnovamento delle persone c´è stato davvero, e i "nuovi" non hanno alle spalle l´esperienza del lavoro comune che era stato fatto prima di loro. E poi c´è ancora la sindrome degli ex...».

In che senso?

«Ai vertici regionale e provinciale del Pd sono stati eletti due ex Ds e questo ha prodotto negli ex Margherita la sindrome della colonizzazione. Alla base di queste polemiche sul gay pride c´è anche questo: un problema di composizione della classe politica, aree che non si sentono rappresentate adeguatamente. È un problema da risolvere, ci sono degli aggiustamenti da fare, nulla di drammatico. Servono attenzione e cura per far crescere il Pd, e soprattutto un radicamento che ancora non c´è. Che non può essere quello del passato, e neppure raggiunto scimmiottando la Lega».

Parliamo di federalismo. Lei cosa ne pensa?

«Intanto scontiamo un ritardo molto forte, e gli errori commessi con la riforma del Titolo V del 2001 che è stata un pasticcio. Scontiamo anche un impostazione troppo centrata sulle regioni. E poi c´è l´Ici: siamo stati noi i primi a tagliarla con il governo Prodi, e ho detto subito che non ero d´accordo. Togliere risorse proprie ai Comuni e sostituirle con i trasferimenti statali, che peraltro Berlusconi non ci ha ancora garantito, significa togliere a chi governa a livello locale la possibilità di decidere le priorità. Insomma, sull´Ici abbiamo fatto la stessa cosa di Berlusconi, solo un po´ meno».

Cosa pensa del federalismo di Calderoli?

«Prima di dare un giudizio vorrei vedere la proposta definitiva, ma condivido l´idea di avere una risorsa da utilizzare per ogni livello di governo. Quando si parla di federalismo bisogna chiedersi innanzitutto a cosa serve. Le discussioni tecniche su Iva e Irpef le faremo nell´Anci, il punto è ragionare prima su cosa può cambiare in meglio per i cittadini. Ad esempio: chi dovrebbe occuparsi dei servizi sociali e sanitari e con quali risorse? Su questo è necessario che il Pd abbia una sua proposta: è un´occasione per mostrare che le nostre priorità sono diverse da quelle del governo. Io voglio che ai Comuni sia data la possibilità concreta di scegliere come aiutare i più bisognosi, che a Genova sono l´8%. E per questo ci vogliono risorse proprie per ogni livello di governo».

Sulle alleanze che opinione ha?

«È evidente che a livello locale bisogna lavorare per delle alleanze di centrosinistra, altrimenti si perde. Ma per evitare di fare delle coalizioni troppo eterogenee serve un lavoro di fino, che va al fondo dei problemi, che non prescinde dalla verifica dei risultati raggiunti. La mia maggioranza va da Prc all´Idv, quello che tiene tutti insieme è la condivisione di un progetto».

Pubblicato il: 12.09.08
Modificato il: 12.09.08 alle ore 11.00   
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