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Autore Discussione: First Lady Michelle, di Richard Wolffe  (Letto 2612 volte)
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« inserito:: Novembre 13, 2008, 05:41:48 pm »

First Lady Michelle

di Richard Wolffe


Il trasloco a Washington dove vuole portare la madre. La scelta delle scuole per le figlie. Il lavoro nel volontariato. La moglie di Obama confida in questa intervista paure e speranze. Colloquio con Michelle Obama  Come pensa Michelle Obama di vivere la transizione da moglie di un candidato a First Lady? E quale sarà l'agenda personale che la porterà nell'ala est della Casa Bianca? Michelle Obama, 44 anni, racconta in questa intervista (durante la quale ride spesso, una sua caratteristica) quale sarà il suo impegno a Washington e che genere di padre vuole che il quarantaquattresimo presidente Usa continui a essere per le loro due figlie.

Signora Obama, ha già un'idea di come avverrà l'insediamento a Washington della famiglia?
"Utilizzeremo ogni secondo del periodo di transizione per pianificare nei dettagli la nostra scaletta di marcia, le scadenze e tutto il resto. Auspichiamo infatti che il trasferimento avvenga per tutta la famiglia in simultanea. Come, quando e dove ciò accadrà ancora non lo sappiamo. In questa fase è difficile riuscire a parlare con tranquillità di scuole e cose di questo tipo e tanto meno stiamo pensando a come 'riarredare' la Casa Bianca. Questo per la nostra famiglia è il primo trasloco in un luogo completamente diverso".

È preoccupata?
"No, solo che è una cosa del tutto inconsueta per noi, e come tutte le cose nuove forse intimidisce un po' se non altro finché non avremo stilato un programma dettagliato. Di una cosa però sono sicura: quando avremo messo insieme tutti i pezzi, allora la faccenda si farà entusiasmante. Quando le bambine sapranno quale scuola frequenteranno, quando avranno un'idea più precisa di quello che implica trasferirsi, quando potranno vedere come saranno le loro camerette. Tutte le mie preoccupazioni riguardano le bambine. Voglio che stiano bene. Per Barack e me sarà sicuramente dura. A lui piacciono le cose difficili. Sappiamo entrambi di avere molte cose di cui occuparci. Per tutto il resto non c'è problema: siamo abituati a lavorare sodo".

Da First Lady continuerà il suo lavoro per Public Allies (associazione che prepara i giovani a diventare leader di gruppi comunitari o di agenzie non profit, ndr). Come pensa di farlo e che impronta darà a questo lavoro?
"Barack dice sempre di investire maggiormente nel servizio alla nazione. Ciò rientra nella sua piattaforma programmatica. Si sta incontrando da tempo con alcuni leader dei movimenti di servizio nazionale come gli AmeriCorps, Public Allies, Teach for Americas, City Years of the World, per studiare in che modo sarebbe possibile utilizzare quello stesso modello operativo, espandendolo e facendo sì che possa costituire un sistema più fruttuoso e creativo per i giovani per coprire le tasse universitarie, facendo sì che tutti gli americani si impegnino fino in fondo. Quando ho prestato servizio nell'AmeriCorps ho scoperto di persona che con tutte le risorse dei giovani - e anche dei non più giovani perché AmeriCorps non è soltanto per giovani adulti ma per persone di tutte le età - si possono riempire molti vuoti, dando una mano concreta nel servizio alla comunità. I giovani che io seguivo nel mio programma lavoravano come direttori del programma stesso, con i bambini, nei parchi, con le organizzazioni non profit. Questo è un esempio di collaborazione nella quale tutti hanno da guadagnare. Inoltre si contribuisce a diffondere in tutto il Paese la buona abitudine di restituire alla collettività ciò che si è ricevuto".

La popolazione si aspetta tempi duri nella situazione economica contingente. Sarà necessario limitare e ridurre le ambizioni di questo tipo di servizio pubblico?
"Per fortuna di questo non me ne devo occupare io. Rientra tra le decisioni di primaria importanza di cui dovrà occuparsi Barack non appena dovrà delineare la propria piattaforma".

Durante la campagna elettorale lei ha fatto visita alle famiglie dei militari al fronte e si è interessata ai loro problemi. Continuerà a farlo?
"Ancora non lo so. Quando andavo a parlare con loro, c'erano sempre ufficiali al mio fianco. Conosco bene quali difficoltà le famiglie dei militari debbano affrontare, ma non ne sapevo molto della struttura militare. Un ex ufficiale di alto grado mi ha parlato dei tempi passati e di come l'esercito, proprio per la flessibilità che lo caratterizza, fosse spesso il luogo ideale per sperimentare nuove cose in relazione alla vita delle famiglie e ai congedi. Ma le cose ormai non sono più così. Vorrei capire in che modo trovare nuove modalità di supporto creativo in termini di aiuti alle famiglie e poi utilizzare questi stessi modelli nella società nel suo complesso. Questi rapporti con famiglie dei militari sono nati in seguito ai colloqui che avevamo già con le donne delle famiglie lavoratrici. Queste persone vivono sole, con la persona amata che si trova per più anni di seguito molto lontana, senza che nessuno le aiuti in modo concreto. I loro superiori non li capiscono, e quindi non riescono a ottenere più tempo libero e ferie quando i loro cari ottengono una licenza. Non esistono reti di supporto che possano aiutarle. La prima cosa che intendo fare è portare avanti questa tematica, perché è stato sconvolgente per me scoprire che queste reti di sostegno nemmeno esistono. Sono sicura che in molti resterebbero sconcertati e indignati nel sapere che le famiglie dei nostri soldati al fronte non ricevono assistenza alcuna mentre i loro cari combattono e muoiono per noi".

Si dice che lei è l'unica a tenere i piedi per terra e a essere molto concreta, e che continuerà a esserlo anche alla Casa Bianca. Ha già parlato con qualcuno della nuova esperienza?
"Ne ho parlato con Hillary Clinton, che si è rivelata una fonte straordinaria di consigli. In questa fase di transizione ho chiacchierato con altri che ci sono già passati, per cercare di farmi un'idea precisa di quello che ci aspetterà non appena ci ritroveremo in questa sorta di bolla. Come funzionano le cose? La nostra speranza è continuare a fare parte di ciò che abbiamo fatto nell'ultimo anno e mezzo, ovvero tenere la vita privata della nostra famiglia lontana dai riflettori, e soprattutto fare in modo che le bambine vivano lontane da tutto ciò. Questo significa che dovremo semplicemente far finta che tutto questo non sta accadendo proprio a noi. Siamo diventati abbastanza bravi, ormai. Sarà un po' più impegnativo, ma credo che sarà importante anche mantenere i nostri rapporti con gli amici e i nostri familiari. Io spero proprio che mia madre venga a stare con noi. Glielo chiedo in continuazione".

Pare le abbia risposto che non c'è abbastanza spazio e che non vuole essere invadente.
"Già. La nostra priorità è iscrivere le bambine a scuole che vadano bene per loro, che svolgano attività interessanti, che siano certe che noi saremo sempre presenti per aiutarle nei compiti e andremo alle riunioni dei genitori e degli insegnanti. È importante continuare a farlo, indipendentemente dal lavoro del loro papà. E per Barack occuparsi delle figlie deve continuare a essere una priorità, anche se è il leader del mondo libero. È importante che lo faccia e che diventi un modello per gli altri. Alla base di tutto c'è il concetto che se lui ci riesce, allora tutti dobbiamo impegnarci per riuscirci. Perché è proprio questo che dobbiamo fare: batterci per i nostri figli. I nostri figli devono essere al cuore di questa società e di questa nazione. Dobbiamo rimettere al primo posto l'istruzione, le esigenze dei bambini: il loro benessere è la cosa più importante".

In retrospettiva, lei in talune occasioni è stata una sorta di parafulmine. Ne è valsa la pena?
"Ne è valsa la pena, sì. Indipendentemente da come la popolazione la pensa nei confronti di Barack o dei candidati in generale, la gente è gentile e cordiale. Vuole concederti una chance per dimostrare quello che vali. È stata una fortuna per me essere in giro per il Paese a lungo, perché questo era lo stimolo primario, il feedback che ne ricevevo, fonte di una gioia completa".

Crede che riuscirà a convincere sua madre a seguirvi alla Casa Bianca?
"Certo. Può vivere dove vuole. Forse ha pensato di non avere molte opzioni a sua disposizione, ma le bambine avranno bisogno di lei, perché anche lei contribuisce a dar loro un senso di stabilità. La verità è che mia mamma farebbe qualsiasi cosa per noi e per le sue nipoti. Per convincerla basterà che le bambine glielo chiedano con gli occhi tristi e sarà fatta. Le chiederanno: davvero ci dici di no? Davvero saresti capace di dire alle tue nipoti che preferisci restare a Chicago dove non hai nipotini e non verrai a darci una mano ad ambientarci? No. Credo proprio che verrà con noi".

Quando ha incontrato Hillary avete parlato anche di quello che vuol dire crescere dei bambini alla Casa Bianca, vero?
"Sì, certo. Ho sempre ammirato come si è comportata con Chelsea. E se si parla con Chelsea si intuisce subito quanto questa giovane donna sia matura, equilibrata. I genitori hanno fatto un buon lavoro con lei. Hillary mi ha raccontato come hanno fatto di tutto per proteggere la sua privacy, come hanno creato dei limiti molto precisi oltre i quali nessuno si è mai spinto. Questo ha contribuito moltissimo a farle vivere una vita abbastanza normale. Mi auguro di parlare di ciò anche con Laura Bush, Tipper Gore e Rosalynn Carter. Parlerò con tutti coloro che hanno già vissuto prima di me un'esperienza simile e che sono disposti a illuminarmi al riguardo. Ne parlerò con Caroline Kennedy, che probabilmente non ricorderà granché, ma anche lei ha vissuto questa esperienza ed è molto disponibile. Ne parlerò con Maria Shriver (la moglie di Arnold Schwarzenegger, governatore della California, ndr). Anche le First Lady dei nostri Stati possono darci un punto di vista al riguardo. A me piace molto raccogliere vari pareri, informazioni, diverse ottiche e prospettive, sia di repubblicani sia di democratici, perché sono davvero poche le famiglie ad aver vissuto un'esperienza del genere".

Quando ha incontrato Hillary?
"La maggior parte delle nostre chiacchierate è avvenuta al telefono perché lei era in campagna elettorale e io pure. Ma a intervalli regolari cercavo di contattarla a telefono. È sempre stata molto disponibile a parlare con me. È sempre rimasta a lungo a telefono, dandomi sempre ottimi consigli, di cui le sono molto grata".

'Newsweek' - 'L'espresso' traduzione di Anna Bissanti
(13 novembre 2008)


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