LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 05:46:40 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Gallino: questo governo sottovaluta la crisi  (Letto 2309 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Agosto 17, 2008, 11:24:52 pm »

Gallino: questo governo sottovaluta la crisi

Oreste Pivetta


Luciano Gallino, sociologo, docente universitario, è uno dei più attenti studiosi dei sistemi economici dalla parte della produzione e del lavoro. Critico da sempre nei confronti del capitalismo arrembante, della finanziarizzazione, di una deregulation che affida tutto alle logiche del mercato, di una globalizzazione senza regia, critico è anche nei confronti di questo governo, senza risparmiare accuse all’opposizione. Chiarissimo il suo giudizio: «La manovra economica e le politiche del lavoro in generale che sinora sono state designate sembrano in gran parte ignorare quello che sta succedendo del mondo...».

Che cosa, professor Gallino, sta succedendo nel mondo?

«Il rischio di una crisi sistemica generale è abbastanza prevedibile. Lo dicono centri studi d’America e di mezza Europa».

Di nostro potremmo aggiungere il prodotto interno lordo negativo. Mentre l’inflazione corre oltre il 4 per cento.

«Siamo all’inizio, nel senso che sul nostro destino s’agita il fantasma di diecimila miliardi di dollari, che compaiono e riscompaiono dai bilanci di enti finanziari di ogni tipo, che vanno e vengono e non si sa bene dove vadano a finire. Il risultato della speculazione finanziaria. Quando si dovranno fare i conti di un probabile formidabile default, il contraccolpo sarà pesantissimo anche per l’economia reale sarà ben più difficile risollevarsi, perchè l’accesso al credito sarà arduo e verranno a mancare gli investimenti...».

Galleggiamo sulla crisi e potremmo ritrovarci a terra...

«Non mi sembra che l’Italia sia attrezzata, ai margini nelle dinamiche internazionali, afflitta all’interno dalla miseria dei salari e dalla scarsità degli investimenti. Non vedo l’Italia preparata ad affrontare il nocciolo dei problemi che il mondo pone, per un deficit della politica di governo. Ma la critica all’esecutivo non assolve l’opposizione, che dovrebbe farsi sentire».

Nessuno sembra in realtà in grado di presentare idee con il pregio dell’organicità. I sindacati e l’opposizione propongono la loro medicina: dare qualche cosa di più ai salari e una spinta al potere d’acquisto per rilanciare i consumi...

«Il problema è che la coperta è corta... Se si pensa di ridurre le tasse per rilanciare i consumi, non ci si può dimenticare che le tasse servono allo stato per gli investimenti. Se si toglie allo stato, ci si affida ai privati premiati dagli sgravi fiscali. La coperta tirata da una parte ne scopre un altra, in questo senso la capacità di investimento dello stato. Sembra una soluzione semplice, ma lascia qualche dubbio. Dipende dalle politiche fiscali, dalla qualità degli investimenti, dalla produttività delle imprese, dagli obiettivi che ci si pone. Mi spiego con un esempio: nel dibattito, tanto dell’opposizione parlamentare quanto in quella costretta fuori dal parlamento, sembra del tutto assente un problema ben presente nelle strategie politiche di altri paesi, che non definirei sovversivi, cioè l’enorme crescita delle diseguaglianze che stanno diventando un problema politico, morale, ma anche economico di enorme grandezza. Se si lavorasse per ridurre la forbice, l’economia potrebbe aggiustarsi prima e poi riprendere fiato. Stiamo parlando di diseguaglianze globali che nascono da politiche globali».

Lei dice investimenti e sembra di tornare alla grande depressione degli anni trenta, quando gli Stati Uniti reagirono puntando sugli investimenti pubblici.

«Io dico investimenti e quindi posti di lavoro e quindi redditi e non è detto che debbano essere tutti pubblici... In Italia servirebbero a correggere i nostri ritardi strutturali e rialzare i tassi d’occupazione ai livelli dell’Unione europea. Ma la politica mi sembra percorra strade opposte: dare qualche cosa di più ai privati e che facciano quello che vogliono. Mi sembra una politica che presuppone oltretutto una visione assai scadente della democrazia, che non significa distribuire a ciascuno i suoi euro, ma è decidere di grandi scelte pubbliche, di grandi scelte che toccano la collettività...».

Democrazia... per interpretarla si potrebbe resuscitare una parola dimenticata: programmazione.

«La programmazione in Italia manca da una quarantina d’anni. A questo punto non vedo neppure da dove si possa cominciare: il governo è orientato in senso contrario, la sinistra è flebile. Non siamo messi bene, per carenza di volontà politica, per debolezza delle voci critiche, persino per capacità di lettura e comprensione dei problemi. Ci manca una cultura che possieda strumenti tecnici e voglia di farsi sentire. Una cultura che non c’è. Anche per questo la nostra è una democrazia a scartamento ridotto. Ho vissuto per anni negli Stati Uniti e ho mantenuto buoni rapporti con centri universitari, che mi stupiscono sempre per l’alta qualità metodologica, politica ed etica che riescono a esprimere. Etica, sottolineo. Aggiungo: mi sembrano molto più a sinistra della nostra sinistra. Ma quel che conta è la scientificità del loro approccio, l’efficacia delle loro analisi, la consapovolezza della presenza di una crisi sistemica».

Ci siamo finora dimenticati di una parola, che va invece molto di moda: flessibilità.

«Trovo singolare la pertinacia con cui si insegue una maggior flessibilità del lavoro, quando leggiamo rapporti di istituti europei di prim’ordine che sottolineano soprattutto le conseguenze negative della flessibilizzazione: forte aumento della precarietà, forte impoverimento, indebolimento dei sindacati. Ma in Italia la flessibilità è diventata a destra un mito e la sinistra risponde: discutiamone. Da questo punto di vista il Libro verde del ministro Sacconi è in ritardo di vent’anni. Esprime un animo regressivo».

Vediamo una crisi da vicino: quella di un colosso come la General Motors...

«Non solo General Motors, ma anche Ford, Chrysler... Il caso dell’auto americana è sintomatico e dovrebbe indurre a qualche riflessione. Riassume vari fattori negativi: l’irresponsabilità dei modelli produttivi, quando si producono automobili che pesano venti trenta quintali e che con un litro di benzina percorrono tre chilometri, irresponsabilità economica, ecologica, ambientale; la conclamata, incredibile incompetenza dei manager, premiati da compensi astronomici. È mancata qualsiasi previsione e ora l’industria Usa sarebbe in grado di convertirsi solo in tempi archeologici; l’incapacità tecnologica, perchè è da un decennio che si parla di motori che consumino meno, motori ibridi o a idrogeno, ma l’industria americana (come quella europea) è rimasta a guardare...».

Negli Stati Uniti aspettano le elezioni. La vittoria di Obama potrebbe cambiare qualcosa?

«Non credo possa cambiare molto. Anche Obama ha cominciato la rincorsa del centro. Penso possibile un piano di social security perchè la situazione è scandalosa. Basti pensare che una assicurazione appena decente divora il 30 per cento di uno stipendio medio. Che quarantasei milioni di persone sopravvivono senza assistenza e altrettante con una assistenza inadeguata. Obama dovrà riprendere i vecchi progetti di Hillary Clinton. Qualcosa, chiunque vinca, dovrà pure decidere a proposito di regolazione dei capitali e del sistema finanziario, dopo anni di completa deregolazione che hanno condotto alla crisi dei subprime e del mercato immobiliare».

Possiamo attenderci qualcosa allora dalla Cina?

«Il problema cinese è stato fabbricato dall’Occidente, che ha distribuito là migliaia di miliardi in imprese controllate, che hanno prodotto a costi bassissimi. I cinesi hanno imparato alla svelta».

Pubblicato il: 17.08.08
Modificato il: 17.08.08 alle ore 7.17   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!