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Autore Discussione: Pakistan, per ora nessuno rimpiange il tramonto del generale  (Letto 2271 volte)
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« inserito:: Agosto 19, 2008, 11:00:06 pm »

Pakistan, per ora nessuno rimpiange il tramonto del generale

Gabriel Bertinetto


Per ora sono tutti contenti, e chi non lo è, ostenta per lo meno un atteggiamento benevolmente neutrale. Nessuno insomma si strappa i capelli di fronte all'uscita di scena di Pervez Musharraf. Ognuno ha i suoi motivi. Al Qaeda ad esempio considerava il leader pachistano «uno dei maggiori nemici dell'Islam, se non il maggiore». Il giudizio è stato ribadito in un messaggio audio diffuso via Internet due giorni fa dal vice di Osama Bin Laden, l'egiziano Ayman al-Zawahri. Gli integralisti odiavano Musharraf per il voltafaccia del settembre 2001, quando smise di proteggere i talebani e si unì alla coalizione internazionale che ne rovesciò il regime e costrinse alla macchia le milizie qaediste loro ospiti in Afghanistan. Anche la filiale pachistana dei talebani plaude al ritiro di Musharraf. Ma il generale-presidente era considerato un avversario, sul versante opposto, anche dai partiti storici pachistani, quelli che lui con il golpe del 1999 aveva messo fuori gioco. Destituirlo era diventato per loro la premessa indispensabile al pieno ripristino della democrazia.

La lista degli entusiasti probabilmente finisce qui. Hamid Karzai, il capo del governo filo-occidentale di Kabul, ha detto di sperare che «le dimissioni di Musharraf abbiano effetti positivi sul rafforzamenteo della democrazia e delle istituzioni civili in Pakistan». Karzai aveva spesso aspramente criticato Musharraf per l'insufficiente sostegno ricevutone nel contrasto armato ai fondamentalisti, cacciati dal potere ma non sconfitti. E tuttavia Karzai è probabilmente consapevole che lo stesso atteggiamento apparentemente ambiguo che il Pakistan ha mostrato verso i ribelli afghani ed i gruppi pachistani loro vicini, contraddistingue l'azione dell'attuale governo, non meno di quanto avvenisse quando tutti i poteri erano concentrati nelle mani di Musharraf. Con una differenza: Musharraf era sufficientemente forte all'interno dell'esercito per contrastare le provocazioni dei servizi segreti, rimasti in parte fedeli all'antica linea filo-integralista. Non è affatto detto che la stessa energia e la stessa capacità di controllo degli apparati militari abbiano il premier Gilani, Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, Nawaz Sharif, capo della Lega musulmana, e più in generale la nuova classe dirigente, o meglio l'antica, riemersa con le elezioni di febbraio, dopo anni di repressione.

In parte simile è l'atteggiamento di Washington. Gli Usa sanno che Musharraf è stato un alleato prezioso per rovesciare il regime teocratico nel 2001. Per questo anche ieri George Bush e Condoleezza Rice lo hanno lodato e ringraziato, nonostante in passato abbiano criticato i compromessi realizzati nelle aree tribali al confine afghano con i gruppi filo-talebani. Gli Stati Uniti salutano con favore il ritorno della democrazia, ma attendono i nuovi leader alla prova dei fatti, augurandosi che sappiano dare stabilità al Paese.

Ancora più cauta, se possibile, è l'India. Dopo decenni di guerra fredda intervallata da ben tre conflitti armati, i due Paesi hanno inaugurato una nuova fase di dialogo a partire dal 2004. Musharraf ne è stato uno degli artefici principali. E New Delhi ha l'impressione che se quel clima di distenzione e cooperazione ultimamente è entrato in crisi, la ragione stia proprio nel progressivo indebolimento del loro partner pachistano. Come sottolinea Raja Mohan, un esperto indiano di politica internazionale, «dopo quattro anni in cui l'India aveva grandi speranze nel processo di pace, il contrario è avvenuto negli ultimi quattro mesi». Nella regione contesa del Kashmir sono ripresi dopo molto tempo le scaramucce fra i due eserciti schierati lungo la linea di demarcazione. E l'attentato che ha fatto 58 vittime un mese fa davanti all'ambasciata indiana a Kabul, sembra sia stato pilotato dall'intelligence pachistana, non più tenuta a freno dalla mano ferma di Musharraf. Questo è quello che pensano a New Delhi. Questa è la ragione per cui la reazione del governo di Manhoman Singh alle dimissioni del presidente pachistano è stata particolarmente cauta, sottolineando più che altro la natura di affare interno ad un altro Paese. Insomma per ora nessuno rimpiange Musharraf. Ma molti si interrogano sul futuro e sulla tenuta della rinata democrazia. Essendo tra l'altro a tutti ben noto che il Pakistan è un Paese dotto di armi nucleari. 

Pubblicato il: 19.08.08
Modificato il: 19.08.08 alle ore 9.43   
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