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Autore Discussione: Fisco, così aumenta la pressione...  (Letto 2251 volte)
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« inserito:: Agosto 05, 2008, 10:42:06 pm »

Fisco, così aumenta la pressione

Enrico Morando


Livello della pressione fiscale, volume della spesa in conto capitale, riduzione del volume globale del debito. Si tratta di tre temi cruciali per il futuro del Paese: ridurre la pressione fiscale è essenziale sia per affrontare problemi sociali, sia per aumentarne le capacità competitive. La spesa in conto capitale - ove si tratti di buona spesa - favorisce la crescita della produttività totale dei fattori.

Ridurre il volume globale del debito pubblico più rapidamente di quanto accadrebbe se non si facessero politiche in questo campo, è almeno altrettanto importante perché si riduce, per questa via, anche la spesa per il servizio del debito stesso e, quindi, si allargano gli spazi finanziari per politiche sociali e di investimento in infrastrutture.

Sul primo tema, quello della pressione fiscale, Governo e maggioranza hanno detto il vero: «non pensiamo che nei prossimi cinque anni ci siano le condizioni per ridurre la pressione fiscale». Ma è una mezza verità. Se si osservano i dati del Dpef (Tabelle III.3 e III.1) si legge che nel 2008 il livello della pressione fiscale è programmato al 43 per cento. Nel tendenziale a legislazione vigente, cioè se il Governo non esistesse, il livello della pressione fiscale sarebbe al 42,8. L’aumento, quindi, è dello 0,2 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2009, si fa peggio, perché la pressione fiscale programmata dal Governo è al 43 per cento del Pil, mentre nel tendenziale sarebbe al 42,6; nel 2010 è programmata al 43,2 per cento, mentre nel tendenziale sarebbe al 42,8 per cento; nel 2011 la pressione fiscale è programmata al 43,1, mentre nel tendenziale sarebbe al 42,8; nel 2012 è programmata al 43,1 per cento, mentre nel tendenziale sarebbe al 42,7; nel 2013 è programmata al 42,9 per cento, mentre nel tendenziale sarebbe al 42,6. Il Governo quindi, programma di aumentare, ogni anno rispetto all’anno precedente, la pressione fiscale di una cifra che varia dai tre ai cinque miliardi di euro.

Il ministro Tremonti ha affermato, che, se la situazione migliorerà, il Governo farà qualcosa per le famiglie. Con tanti saluti alla lunga discussione che ha consentito qualche anno fa di rendere “meno stupido” il Patto di stabilità europeo, che fino ad allora spingeva verso politiche duramente procicliche: adesso che le cose vanno male ha un senso fare una politica anticiclica, per aiutare le famiglie. Se le cose andassero meglio, allora bisognerebbe mettere un po’ di fieno in cascina, per migliorare i dati di finanza pubblica.

Ecco perché abbiamo proposto al Senato, durante la discussione della manovra - consapevoli del fatto che il livello della pressione fiscale dei prossimi anni, date le dimensioni dell’aggiustamento di finanza pubblica che dobbiamo realizzare, non può scendere molto rapidamente - una sua riduzione selettiva, che prenda a riferimento, in particolare, il fattore lavoro.

Meno tasse sulle donne che lavorano (per favorire l’aumento del livello della loro partecipazione alle forze di lavoro) e sulla quota di salario da contrattazione di secondo livello. Si tengono così assieme l’intervento sulla emergenza redditi e una strategia di politica economica capace di aggredire nodi strutturali che strangolano il Paese: troppo basso livello di partecipazione delle donne alle forze di lavoro, modello contrattuale tutto incentrato sulla contrattazione nazionale, trascurando la contrattazione aziendale, territoriale, di distretto.

Vengo ora alla spesa in conto capitale. Anche in questo caso, i dati si trovano nel Dpef (Tavola III.2). Totale spese in conto capitale 2008: Ruef (Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza), cioè tendenziale, 66 miliardi di euro; Dpef, cioè obiettivo programmatico del Governo, 63 miliardi di euro. Nel 2009, Ruef, cioè tendenziale (quello che accadrebbe se il Governo non ci fosse o non facesse nulla): 70,7 miliardi di euro; Dpef 67 miliardi di euro. Nel 2010, Ruef, cioè tendenziale: 70,3 miliardi. Dpef, cioè con il Governo che interviene, 66,8 miliardi di euro. Nel 2011, Ruef, cioè tendenziale: 71,3 miliardi. Dpef, cioè programmatico: 67,8 miliardi di euro. Questi numeri documentano le intenzioni del Governo: un crollo della spesa pubblica in conto capitale (-17%) nei prossimi cinque anni.

Ora, è giusto dubbio che, almeno nei primi anni, anche la spesa in conto capitale sia chiamata a contribuire al miglioramento dei dati di finanza pubblica. Ma la capacità di governo consiste nel ridurre - al limite nell’eliminare - quella quota di spesa in conto capitale che non ha un elevato livello di produttività.

Tutto al contrario, la manovra tremontiana riduce parimenti gli investimenti in infrastrutture (porti, aeroporti, ferrovie, strade, autostrade, reti telematiche, autostrade del mare), e i contributi a pioggia alle imprese. Anzi, un po’ di più i primi rispetto ai secondi. La spesa finalizzata a contributi alle imprese non è particolarmente produttiva. Se proprio si deve tagliare, bisogna incidere qui. Ma ridurre così pesantemente le spese per infrastrutture significa pregiudicare le capacità competitive del Paese. Ci siamo dunque sforzati di presentare proposte che non negassero l’esigenza di ridurre anche la spesa in conto capitale, ma lo facessero selettivamente, in modo tale da non pregiudicare la competitività del sistema.

Il terzo tema è quello del volume globale del debito. Questa sì che è la “peste” che ammorba il Paese: il debito pubblico, a paragone con la nostra ricchezza nazionale, è infinitamente più grande di quello degli altri grandi Paesi nostri competitori all’interno dell’area dell’Euro. Se non dovessimo servire un debito quasi doppio rispetto a quello degli altri Paesi, tutto sarebbe più facile.

I programmi del Partito Democratico e del PdL (molto diversi tra loro, contrariamente a quello che è stato scritto) sembravano convergere su di una strategia di valorizzazione/alienazione del patrimonio pubblico per la riduzione del debito. Lo farebbe qualsiasi famiglia che avesse un debito molto grande e un altrettanto grande patrimonio: utilizzerebbe, cioè, una quota del patrimonio per ridurre il debito.

Nella Tabella III.4 del Dpef si legge che, rispetto al tendenziale, nel programmatico si registra un lieve miglioramento.

Ma, in campagna elettorale, PD e PdL si sono impegnati a fare ben di più: accelerata riduzione del debito, per liberare risorse per politiche di sviluppo del Paese. Peccato che di questa accelerata riduzione del debito, nella manovra, non ci sia traccia. Tutto si esaurisce in un lievissimo miglioramento rispetto al tendenziale. Un tendenziale, che si costruisce senza politiche attive di intervento per la valorizzazione del patrimonio pubblico, in funzione della riduzione del debito.

Il Governo ha rinviato un intervento organico su questo tema? No. Preoccupa che nel decreto n. 112 trovino posto scelte di utilizzo del patrimonio a spizzichi e bocconi, volte a compensare singoli ministeri “arrabbiati” per i tagli operati nel resto del decreto. È un film già visto negli anni 2001-2006: vendite disordinate del patrimonio a pezzetti, col risultato che il volume globale del debito è aumentato ed il volume del patrimonio diminuito. È quello che accade al nobile decaduto che, per organizzare le sue feste, comincia a vendere parti del giardino, poi rami del castello, poi l’argenteria e alla fine deve andare ad iscriversi all’assistenza pubblica. O a chiedere la social card.

Pubblicato il: 05.08.08
Modificato il: 05.08.08 alle ore 15.03   
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